Bruce Springsteen: «I personaggi di ‘Western Stars’ sono il catalogo dei miei errori» | Rolling Stone Italia
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Bruce Springsteen: «I personaggi di ‘Western Stars’ sono il catalogo dei miei errori»

Il musicista racconta a Rolling Stone il senso del film, nei cinema italiani il 2 e 3 dicembre. «Scrivo canzoni sui miei fallimenti nella speranza di aiutare i fan a non fare gli stessi sbagli»

Lo scorso 25 agosto Bruce Springsteen ha celebrato i 44 anni dall’uscita di Born to Run, suo terzo album in studio, mentre a settembre ha compiuto 70 anni. Dovremmo festeggiarlo, ma il regalo ha deciso di farlo lui a noi: il 2 e 3 dicembre arriva infatti in sala il docufilm Western Stars che segna il suo debutto da regista insieme al collaboratore storico Thom Zimny. «La mia autobiografia, lo spettacolo che ho portato in scena a Broadway (disponibile su Netflix, nda) e questa pellicola sono un riassunto della mia esperienza di vita fino a questo punto», ci ha raccontato il Boss in esclusiva a Londra. La location del documentario è il fienile di casa sua, in New Jersey: è lì che, accompagnato da un’orchestra e da sua moglie Patti Scialfa, Springsteen suona dal vivo le canzoni del suo diciannovesimo album, Western Stars, uscito a giugno. «Ogni mio lavoro non è altro che l’estensione di una conversazione che porto avanti con il mio pubblico da 45 anni: scrivo delle mie esperienze e del prezzo da pagare per gli errori che ho commesso, sperando di aiutare i miei fan a non fare gli stessi sbagli».

Perché hai voluto rivisitare le canzoni di Western Stars usando il linguaggio del cinema?
Quando scrivo racconti o canzoni, che si tratti di The Ghost of Tom Joad, Nebraska o Western Stars, li penso sempre come piccoli film. Spero che il pubblico le veda allo stesso modo. Musica e cinema si intrecciano da sempre nel mio lavoro. Con questo film siamo andati oltre mostrando non solo la mia performance con l’orchestra, ma anche piccoli cortometraggi fra una canzone l’altra che fanno entrare l’ascoltatore ancora più a fondo nella musica.

Il film è una conversazione con i tuoi fan?
Certo, è quello che faccio da 40, 45 anni. Ogni mio album o lavoro è l’estensione della conversazione che porto avanti con la gente. Abbiamo un pubblico italiano molto appassionato e per me è un grande piacere, mi dà una gioia enorme. Mi piace porre nuove domande e proporre idee che possono arricchire le vite dei fan. Le mie canzoni invitano a fare il punto su chi sono, che cosa stanno facendo, come vivono.

Il tuo lavoro li può ispirare, può arrivare persino a cambiare il modo in cui guardano la vita.
Tutta l’arte lo fa, in un modo o nell’altro. Ti toglie i paraocchi, ti dà una visione più ampia. O almeno questa è la motivazione di qualunque artista e performer.

Che cosa significa per te essere autentico?
L’autobiografia, lo spettacolo a Broadway e questo film sono un riassunto delle mie esperienze di vita fino a oggi. Ciò che le persone percepiscono come autentico oggi non è altro che un’esplorazione della tua vita emotiva, della tua saggezza emotiva. La vivono come una conversazione onesta che apre i cuori e li spinge a vivere appieno con i partner, gli amici, la comunità.

A proposito di saggezza, ascoltando le tue riflessioni nel film mi è venuta voglia di scriverle su un foglio e attaccarle alla parete. Da dove viene questa saggezza? Hai sempre avuto chiare in testa le tue priorità?
No. La saggezza nasce dal non avere le idee chiare sulle mie priorità e dal dolore derivante dagli errori compiuti. Il film e i personaggi del disco sono il catalogo dei miei errori. Molti hanno fallito in modo o nell’altro, o hanno fatto scelte sbagliate o hanno imboccato una brutta strada. Scrivo di queste esperienze e del prezzo che paghi per gli errori che compi, sperando che aiuti qualcuno a evitare di fare quegli stessi errori. A volte funziona, a volte no, ma è questa la mia ambizione, per me stesso e si spera per i fan.

Quanto c’è di te nei personaggi di Western Stars?
Dipende da canzone a canzone. Nei pezzi c’è sempre la mia vita emotiva. La gente sa che ci metto ogni volta qualcosa di me. Io, molto semplicemente, cambio di volta in volta il contesto, può essere il West o la costa Est, magari il protagonista è un cowboy oppure uno stuntman. Metto assieme personaggi i cui dettagli di vita sono interessanti al fine di scrivere storie brevi in cui c’è comunque sempre una grossa parte di me. È quel che le rende vere.

Nel film c’è un pezzo della tua vita privata. Ci sono ad esempio immagini della tua luna di miele. Com’è nata l’idea?
È stato Thom. Stavamo cercando di disegnare un arco narrativo, un processo che alla fine del film portasse alla scoperta di sé. Lo spettatore vive questo arco narrativo assieme al performer. Per farlo, avevo bisogno di dare alla gente un’idea di chi sono e di chi cerco di essere oggi. Thom aveva catalogato i miei vecchi filmini casalinghi e me li ha restituiti per Natale, perciò ne conosceva il contenuto. Li ha ripresi in mano trovando spezzoni che né io, né Patti avevamo visto negli ultimi trent’anni. Era quello di cui avevamo bisogno.

Hai detto che Western Stars è una sorta di lettera d’amore a tua moglie, che appare nelle performance dal vivo. In che modo ti ispira?
La persone che ami sono sempre fonte d’ispirazione. Patti è una grande cantante, una grande autrice e una grande donna. Se fossi stato più sveglio le avrei chiesto di cantare anche sull’album. E avrei fatto bene a chiederle di cantare di più nel film. La sua presenza e la nostra esperienza di vita assieme sono al centro del film.

Uno dei temi del film è la lotta tra libertà individuale e vita in comune. È una lotta che a un certo punto finisce?
No. Come dico nel film, non ci sono risposte, ci sono solo domande migliori. Ogni singolo giorno ci troviamo di fronte alla possibilità di rovinare tutto o di fare le cose per bene. Non è una lotta che si esaurisce. Va avanti. Magari diventi più bravo a gestirla e ti crei una vita piena, sul lavoro e a casa. È un viaggio quotidiano. Tocchi ferro e ti auguri che domani sia un giorno migliore.

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