Carlotta Gamba, punk è meglio | Rolling Stone Italia
Ciao bambina

Carlotta Gamba, punk è meglio

Se è nei posti migliori in cui una giovane attrice potrebbe trovarsi, è anche perché sembra riconoscersi nei suoi personaggi e in chi la dirige. Lei è attratta dai registi anticonformisti (D’Innocenzo, Delpero, Vicario, Petraglia, Avati: lo sono tutti, in maniera diversa), e loro sono attratti dal suo mistero. Una chiacchierata al Bellaria Film Festival

Carlotta Gamba, punk è meglio

Foto: Francesco Ormando

Styling & Press: Other Agency; Total Look: Chanel; Trucco: Arianna Campa for Chanel Beauty; Capelli: Domenica Ricciardi; Location: Six Senses Rome

«Non sono una che parla molto», mi dice ogni volta, e poi finisce che parliamo tantissimo. Ci eravamo lasciate con una chiacchierata corale insieme a Sara Petraglia e Tecla Insolia per ripercorrere la storia dell’Albero, che in quest’occasione ci riunisce al Bellaria Film Festival, dove Carlotta e Sara sono ospiti per presentarlo. Ci troviamo nella hall dell’hotel in cui alloggiano e, sedute su un divanone in pelle, Gamba inizia a raccontare: «Ci metto un po’ ad aprirmi, tutti quelli che mi incontrano poi mi dicono che la prima volta gli stavo sul cazzo. C’è questa impressione, mi dicono “Eri proprio respingente”, forse perché quando arrivo sono una che vuole stare da parte».

Qualche giorno fa ha vinto il David Rivelazioni mentre faceva il tifo in platea per la sua amica Tecla Insolia, miglior attrice protagonista per L’arte della gioia. Gira una foto in cui Carlotta stringe la mano a Gianni Chiffi – agente di entrambe – e che spiega bene l’emozione. Se dell’Albero parlavamo come di un film sulla giovinezza che se ne va – due attrici, quattro mura, morire per imparare a guardare al futuro – stavolta partiamo dall’inizio. Dal metodo D’Innocenzo, che per primi l’hanno scoperta con America Latina al grido di: “Lo facciamo insieme, recitiamo insieme!”. Ma anche di Dostoevskij, una serie poco vista, poco discussa, forse poco amata: «Posso dirti che io sono un po’ triste», confessa lei. E poi Pupi Avati, che l’ha inquadrata subito: “Io lo so che sei arrivata al provino sapendo al 99% che eri tu, te l’ho visto negli occhi”. L’amore per Vermiglio, non solo da attrice ma quasi da fan, e l’ammirazione verso Maura Delpero per «tutto quel senso di potenza in una persona così calma». Fino all’esperienza fuori dal comune di Gloria!, che per Gamba è davvero il ritratto di Vicario: «Nel film vedo il volto di Margherita, c’è tutta lei anche con le sue storture, le incazzature, il suo modo di essere punk».

E in effetti, se Carlotta Gamba è nei posti migliori in cui una giovane attrice potrebbe trovarsi, è anche perché sembra riconoscersi nei suoi personaggi e in chi la dirige. Lei è attratta dai punk (D’Innocenzo, Delpero, Vicario, Petraglia, Avati: lo sono tutti, in maniera diversa), e loro sono attratti dal suo mistero. Mistero che forse ha origine nella bambina che è stata, emotivamente in bilico tra stabilità e perdita («Non è un caso che io faccia Ambra e ci cada dentro»), e che apre e chiude anche quest’intervista.

Foto: Francesco Ormando; Styling & Press: Other Agency; Total Look: Chanel; Trucco: Arianna Campa for Chanel Beauty; Capelli: Domenica Ricciardi; Location: Six Senses Rome

Forse è la tua fortuna. Ai registi piace questo mistero che ti porti addosso.
Sì… Non so bene da dove venga.

A te piace?
Se lo credono loro, a me va benissimo. Ma non so quanto sia vero, sai, non mi reputo molto interessante. Forse il mio essere silenziosa può portare gli altri a pensarlo… chissà. Tecla, per esempio, a parte che è più giovane di me, poi è più fresca.

Dài, è poco più giovane.
No, non sono pochi. Lei ne ha 21, io 28. Ma Tecla è un caso a parte, non dimostra gli anni che ha.

Quel vostro abbraccio ai David è stato molto bello. Sembravi davvero emozionata nel vederla vincere.
Ero emozionatissima. Avevo dietro di me il nostro agente, Gianni Chiffi, e ci tenevamo per mano a guardarla da lontano. Io non c’entro niente, neanche ci sono nell’Arte della gioia, ma è stato un po’ come se l’avessi preso anche io. Tecla è così giovane, quasi alla sua prima grande esperienza cinematografica, e penso che se lo meriti veramente. La cinquina era piena di ragazze e c’era anche Barbara Ronchi, un’attrice che stimo tantissimo. La gara non era facile, ma lei ha dimostrato tanto in un solo progetto.

Invece il tuo David Rivelazioni? Era ora…
Mah, questi premi sono sempre un po’ complicati. A me la cosa che piace del David Rivelazioni è che siamo sei, perché il cinema lo facciamo insieme, quindi è bello condividerlo ed è più facile vederlo negli altri che in te stessa. Poi mi rendo conto che i progetti che ho fatto sono stati tutti belli, importanti, hanno avuto molta visibilità e anche molto successo.

 

 
 
 
 
 
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Infatti in questi anni sei esattamente dove una brava attrice dovrebbe essere per iniziare.
Tutti mi dicono “Brava, hai scelto bene, hai fatto i progetti giusti”, ma io non ho scelto niente. Sicuramente sento di essere un’attrice molto sincera, e questo non è sempre un bene, perché quando mi capitano dei provini in cui io non credo molto faccio fatica a recitare. È un po’ un limite e un paradosso, perché dovrei riuscire a fare ed essere tutto. Però quando trovo delle sensibilità, delle emozioni, degli agganci emotivi, e quando poi mi dicono “Ti abbiamo presa, sei tu”, sono felice e allo stesso tempo, molte volte, anch’io avevo già sentito che c’era qualcosa nell’aria. Penso ai provini per Gloria!, Vermiglio, Dostoevskij, dove c’era già un gancio tra me e i miei registi, tra me e il mio personaggio, quindi sicuramente c’è stata una scelta inconscia tra me e loro.

I primi a capire che dovevi essere qualcosa sono stati i D’Innocenzo con America Latina. Oggi sai spiegarti cos’è scattato in quell’occasione?
Il provino me lo ricordo molto bene, perché era uno dei primi dopo l’Accademia. È stato strano, sono entrata in questa stanza con loro due, gli agenti, i casting. Erano tutti molto seri e concentrati, e lo ero anch’io, infatti mi dissero: “Abbiamo capito che tu non vuoi parlare, vuoi recitare”.

Che scena portavi?
Mi hanno fatto molto improvvisare, la scena che ho fatto al provino in America Latina non si vede. Era un momento in cui Elio [Germano] entrava in camera, all’inizio del film, e mi faceva delle domande come se stesse già sospettando di me, quindi al montaggio scopriva troppe dinamiche. Poi non so se Fabio o Damiano – perché all’epoca credo di averli anche invertiti – mi hanno detto: “Adesso piangi”. Mi stavano riprendendo sempre a quella distanza molto ravvicinata, e io ho iniziato a piangere. Prima con loro, e poi con Pupi Avati, ho capito che gli incontri fanno quasi tutto ai provini, è una questione di sensibilità, qualcosa che non so spiegarti ma che crea la magia.

Poi con i D’Innocenzo è stata magia anche fuori dal set.
È vero quello che dici, perché poi affrontando America Latina ci siamo riconosciuti nella nostra vulnerabilità, nelle nostre insicurezze, nelle nostre paure.

Per molti dall’altra questa parte non è stato immediato comprendere la loro idea di cinema. All’inizio ti ha spiazzato il loro modo di stare sul set e immaginare un film?
Proprio l’altro giorno stavo dicendo a Fabio: “Guarda che io Favolacce l’ho visto per Elio Germano, non per te!” (ride). Però è vero, c’era un film con Elio e ho voluto guardarlo, perché io La terra dell’abbastanza non l’avevo mai visto. I D’Innocenzo li conoscevo perché di loro si parlava tra noi attori in Accademia, però forse ero meno informata di altri e questa cosa mi ha aiutata. Sono arrivata senza la paura di incontrarli, senza quella soggezione che loro un po’ soffrono. Con loro ho avuto la mia educazione al cinema, al set, al valore della recitazione.

Poi sono arrivati Avati, Delpero, Petraglia, Vicario, tutti molto diversi tra loro. Come ti muovi tra i vari metodi?
Quella è sempre una cosa bella che fa anche un po’ paura scoprire. Può capitare di non trovarsi completamente legata al regista o alla regista, invece a me piace sentire che siamo insieme, e questa è un’idea che probabilmente mi hanno appioppato i Fratelli D’Innocenzo (ride). Loro sono molto presenti con gli attori: “Lo facciamo insieme, recitiamo insieme!”, questa è la loro frase ed effettivamente è vera. La cosa interessante è che con questi registi sento sempre un collegamento, anche con Pupi Avati che ha un metodo diverso, è un altro cinema, un’altra cosa.

Il più punk tra i punk. Com’è davvero Pupi?
Pupi ha questo modo che magari ti prende e ti parla come ai David, quando mi ha vista e mi ha detto: “Tu devi ringraziare me”. È il suo modo e io lo adoro, c’ha anche ragione, anche se ovviamente non devo ringraziare solo lui. Una volta mi disse: “Io lo so che sei arrivata al provino sapendo al 99% che eri tu, te l’ho visto negli occhi”. E sai, magari noi attori un po’ ci vergogniamo a dirlo, però è vero. Uno deve arrivare lì pensando di essere quel personaggio, di portarselo a casa. Quando lui mi disse questa cosa mi fece capire qualcosa di me, di quello che io porto a un provino. In quel caso lui faceva Dante e io Beatrice, e il mio provino era proprio lo sguardo di Beatrice verso Dante. Io mi giravo e vedevo Pupi.

Carlotta Gamba nei panni di Beatrice in ‘Dante’ di Pupi Avati. Foto: 01 Distribution

In effetti anche Margherita, Maura e Sara hanno un’anima punk alla regia, no?
Mi trovo sempre con i punk (ride). Sono tutte persone presenti e vicine, anche per Vermiglio ai provini ho recitato con Maura. Margherita era nel lavoro, completamente in mezzo. Questo a me serve, sentire i tiranti di chi mi tira, come se io fossi il burattino.

Vicario è stata la direttrice d’orchestra di un film che sembra diretto dalla musica. Sul set di Gloria! lo hai percepito?
La musica c’è sempre stata, fin dall’inizio, noi portavamo gli strumenti e dovevamo fingere anche solo di suonarli. Lei ci fece fare le prove di scena sulla musica e a tempo di musica, fece anche delle playlist per ogni personaggio. Erano due discorsi che non si potevano separare, non mi era mai capitata una cosa del genere. Quando ho visto il film ho detto: questa è Margherita, vedo il volto di Margherita, c’è tutta lei anche con le sue storture, le incazzature, il suo modo di essere punk, c’è lei anche nel mio personaggio, quella foga di Lucia di voler prendere tutto. La scrittura dei D’Innocenzo, di Maura, Sara e Margherita ha dentro qualcosa di profondamente personale che poi tutti loro riescono a trasformare in qualcosa di umano. Si dice sempre che “questo film parlerà a tutti”, però con loro mi stupisco. Quando leggo i Fratelli D’Innocenzo dico: “Ma come cazzo fai a raccontare questa cosa e aver preso me, che non c’entro niente?”.

Carlotta Gamba in ‘Gloria!’ Foto: 01 Distribution

Anche per Dostoevskij hai fatto provini?
Certo, loro hanno fatto tantissimi provini per Ambra, e c’era Fabio che mi diceva: “Oh, devi fare un provino pazzesco perché Ambra non la stiamo trovando!”. E io: “Sì, però calmati, ché io ho già l’ansia di mio…”. Ne ho fatti due, il primo era la scena della spiaggia e il secondo quella dell’ospedale, in cui volevano vedere una cattiveria, più che una tristezza, che non erano abituati a vedere in me.

Credi che Dostoevskij abbia avuto abbastanza risonanza, che sia stato visto davvero?
No. E posso dirti che io sono un po’ triste. Perché per quello che poteva essere, poteva vivere più di così. Non voglio dire niente, non lo so, anche essere usciti al cinema una settimana a luglio non ha aiutato tantissimo. E la pubblicità che c’è stata, è stata un po’ scarsa. Poi sicuramente Dostoevskij non è un prodotto che metti in Tv alle cinque del pomeriggio.

Quello per te è stato il personaggio della vita?
Sì. Infatti ho un po’ paura. Poi c’è Fabio che mi dice: “Ma va’, tu farai cose ancora più belle”, però Ambra è al primo posto.

Perché proprio Ambra?
Perché ancora oggi, se ne parlo, mi emoziono. È stato il personaggio che mi ha travolta, mi ha presa, rigirata e rimessa in piedi. Io con quella ragazza, che per me esiste, non ho nulla a che fare. Non c’è niente tra me e lei. Ma questo sentirsi figlia di nessuno, questa voglia di capire a tutti i costi il perché sono in vita, perché tu sei mio padre, perché non c’eri, prima con quella testardaggine e poi con quella tenerezza infinita di andare dalla psicologa, nel momento in cui comprende tutto… Quando ho interpretato Ambra sono stata colta da una specie di transfert e non mi era mai successo, a un certo punto ho smesso di ragionare come Carlotta.

Filippo Timi e Carlotta Gamba in ‘Dostoevskij’. Foto: Sky

È un dolore che ti appartiene?
Mio padre è la persona con cui ho più difficoltà, ma anche quella per cui provo un amore inestimabile. È una cosa di cui parlo molto anche in terapia. Sai, i miei genitori si sono separati quando avevo sei mesi. Io ho vissuto una settimana da mio padre e una settimana da mia madre, finché non sono arrivata al liceo e ho studiato a Torino. Questa cosa di averli e non averli, di lasciarli per andare una volta da uno e poi dall’altra, è stabilità e insieme perdita. Sono i rapporti più complessi che possiamo vivere, abbiamo questo legame indissolubile che ci è stato dato, non l’abbiamo scelto. Non lo scegliamo.

Vermiglio cosa ha rappresentato per te?
L’ho detto anche ai David, io sono una grande fan di Vermiglio. Da subito, dal selftape e poi dal provino di due ore che ho fatto con Maura. Prima ho fatto il provino per Lucia, poi sono stata presa per fare Virginia (al contrario, fino all’ultimo Martina Scrinzi era in ballo anche per Virginia, nda). Quando finalmente ho letto la sceneggiatura ho detto: “Ma questo è un film stupendo, meraviglioso”. Ero di una felicità quando andavo sul set, si partiva, si arrivava in montagna, si incontravano altre persone di un altro mondo, i non-attori di quel posto con vite, storie, sogni e desideri completamente opposti ai miei. Pensavo: “Siamo nel 2024 e loro desiderano avere una fattoria, ma quanto è bello?”. Tutto mi ha sovrastata.

Invece cosa ti ha fatto innamorare di Maura Delpero?
Sono molto affascinata dalla sua intelligenza, dalla capacità di dire cose giuste e importanti con riguardo e tranquillità. È arrivata ai provini incinta di circa otto mesi, mentre il film affrontava il tema della maternità. Stupenda. Mi sono innamorata di Maura anche perché era parte di ciò che stava raccontando, delle storie, del luogo, dei singoli. Ammiro moltissimo tutto quel senso di potenza in una persona così calma.

Oggi da chi vorresti essere diretta, tra gli italiani?
Alice Rohrwacher. Tutto quello che ha fatto l’ho amato.

Hai mai fatto un provino con lei?
Solo un selftape per La chimera e non è andata. Già piangevo, già era troppo. Ma sogno di lavorarci.

E con chi vorresti lavorare tra le colleghe e i colleghi?
(Pausa, ride) Alba. Oh, a me piacciono le famiglie, i fratelli, le sorelle. Ma anche con Jasmine Trinca e Luca Marinelli… ce ne sono tantissimi.

Foto: Francesco Ormando; Styling & Press: Other Agency; Total Look: Chanel; Trucco: Arianna Campa for Chanel Beauty; Capelli: Domenica Ricciardi; Location: Six Senses Rome

Direi di salutarci con L’albero. L’ultima volta ci hai raccontato che il “tuo” albero è rimasto nell’infanzia. Può essere che il mistero che ti porti addosso sia legato alla malinconia?
Possibile, sì. Cerco di lavorare sempre con la sincerità, quindi devo sentire un po’ di trauma, la ferita. Tutti i personaggi che ho fatto hanno qualcosa di rotto dentro. Probabilmente le mie ferite sono qualcosa che riscopro e riapro quando incontro loro. Non è un caso che io faccia Ambra e ci cada dentro. Ho capito che il mio esser stata bambina, così come lo sono stata, è una cosa sacra. Devo molto a quella bambina.