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‘Boris’, la reunion per i 10 anni: non fate le cose a cazzo di cane!

Abbiamo girato a Caterina Guzzanti e Alessandro Tiberi, tra i protagonisti della serie-cult rilanciata da Netflix, la domanda che tutti si fanno: ci sarà una quarta stagione?

Foto: Fox Channels Italy

Parafrasando un vecchio adagio trapattoniano, gli spettatori di serie tv si dividono in due categorie: quelli che sanno le battute di Boris a memoria, e quelli che stanno per impararle. La cagna maledetta. A cazzo de cane. Smarmella. I toscani che hanno devastato questo paese. La locura. F4, basito. Genio! Gli straordinari de Libbbeccio. Il fiume Ngube che pare Pomezia. La faccia intensa che è la più difficile. E dai dai dai!

E, visto che siamo in odor di citazioni, la prima regola della quarta stagione di Boris è che non si parla della quarta stagione di Boris. Il rischio è che i ninja di Netflix escano dall’ombra e pongano fine alla vita di chi sta scrivendo questo pezzo. Perché, al netto del successo e delle tante repliche, è stato proprio l’approdo sulla piattaforma di streaming ad aver dato una nuova vita a Boris, LA serie tv italiana, regalandole una nuova generazione di spettatori curiosi di sapere se vi saranno ancora avventure per il divo Stanis, il regista Ferretti e tutto il resto dello sgangherato cast. Nuova generazione che, per non farsi mancare nulla, ha lanciato quest’estate una petizione online (sottoscritta anche da parte del cast) per lanciare un’ideale quarta stagione. Le parole sibilline di uno dei produttori della serie, Lorenzo Mieli, rilasciate tre mesi fa in un’intervista con Repubblica avevano ulteriormente ravvivato la fiamma della speranza – in realtà mai del tutto sopita – tra i fan, ma oggi non se ne parla.

«Noi attori siamo sempre gli ultimi a sapere le cose» è la risposta data sia da Caterina Guzzanti, che interpreta Arianna, l’assistente di produzione col duro compito di mettere ordine al caos, sia da Alessandro Tiberi, lo stagista protagonista della serie. E così abbiamo trovato un comodo giaciglio al famoso elefante nella stanza. Se non è possibile parlare del futuro (e questo, in qualche modo, è un indizio che qualcosa bolle in pentola), meglio rivolgere lo sguardo al passato: l’occasione è data dalla reunion del cast (non la prima e – verosimilmente – neanche l’ultima), a dieci anni di distanza dal termine della serie, al Lucca Film Fest.

Caterina, che bilancio fai, dieci anni dopo, di questa esperienza?
Caterina Guzzanti: Io sono tra quelli che la serie l’hanno anche vista, perché poi, quando sei lì che la giri, non è sempre semplice rendersi conto di quello che sarà il risultato finale, dato che le scene non si girano in ordine cronologico. Boris l’abbiamo vista in una fase primitiva della tv a pagamento, perché Sky l’avevano in pochi, e su FX (il canale satellitare che lo trasmise originariamente, ndr) faceva dei numeri buoni per il canale, ma modesti in senso assoluto. L’abbiamo vista tutti insieme, come si fa in questi casi, a casa di Calabresi (Paolo, che interpreta l’elettricista Biascica, ndr), che ha un salone molto grande, in un trionfo di lasagne e grandi magnate. Poi però me la sono rivista anche da sola tutta di fila, e oggi ti posso dire che riscopro quanto era fico, quanto funzionava, che ritmo incredibile avesse, quante battute entrassero una appresso all’altra. Sai, oggi molti pensano che Boris sia una cosa nuova. E quindi sui social ci fanno le battute, mi chiedono «Ma è vero che voti Berlusconi?», e io rispondo «Sono dodici anni che me lo chiedete». Poi ci sono anche altri casi, mamme che mi scrivono che adesso lo stanno rivedendo con i figli adolescenti, e anche tantissimi ragazzini, che oggi son più svegli e riescono a coglierne lo spirito, l’hanno visto. Per cui: bilancio positivo, è una serie che non invecchia.

Alessandro, come pensi che si sia sviluppato – idealmente – il tuo personaggio?
Alessandro Tiberi: O è rimasto così o è diventato il Dr. Cane (ride). O rimane quel che è o passa al lato oscuro. Siccome questo paese cambia tutto per non cambiare niente, potrebbe anche essere rimasto lo stagista. Però ecco, quando si tratta della scrittura di Giacomo e di Luca (Ciarrapico e Vendruscolo, gli sceneggiatori della serie insieme allo scomparso Mattia Torre, ndr), visto che Mattia non c’è più, io li conosco, aspetto solo che venga loro l’idea, che sarà sicuramente quella giusta. Credo profondamente nel loro lavoro, li seguo da quando avevo 18 anni, abbiamo fatto i primi spettacoli insieme, sono loro che detteranno la linea, saranno loro a scegliere che succederà ad Alessandro, e io sarò lieto di farlo.

Ma, al netto del fatto che questa chiacchieratissima nuova stagione si concretizzi o meno, a voi piacerebbe farla?
CG: Da spettatrice non la vorrei, ma a me Caterina piacerebbe molto rifarla, anche se la vedo rischiosa. Come tutte le cose belle, è sempre un po’ complicato andare avanti. Dopo tre stagioni si è detto un po’ tutto quello che si poteva dire sui problemi che può riscontrare un regista sul set. Se si facesse, penso che cambierebbero vittima: non credo che sarebbe più la fiction italiana, e anche il mondo del cinema è già stato preso di mira nel film.
AT: Sì. Io sono uno di quelli che pensano che sarebbe interessante capire com’è cambiata la televisione. E, siccome Boris ha sempre raccontato anche il Paese, capire anche come questo sia cambiato. Prima il nemico era la televisione generalista con le fiction brutte, adesso c’è Netflix, Sky, le fiction sono fighe.

Lo scenario delle serie è completamente cambiato.
AT: Be’, sì, di Occhi del cuore ormai ne è rimasta solo una… che continua a fare il massimo degli spettatori, eh (ride). È come con le canzonette, a ’sto Paese piacciono le canzonette e quelle ci teniamo. Però sarebbe interessante vedere una stagione ambientata oggi, per capire cosa si potrebbero inventare gli autori. Per quello a me piacerebbe rifarlo. E comunque anch’io sono uno spettatore della serie, nel senso che non vedrei l’ora di rivedere in azione Stanis.

Antonio Catania, Caterina Guzzanti e Alessandro Tiberi durante la reunion per i 10 anni di ‘Boris’. Foto: Laura Casotti

Quando avete capito di aver dato vita a un prodotto di culto?
CG: Quando hanno cominciato a scaricarselo brutalmente e a passarselo. Lì abbiamo capito che, al di là di Fox, c’era un passaparola che ci ha sorpreso tutti. Alla fine della prima stagione già volava.
AT: Io reputo loro, gli autori di Boris, di culto. Hanno un punto di vista talmente personale sulle cose, sul mondo, che per me sono cult. Inizialmente credevo che la serie sarebbe piaciuta solo agli addetti ai lavori. Ho cominciato a rendermi conto che la serie stava raggiungendo un altro livello quando quelli che facevano altri lavori mi dicevano «Il mio ambiente di lavoro è così, il mio ufficio è così». Boris ha raccontato il mondo del lavoro. Il set era lo specchio di questo Paese, con i suoi problemi, senza mai giustificare né salvare alcun personaggio: i protagonisti son così, cattivi, spietati, cinici, e gli autori non li assolvono mai, ma neanche li giudicano. In questo senso del paradosso è uscito fuori Boris. La serie è piaciuta al professore universitario, ma anche al punk tatuato con la faccia cattiva. È forse questione di empatia che si crea fra personaggi e spettatori, e fra gli spettatori stessi: se trovi un altro a cui piace Boris sei suo fratello, ti aprirebbe subito casa.

Caterina, ho dato un occhio alla tua pagina Facebook, e ho notato che qualsiasi cosa tu possa postare, dalla gita fuori porta a un ritratto di famiglia, i commenti che ricevi sono sempre legati a Boris. Non avete paura di restare ingabbiati dal suo perdurante successo?
CG: Li vedo anche sulla Partita, il film di Pannofino (Francesco, che nella serie interpreta il regista René, ndr) e Alberto Di Stasio: la gente vede René. A parte che Pannofino è sempre René (ride), è il suo modo di interagire. A volte sembra quasi che la gente non ti voglia in un altro ruolo, e che tenti sempre di ricondurti a quello che ama. A me non dispiace, io sono molto affezionata ad Arianna perché – assieme ad Alessandro – è il personaggio serio in una sfilza di personaggi esilaranti, e io di questo sarò eternamente grata agli autori: di avermi affidata un ruolo che non è comico, così da poter dimostrare che posso fare anche altro oltre alla commedia, quando molti invece mi vedono sempre come quella delle imitazioni, delle gag. È difficile staccarsi da una certa immagine. Ecco, forse mi sono stancata di questo, non del personaggio di Boris.
AT: Il rischio di chi fa questo lavoro è sempre quello di rimanere un po’ ingabbiato: il problema dell’etichetta è una cosa che io non sento sulla mia pelle, lo sento come pregiudizio degli altri. Tu magari hai fatto anche altre cose, ma tanto per loro tu sarai sempre quello: fino a che non farai qualcosa che spacca il culo a Boris, e allora diventerai quello. È qualcosa che lascio agli altri. A me piace vedere gli attori comici che fanno ruoli drammatici, mi piace vederli cambiare, è una roba tutta italiana questa, all’estero si gioca molto di più su questo contrasto. Mi sento emotivamente, affettivamente, professionalmente legato a quel ruolo, ma non mi sento inchiodato a quello. Per molti sono Carlo, il personaggio di Tutto può succedere: ripeto, è un problema molto italiano! (ride). Ma non lo vivo come un dramma, lo rifarei cento volte.

È rimasto ancora qualcosa da dire su questa serie?
CG: Si è detto tutto su Boris. Interviste di tutti i tipi, un fracco di gente ci ha fatto la tesi, ci son stati dibattiti, sono stati fatti adesivi con i tormentoni, che altro resta da dire? Per parlare di altro servirebbe del nuovo materiale borisiano, anche perché in un eventuale Boris 4 saremmo dei vecchiacci e dovremmo reinventare tutto, tutti i personaggi, non è possibile che io stia ancora a rincorrere René o che Alessandro, alla veneranda età di 43 anni, stia ancora a portare i caffè.
AT: È la domanda più difficile che mi puoi fare. Perché è stato sviscerato tanto, si è detto di tutto. C’è una cosa che ogni tanto dico, che mi piace che scrivano i giornalisti anche se poi non lo scrive mai nessuno: ovvero che, a volte, il messaggio di Boris può arrivare distorto. Si parlava prima delle battute che vengono riapplicate ai contesti di lavoro diversi, chiudi tutto, smarmella, a cazzo di cane. Ecco: a cazzo di cane. Boris è stata scritta perché le cose NON vengano fatte a cazzo di cane, sia chiaro. Non ci deve essere questo equivoco. Le cose non devono essere fatte a cazzo di cane, devono essere fatte bene. Credo che Boris sia stata scritta proprio per vedere come non si fa la televisione o, in generale, come non dev’essere un ambiente di lavoro.

Qualcuno, in realtà, sostiene che già la terza stagione della serie fosse un po’ più fiacca rispetto alla prime due.
CG: (fa il verso della cerniera sulla bocca per non rispondere) La terza stagione era diversa ed è anche stata affidata ad un altro regista.

Non tutti sono stati presenti a questa reunion. Volete spendere due parole per Mattia Torre e Roberta Fiorentini, l’attrice che interpretava Itala, scomparsa lo scorso anno?
CG: Intanto, non riesco a immaginare visivamente Boris senza Itala, mi sembra che l’immagine del combo, quella scatola che il regista guarda accanto alla segretaria di edizione, sia un quadretto perfetto, un cubo al centro con loro due ai lati. Di Mattia si è detto tanto e ci manca terribilmente. È impensabile che sia morto a 47 anni e che non ci sia più.
AT: Io non riesco tanto a parlare di Mattia. È come se entrambi fossero ancora più presenti di prima, come se fossero sempre con noi. Fino a che non riesco a rendermi conto di cosa sia successo non riesco a dire nulla, e ancora non penso di esserci riuscito. Mi mancano molto.

Caterina, mi spieghi la differenza tra bella, bona e fregna?
CG: Ti dico che, nel 2007, la parola fregna non era ancora sdoganata. Non per me, almeno. Era una cosa molto volgare. Però il fatto che questa ragazza così carina chiedesse espressamente, come se fosse al mercato, delle fregne, tirava fuori tutta la brutalità del suo lato maschile e pratico. E quindi è una cosa che funziona estremamente. Adesso si usa anche fra donne dirsi «Ah, quanto sei fregna!», ma è una roba legata più al sex appeal, che accende desideri particolari anche se non è una bellezza assoluta.

Su cosa state lavorando oggi?
CG: Ho un film assurdo che esce giovedì, una commedia che si chiama Burraco fatale, quattro amiche di Anzio che fanno i tornei di burraco e una di queste si innamora di un principe arabo. Sono quattro donne di periferia interpretate da me, Claudia Gerini, Paola Minaccioni e Angela Finocchiaro, la regista è Giuliana Gamba, che è una signora di Pesaro che ha scritto questo film pensando alle sue amiche borghesi di provincia che giocano a carte, e che in questo caso si interfacciano con la realtà dell’altro, dello straniero, del pericolo, ma anche dell’amore adolescenziale e travolgente. Secondo me è un film spensierato e divertente. Niente tv all’orizzonte.
AT: Una commedia per il cinema girata in Abruzzo, ambientata in un paese chiamato Rapino. Il regista è Pierluigi Di Lallo, il titolo ancora provvisorio Troppa famiglia. Una roba cinica e divertente su una famiglia che non si vuole per niente bene. Sarà la prima cosa che farò dopo il lockdown, e se da una parte non vedo l’ora, dall’altra temo che sul set possano cambiare un po’ le atmosfere, tra distanziamento e mascherine.

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