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Da quasi-genero di Verdone al ‘Mars Attacks!’ all’amatriciana: Antonio Bannò vi conquisterà

Se non l'avete ancora visto in 'Vita da Carlo', fatelo subito. E ora arriva anche il suo primo film da protagonista, 'La guerra del Tiburtino III': intervista cazzona, tra eco-ansia, vermi alieni e Ken Loach

Foto: Luca Carlino

Quella che state per leggere è solo metà dell’intervista con Antonio Bannò. La parte mancante sono una serie di parentesi («vabbè, férmate, te devo troppo raccontà ’sta cosa!»), un paio di reciproci segreti inconfessabili sulla musica (a spoilerarli qui entrambi perderemmo credibilità) e una caterva di domande che vuole a tutti i costi porre lui, perché «scusa, ma te devo un po’ conosce, no? Altrimenti come faccio a raccontàmme?». Nonostante il successo, ben riassunto in quel Nastro d’argento come miglior attore emergente vinto nel 2022, Bannò ha mantenuto un’aria scanzonata, quasi naïf, che te lo fa stare simpatico dal minuto uno. Niente spocchia, solo molta umiltà. Non a caso, ha conquistato persino Carlo Verdone, che l’ha voluto in Vita da Carlo nei panni del suo quasi-genero.

In curriculum – tenete presente che ha solo 29 anni – Antonio vanta anche diversi ruoli iconici nelle serie tv Christian, Romulus, Suburra («Dai, la scena del garage era da paura!»), e nel film Il principe di Roma con Marco Giallini. Ora, alla Festa del Cinema di Roma, fa il grande salto presentando La guerra del Tiburtino III (una produzione Mompracem con Rai Cinema): il suo primo film da protagonista, in concorso nella sezione Panorama Italia ad Alice nella Città e poi in sala dal 2 novembre (con Fandango). Qui interpreta Pinna: un ragazzo del quartiere Tiburtino di Roma che si barcamena spacciando droga, fino a quando un meteorite non cadrà vicino casa innescando un’invasione di viscidissimi vermi alieni. Nel cast anche Sveva Mariani (A casa tutti bene – La serie), Paolo Calabresi e Paola Minaccioni. La regia è di Luna Gualano (Go Home – A casa loro), che ha anche scritto il film insieme a Emiliano Rubbi.

Sveva Mariani, Luna Gualano e Antonio Bannò sul set di ‘La guerra del Tiburtino III’. Foto: Nicole Manetti

Tutto bellissimo, però…
… però?

Dovremmo dire che artisticamente tu nasci come… Gesù.
Ah, sì, sì! Verissimo. Il mio debutto è stato a Bitonto: lì c’è una compagnia di giro, quasi una specie di comune, che vive a Fara Sabrina e gira l’Italia facendo teatro sacro. Io all’epoca ero piccolo, bassino, grazioso… vabbè, per capirci, non avevo ancora il naso gigante. Loro quindi mi vedono e si convincono che io sia perfetto per la parte di Gesù Bambino. Fu fighissimo. In tutto avevo solo una battuta (“Io devo fare la volontà del Padre mio”) ma mi piacque comunque da morire, e per due mesi feci, diciamo così, tutta la tournée con loro.

Sei credente?
Vengo da una famiglia molto credente… vabbè, ti racconto ’sta cosa! Mio padre è siciliano, è nato in un paesino dell’entroterra nel 1958. Immaginati. Per capirci, mia nonna faceva la mezzadra: hai presente i film della Rohrwacher? Ecco, quella roba lì.

E qui ci siamo giocati i film con Alice Rohrwacher…
Ma che stai a dì, io lei l’adoro! La citavo come reference autorevole.

Ok, va’ avanti.
Insomma, mio padre resta orfano e quindi lo mandano a studiare in seminario e a 18 anni… diventa frate! Non prende i voti perpetui ma quelli annuali, che rinnovi di volta in volta. Poi, vabbè, ha conosciuto mamma e non li ha più rinnovati. Quindi sì, i miei sono credenti, ma non scrivere cattolici che poi me menano.

Quindi cosa scrivo?
Mah, come vogliamo chiamarli? Perché non sono di quelli inquadratoni, duri. Vabbè, metti cattocomunisti così si capisce. Quindi io sono nato in questo contesto: alla sera, i miei amici ascoltavano le favole dei Fratelli Grimm, io invece… Giobbe.

E ora?
Onestamente mi sono allontanato, anche se ho fatto tutto: confessione, comunione, cresima. Però sono stato in Toscana, alla comunità di Romena, dove c’è questo prete pazzesco, che adoro. Lui mi piace: è un’anima bella. Ogni tanto ci vado. Però, ecco, oltre a questo basta.

Da adolescente hai poi fatto il liceo: lo stesso di Damiano dei Måneskin, corretto?
Sì, esatto. Altro che Montale, ormai è diventata la scuola dei Måneskin.

Lui era già una rockstar ai tempi?
Abbiamo quattro anni di differenza, quando io ero all’ultimo anno lui era matricola. Quindi non so dirti granché, non ci frequentavamo.

Antonio Bannò con Edoardo Pesce in ‘Christian’. Foto: Sky

Tu invece? Quanto eri quotato a scuola?
Ero il rappresentante d’istituto. E pure – tieniti – il capitano della squadra di badminton. Avevo un professore pazzesco, di nome Pappagallo. Era il numero uno, citalo, ti prego. Lo adoravo. Un giorno mi disse una frase incredibile: “Perché se tu sei stronzo, in mezzo a tanti stronzi, nun vo’ dì che non sei stronzo”.

Mi stai dunque dicendo che eri patito di badminton.
Ma no! Io facevo semplicemente di tutto per non andare a scuola. Sai quanto sangue ho donato in quegli anni? Ogni volta che c’era la possibilità prendevo e andavo a donarlo! Così saltavo le lezioni! (ride)

Deduco che non fossi una cima a scuola…
Non tanto. Mi piacevano però molto latino, greco e filosofia. Lì andavo bene. Ero bravissimo nelle versioni.

Senza studiare?
Avevo un’arma segreta: mio nonno. Lui era un genio, mi faceva ripetizioni di latino, greco e matematica. Alla fine, una volta che capisci come funziona, latino e greco sono facili.

Finito il liceo, ti sei iscritto all’università?
Sì… un anno fa.

In che senso un anno fa?
Dopo il liceo ho studiato recitazione rinunciando al percorso accademico in università. Però adesso ho i sensi di colpa, quindi un anno fa mi ci sono iscritto – non ti dirò MAI a quale facoltà – e… in un anno non ho dato manco un esame. Dovrei ritirarmi, lo so.

Perché parli di sensi di colpa?
Vengo da una famiglia dove tutti sono laureati, quindi mi sembra che se non hai una laurea, hai poca cultura. Tempo fa ho letto un libro di interviste a dei giornalisti quotati del mondo dello spettacolo. Uno di loro, di cui mi sfugge il nome – lo so, senza i nomi le citazioni non servono a un c… – diceva: “Ho passato la vita a intervistare persone che non avevano niente da dire”. Ecco, quello è il mio terrore: non vorrei mai finire così. Anche per questo nel tempo libero leggo un sacco. Cerco di recuperare, di approfondire, di informarmi.

Comunque non è la laurea che fa la differenza.
Lo so. Tra l’altro pare abbiano fatto una nuova legge, che non è retroattiva, per cui le scuole di recitazione riconosciute, come per esempio la Silvio D’Amico e lo Stabile di Genova, valgono come lauree. Che poi io dico, perché? A che serve? Della serie: se va male, ho comunque una laurea. Ma poi che ci fai?

Be’, è utile per accedere ai concorsi pubblici.
Però, dai, spero di no… mo’ me gratto. Ti prego, fallo anche tu per me.

Ti ricordo che mi manca la materia prima…
(Segue un’animata dissertazione in Anatomia Comparata e Teoria e Tecniche della Superstizione Italiana)

Comunque, dicevamo: dopo la maturità ti prendono sia alla Silvio D’Amico che allo Stabile di Genova. Perché, da romano, hai scelto Genova?
Non è andata proprio così. Per accedere a queste scuole devi affrontare tre selezioni. Avevo passato le prime due in entrambe le accademie, ma la terza prova cadeva nella stessa data. Dovevo scegliere per forza e quindi ho optato per Genova. Come tutti, infatti, volevo andare via di casa. Inoltre Genova ha una tradizione teatrale pazzesca, ai tempi era considerata la scuola migliore d’Italia. La riprova l’ho avuta quando sono andato a vedere La tempesta di Valerio Binasco: ancora adesso non ho mai più visto uno spettacolo così bello. Gli attori erano pazzeschi, così sono andato dietro le quinte e ho chiesto loro dove avessero studiato. Indovina? Allo Stabile di Genova.

Sveva Mariani, Antonio Bannò, Federico Majorana in ‘La guerra del Tiburtino III’

Dopo i tre anni allo Stabile, sei però tornato a Roma: come mai?
Perché a Genova avrei dovuto fare la fila. E pure bella lunga. Lì gli attori della compagnia erano delle star: è una città con una cultura teatrale pazzesca. Pensa che nel 2016 erano di più i genovesi abbonati a teatro che non a una squadra di calcio! Il mio turno quindi chissà quando sarebbe arrivato, e nel mentre come vivi? Che fai? Così, nell’attesa, sono tornato a Roma per fare un corso di perfezionamento al Teatro Argentina. Qui ho ritrovato gente della Silvio D’Amico, della Paolo Grassi: un bel mischione, dove ho imparato tantissimo. Li ringrazio ancora adesso perché ho spaziato, facendo pure il Re Lear. Ho conosciuto Ennio Fantastichini, pazzesco!

Alcuni attori di successo si sono sentiti dire, dai loro maestri, che non avevano il fisico giusto per recitare. È successo lo stesso anche a te?
Eccome! Mi dicevano che avevo il naso troppo lungo per fare l’attore: “Non sei videogenico”. Poi, quando ero a Genova, ho incontrato la direttrice di casting Chiara Agnello: era venuta a farci un corso. Mi guarda e mi chiede se avessi un agente. Figurati, era l’ultima cosa a cui pensavo. Ebbene, lei chiamò personalmente la mia attuale agenzia dicendo: “Oh, ti devi prendere questo: è un fenomeno”. Io rimasi scioccato. “Guarda che tu puoi fare tutto, sbrìgate, aspettano solo te!”, mi assicurò. Le devo davvero tantissimo.

Nel film La guerra del Tiburtino III il tuo personaggio si chiama Pinna proprio per via del naso ma, quando gli domandano se il nomignolo gli pesa, sembra quasi indeciso sulla risposta. Tu invece come la vivi?
Con la sua identica indecisione: mica la so quanto è superata e quanto no. In passato ci soffrivo un sacco anche se le battute erano affettuose. Mamma, per prima, ha il mio stesso naso: non poteva quindi mai essere una questione di bullismo. Però, per dire, se facevo il morto in mare gli amichetti mi indicavano urlando: “Barca a vela!!!”. Ora va meglio, la vivo con più serenità, ma ogni tanto mi chiedo: “Chissà se questo me sta a guardà il naso”.

Intanto però il primo film da protagonista te lo sei portato a casa, alla faccia di tutti.
Vero.

Come definiresti la storia: un horror all’amatriciana?
Più uno sci-fi, o un Mars Attacks! all’amatriciana.

I vermoni li hanno aggiunti in post-produzione, giusto?
Macché. Hanno fatto una roba fuori di testa. Gli effetti speciali sono nientemeno che di Sergio Stivaletti: un maestro bravissimo, che ha fatto tutti i film di Dario Argento. E cosa ha pensato bene di fare con noi? Di usare le bacchette. Il verme viene infatti mosso manualmente da delle bacchette, che lui usava come un marionettista. Quindi sentivamo davvero quelle bestie strisciare sulle nostre guance, verso le narici.

Anche se con toni leggeri, il film solleva il tema dell’immigrazione e del pregiudizio. Domandona: che ne pensi?
Rifiuto la domanda e vado avanti. Troppo complicato.

Non ti appassiona la politica?
Al contrario, mi piace da morire. Pensa che quando sono in macchina ascolto sempre Radio 24. Ma non ti dirò nulla sulle mie idee politiche.

Dimmi almeno com’è vivere la propria gioventù in un mondo che è devastato da due guerre e dall’emergenza climatica.
Guarda, io mi ricordo ancora quando alle elementari ci dissero che l’acqua sarebbe finita. Tornai a casa in lacrime, ero sconvolto. E cos’abbiamo fatto nel mentre? Niente. La situazione è persino peggiorata. Io ce credo che gli adolescenti hanno l’eco-ansia. Hai visto come si è ridotto il lago di Bracciano? È terribile.

Anche tu soffri di eco-ansia?
Più che altro mi sento assolutamente impotente. Anche la questione della guerra: è tutto troppo più grande.

Antonio Bannò con Verdone in ‘Vita da Carlo 2’ Foto: Paramount+

Torniamo a noi. Qual è il titolo che ti ha svoltato la carriera?
Vita da Carlo, anche se per strada la gente mi ricorda ancora pure per Suburra.

Un aneddoto su Verdone?
A un certo punto, in una pausa del set, l’attrezzista di scena è andato da Verdone: “Carlo scusame, ma papà sta male”, e gli allunga una ricetta. Lui la guarda e prima mette le mani avanti dicendo “Senti sempre il medico”, e poi snocciola una serie di medicine che avrebbe consigliato lui. Mi ha fatto ammazzare dalle risate.

Com’era il vostro rapporto?
Per me è un mostro sacro, nutrivo un rispetto reverenziale. Sul set, prima dei ciak, ero concentratissimo e muto. Una maschera di sale. Non riuscivo a fare l’amicone, non so perché… voglio dire, è Verdone! A Roma è un’istituzione.

Sarai anche nella terza stagione?
Sì, inizieremo le riprese a breve.

Antonio Bannò in ‘Vita da Carlo 2’ Foto: Paramount+

Prossimamente ti vedremo anche nella serie Gigolò per caso su Prime Video e nel film Disco Inferno di Eleonora Danco. Non starai mettendo troppa carne al fuoco?
No, per niente. Dici che mi sto sovraesponendo? Vado a disdire tutto?

Ti ho messo ansia?
Un po’ sì… (ride)

Chiudiamo con un sogno: il regista con cui faresti carte false per lavorare?
Ken Loach. Un mito vivente. Ma ha quasi 90 anni, mi sa che non faccio più in tempo. Ora che divento degno di lui, muore prima.

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