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Chef Rubio: «I talent culinari? Non mi interessano»

Il cuoco-conduttore torna in tv con i truck driver di 'Camionisti in trattoria', asfalta gli influencer formato social e scioglie ogni dubbio su un possibile nuovo capitolo del cult 'Unti e Bisunti'.
Chef Rubio per "Camionisti in trattoria" - Foto di Chiara Mirelli

Chef Rubio per "Camionisti in trattoria" - Foto di Chiara Mirelli

È stato l’eroe dello street food, ha militato tra i re della griglia, ha cacciato tifosi, ha viaggiato da ricco e da povero e si è sporcato le mani con i lavori più strong in circolazione. Chef Rubio è uno dei personaggi più controcorrente e genuini della tv italica. Uno che non le manda a dire, che si butta nella mischia, ma resta un po’ distaccato dal marasma mediatico conseguente al successo. Rubio è divo, ma non lo è. Uno che cerca in ogni modo di allontanarsi anni luce dall’immagine patinata e un po’ fighetta che gli anno affibbiato. Inoltre è uno di quelli che ci mette la faccia e abbraccia progetti. Come ha fatto con la campagna 5×1000 di Amnesty International in difesa dei diritti umani. Ma il piccolo schermo lo (ri)vuole. Ed eccolo al timone di Camionisti in trattoria, nuovo show di Dmax in onda ogni giovedì, alle 21.25, a partire dal 10 maggio, prodotto da NonPanic. Uno show duro e puro, che rispecchia al massimo il carattere verace del suo conduttore.

Finalmente ritorni con la cucina in tv. Ci hai messo tanto!
Non è dipeso da me, ma da un insieme di fattori.

Quali?
Dopo la fortunatissima avventura di Unti e Bisunti – alla quale sarò per sempre grato – non ho più trovato la possibilità di raccontare qualcosa che mi andasse a genio. E rispecchiasse la mia linea guida di cucina. C’è voluto del tempo perché sono state rifiutate tante cose.

Impossibile non pensare di riassaporare le atmosfere di Unti e Bisunti. In cosa è diverso Camionisti in trattoria?
Sono due prodotti totalmente diversi. Unti ha creato una frattura in televisione, è stato preso come spunto per tanti programmi a seguire, ha fatto la storia. E come tale va ricordato. Per quanto riguarda Camionisti in trattoria, non so se farà la storia, ma sarà un programma on the road e si tornerà a parlare del cibo semplice, nella chiave che preferisco.

Qual è?
Quella di contorno a delle situazioni che raccontano le persone che sono sedute attorno a un tavolo. Il cibo non sarà più la materia prima fondamentale, ma il collante per illustrare le vite dei camionisti. Le trattorie sono il contenitore dove si riversano i contenuti.

Dei camionisti mi ha colpito il senso
di libertà nel loro modo di vivere

Cosa ti ha colpito dei camionisti che hai incontrato?
Il senso di libertà nel loro modo di vivere. Sia che fossero sotto padrone, sia nel caso in cui fossero loro i padroni, poco importa. Alla fine la strada, seppur dritta, da quella sensazione. È un tratto distintivo che ho riscontrato: sono tutti diversi gli uni dagli altri, ma sicuramente accomunati da questo moto perpetuo, da questa insoddisfazione della stasi. Devono costantemente muoversi e vedere nuovi posti. C’è la possibilità di vedere davvero dei bei paesaggi quando sei sul camion.

Qualcosa mi dice che ti ci rivedi in questo senso di libertà…
Sì, infatti mi sono trovato a pennello sia nell’abitacolo che nelle trattorie. Gli argomenti erano, ovviamente, diversi ogni volta, ma la sensazione era comunque di essere sempre in viaggio. E il viaggio mi è molto, molto amico.

Se non avessi fatto il programma, ci saresti andato nelle trattorie che vedremo?
Magari mi sarei fermato se fossi arrivato in una determinata stradina, ma il problema è che sono luoghi non visibili sulle tratte dove sfrecciamo a 150. La velocità da crociera dei camionisti permette di notare cose che, altrimenti, non si vedrebbero.

Torno su Unti e Bisunti. Molti ti vorrebbero rivedere al timone di quel cult. Capitolo chiuso definitivamente?
Mah, adesso è giusto che lo si lasci a riposo per quanto riguarda tutto quello che è stato fatto. E per rispetto alle persone che ci hanno lavorato. La trilogia e il film sono andati alla grande e le energie spese sono state infinite. Se poi, fra dieci anni, sarò ancora appetibile in tv e ci sarà la possibilità, in una maniera o nell’altra di farlo, non escludo nulla. Al momento non è contemplato perché ho dato tutto e la crew ha dato tutto. I ragazzi, poi, si sono tutti disgregati e ognuno ha preso strade differenti. Ripescare lo stesso gruppo – perché altrimenti non avrebbe senso girare – sarebbe difficile perché si tratta di undici persone tutte molto, molto brave che adesso fanno altro. Farle convergere in un programma non sarebbe semplice. Però preferisco avere il bel ricordo e continuare su questa strada.

Hai fatto I re della griglia. Ma non sei a favore dei talent culinari…
I talent culinari non mi interessano. La competizione non rispetta la mia idea di cucina. Non c’è sfida ai fornelli, la gara non ha senso. È una rappresentazione scenica svilente, riduttiva. Mi sono prestato a partecipare a I re della griglia per obblighi contrattuali che rispetto. È stata un’esperienza costruttiva a cui ho dato il mio personale contributo. Una parentesi. Ho rifiutato, poi, ogni offerta di talent che mi è stata proposta.

Ogni anno si parla sempre di te come possibile concorrente di Pechino Express o programmi similari. Ma poi nulla…
Mi sono state fatte proposte ma, per questioni contrattuali con Discovery e la possibilità di accedere ad altri canali, sono sempre state declinate in maniera lusinghiera. Ho ringraziato, ma non mi vedo tagliato per un programma in cui il viaggio non è l’unico obiettivo, ma ci sono anche prove e viaggiatori che non sanno viaggiare. Preferisco non mischiarmi a certe dinamiche.

In che senso?
È divertente e interessante, in futuro non escludo nulla, ma preferisco viaggi di altro tipo. Non mi piacciono molto le sfide in cui devi correre, in affanno, con delle persone che sono ripescate dai meandri della tv del passato o devono essere lanciate. Non mi serve quello, non è nei miei interessi.

Il tuo modo di viaggiare lo troviamo sia sul tuo profilo Instagram che nel tuo libro Mi sono mangiato il mondo.Rizzoli mi ha chiesto se avevo voglia di fare un libro fotografico, eravamo partiti da un altro prodotto, dal taglio un po’ troppo ricercato, con una colorazione in bianco e nero che non era delle più interessanti per il pubblico di larga scala. Abbiamo optato per un racconto con una selezione delle mie migliaia di foto in pellicola, affini al progetto di viaggio, persone e cucina. Spero possa interessare a qualcuno. Sotto ogni foto ci ho messo delle riflessioni, sensazioni a caldo e a freddo, che ho voluto dare per spiegare quello che sono io e ciò che mi ha portato a fare quella foto. Mi auguro possa essere di ispirazione per qualcuno che ama sia viaggiare che scattare.

E i sapori del mondo più “particolari”?
Ce ne sono stati. Tolti dal loro contesto non hanno senso, ma se contestualizzati hanno il loro perché: dal rotten shark in Islanda – una sorta di pesce fermentato putrido – al tofu putrefatto in Cina. In Cambogia ho assaggiato l’uovo con dentro un pulcino che si stava per formare. È stato abbastanza interessante, ma anche difficile da mangiare, così come il cane che, in Vietnam, non ho potuto rifiutare per una questione di rispetto.

Be’ il cane è dura…
Ecco, non è che se vedo un cane lo voglio cucinare. Amo tutti gli animali e l’ambiente.

Il rugby è uno sport inclusivo
che non lascia fuori nessuno

Ami anche i diritti, tanto quanto aiutare le persone in difficoltà. Per questo hai fatto le magliette T-Robin legate al progetto Move Your Body, per avviare al rugby i bambini sovrappeso o con problemi di obesità.
Ho fatto queste T-shirt per aiutare il progetto, nato da Michele La Manna, per spingere mamme e papà a indirizzare i figli verso l’attività fisica e uno sport inclusivo come il rugby, che non lascia fuori nessuno. Il fatto di raccogliere qualche soldo e poterlo girare a questa associazione mi ha allettato. Spero che questo progetto possa prendere vita quest’estate e incentivare le persone sedentarie e che non fanno più movimento.

Pensa, invece, che Lauren, una concorrente di Amici della categoria ballo, ha ammesso di non aver mai pensato al suo peso come un problema, prima di partecipare al talent…
Quelli sono purtroppo stereotipi e messaggi che assimila chi guarda la tv in maniera bulimica. Per contrasto sono sbucate fuori le modelle curvy, ma sono la facciata di un prodotto da vendere. Mentre il messaggio dovrebbe essere che siamo tutti quanti belli, con particolarità e difetti. Invece i messaggi dei social e i suoi influencer sono quelli di essere fighi – e farsi 100 selfie al giorno – per vendere prodotti attraverso le foto. Questo è l’unico obiettivo che, secondo loro, devono avere i ragazzi. Una cosa sbagliata e che condanno.

Effettivamente sui social non le hai mandate a dire a nessuno. Mi vengono in mente Bonci, Brumotti, Fedez, Belen, giusto per citarne alcuni.
Adesso non posso dire la mia sui loro profili perché mi hanno bloccato tutti. Per me sono persone che fanno fatturare chi devono far fatturare, ma non hanno lasciato nulla del loro passaggio se non qualche culo, qualche gossip o qualche frase concordata con l’ufficio stampa. Niente più. Avrebbero potuto fare qualcosa per questi giovani, che sono sempre più dipendenti dalle immagini.

Sei contro ogni tipo di discriminazione. Questa tua lotta continua nasce dal fatto che sei stato discriminato o bullizzato?
Siamo tutti stati vittime. Prima di formarsi caratterialmente escono fuori i difetti e i bambini, quando vogliono, sono diretti e cattivi. Anche io sono stato oggetto di scherno e discriminazione, ma ho avuto il coraggio e la forza di non incassare e non cadere in depressione. Purtroppo non tutti hanno il mio carattere. E si fanno schiacciare da problemi che non esistono.

Hai aperto Tumaga, la tua casa di produzione. Qual è l’obiettivo? E a quando un programma scritto e prodotto da te?
Al momento sono schiacciato da tutti: richieste dei canali, obblighi e dinamiche di management e di percorso, che tolgono la centralità di quello che sono, ma mi permettono di mangiare. Quando tutto questo circo rallenterà un pochino, e riuscirò a trovare il modo di portare a casa la pagnotta a fine mese nonostante una libertà maggiore, allora vorrà dire che potrò dedicarmi alla mia società a pieno. Adesso lo faccio negli scampoli di tempo libero: cerco di scrivere, di preparare documentari, corti e lungometraggi, ma senza finanziamenti e senza vincere dei bandi.

Perché?
Perché gira che ti rigira, pure nei bandi, non tutti gli ultimi stronzi – pur con delle belle idee – possono avere delle possibilità, ma ci sono sempre gli stessi – il parentame e gli amici degli amici – che arrivano prima. Per cui è molto difficile, per me così come per tanti altri colleghi e ragazzi che hanno bellissimi spunti. Tumaga esiste e cerca di crescere piano piano. Siamo ancora agli albori, abbiamo fatto il video Limone di Giancane e un cortometraggio che uscirà a breve. Di colpi in canna ne ho diversi, ma prima devo levarmi di dosso le dinamiche che, volente o nolente, fanno parte del mio personaggio. Quindi al momento è in sordina. Quando ci sarà più tempo, più spazio e più libertà potrò scommettere con la mano pesante. Adesso le economie non lo permettono. Quando ci sarà un po’ di zoccolo duro su cui puntare, non ti preoccupare che tirerò fuori qualcosa.

Perché questo nome, Tumaga, e quali sono i tuoi obiettivi?
Tumatuenga è il nome completo di questa divinità maori depositaria dei segreti del cibo e della forza. Anche lì ho voluto mettere un accento sul carattere, sul non mollare mai. Se un giorno vorrò chiudere Tumaga perché non mi va più, non vorrà dire che non ho più voglia di raccontarmi o esaudire i miei desideri e necessità. È un moto perpetuo di voglia di fare e di condividere, a prescindere da quello che sarà. Adesso mi sto concentrando sulla fotografia, sulla regia e sulla scrittura. Ciò non toglie che, se mi rompo i coglioni, potrò riprendere a disegnare. Idee ce le ho e prenderanno luce quando sarà necessario e opportuno. Prima di allora ci saranno montagne da scalare piano piano. Anche perché piano piano si riescono a imparare i mestieri. E per cambiare rotta bisogna rifare il percorso da capo. Non vado di fretta.

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