‘Black Mirror 5’, la tecno-paranoia di Charlie Brooker è tornata | Rolling Stone Italia
Interviste

‘Black Mirror 5’, la tecno-paranoia di Charlie Brooker è tornata

Cosa dobbiamo aspettarci dalla quinta stagione di una delle serie più inquietanti degli ultimi anni? Abbiamo incontrato il creatore e la produttrice, che hanno discusso (tra di loro) anche della minaccia Trump

‘Black Mirror 5’, la tecno-paranoia di Charlie Brooker è tornata

A distanza di sei mesi dal debutto di Bandersnatch, primo film interattivo di Black Mirror, la serie antologica premiata con 5 Emmy e creata dall’inglese Charlie Brooker (anche produttore esecutivo insieme ad Annabel Jones) torna su Netflix il 5 giugno con una quinta stagione al fulmicotone. Tre episodi (anche se gli autori preferiscono definirli film), zeppi di colpi di scena e caratterizzati da humor nero e paranoia, che puntano a mettere in discussione il nostro rapporto con la tecnologia e a esplorare il modo in cui stanno cambiando le nostre relazioni.

Nel primo, intitolato Striking Vipers, Anthony Mackie (Falcon nella saga degli Avengers) è un uomo sposato che si lascia tentare dall’idea di tradire sua moglie. Il secondo, Smithereens, ha per protagonista Andrew Scott (Sherlock, Fleabag) nei panni di un tassista che prende in ostaggio un passeggero quando scopre che quest’ultimo lavora per un’azienda chiamata Smithereens. L’ultimo, Rachel, Jack and Ashley Too, è invece incentrato su una popstar in crisi di nome Ashley (Miley Cyrus) e sulla teenager che la venera: la ragazza ha appena presentato al mondo una bambola interattiva, Ashley Too, che potrebbe però essere meno innocua di quanto appaia.

Le quattro stagioni precedenti erano composte da 6 episodi: perché stavolta solo 3?
Charlie: Il fatto è che è trascorso poco tempo dall’uscita di Bandersnatch: un titolo che, all’inizio, apparteneva alla quinta stagione. Mentre ci stavamo lavorando ci siamo resi conto che l’impegno era equivalente a quello necessario per realizzare un’intera stagione. Inoltre, da un punto di vista tecnico, non eravamo certi che avrebbe funzionato correttamente su tutti i dispositivi. Non aveva senso lanciare una stagione di cui era possibile vedere solo una parte: abbiamo optato per una release indipendente anche per prenderci più tempo e perfezionare alcune cose, come gli effetti speciali.
Annabel: A chi si lamenta del numero di episodi rispondo che stavolta, anzi, abbiamo lavorato anche di più rispetto al passato.
Charlie: Eh già! La durata complessiva di Bandersnatch arriva a 5 ore, mentre la quinta stagione è di 3 ore totali. Il pubblico potrebbe pensare: perché così tanto?

A proposito di Bandersnatch: a quali conclusioni siete giunti, analizzando le nostre scelte come spettatori?
Annabel: le tue scelte sono state molto buone, non preoccuparti (ride).

Quante persone volevano che il personaggio in scena morisse?
Charlie: Netflix ci ha comunicato una percentuale, non il numero esatto di spettatori. Alcuni risultati erano prevedibili, mentre altri mi hanno sorpreso. C’è stata una cosa in particolare che mi è rimasta in testa.

Quale?
Charlie: Hai presente quando devi uccidere il padre del protagonista e il corpo è sul pavimento? Si può scegliere se farlo a pezzi o seppellirlo. Ebbene, la spaccatura nel pubblico è stata la stessa del voto per la Brexit: 48% per farlo a pezzi, 52% per seppellirlo, mentre noi ci saremmo aspettati molto di più. Insomma, si tratta ovviamente di numeri maledetti.

Cosa farete con queste informazioni?
Charlie: Naturalmente ci servono per reclutare degli assassini! (ride) Per noi autori sono dei dati interessanti: se dovessimo pensare di girare un altro film interattivo, terremmo in considerazione le scelte e i percorsi presi dalla maggior parte delle persone. Ma non credo che queste scelte possano davvero dirci qualcosa sulla personalità di chi ci segue.

Da dove hanno origine le vostre idee? È questione di andare oltre i limiti la tecnologia di cui siamo in possesso oppure si tratta solo di esplorare il tema della paura?
Annabel: La quinta stagione è piuttosto interessante, da questo punto di vista. Smithereens è una storia contemporanea, che non getta uno sguardo al futuro: viviamo già nel momento raccontato dal film, in cui le persone hanno un rapporto conflittuale con il proprio cellulare. Striking Vipers, invece, guarda al sofisticato mondo del porno, qualcosa con cui le generazioni più giovani stanno crescendo e che sta influenzando il loro atteggiamento verso il sesso e sessualità.
Charlie: In realtà non sviluppiamo mai la trama intorno a un tema. Le idee scaturiscono dalle nostre conversazioni: Cosa accadrebbe se…? Non sarebbe interessante o imbarazzante se ci trovassimo in una determinata situazione?

Insomma, non avete una strategia. Sentite però un qualche tipo di responsabilità in quanto autori, visto che raccontate la tecnologia e il modo in cui sta cambiando la società?
Charlie: Se le persone dovessero sentire che stiamo impartendo loro una lezione, si chiuderebbero a riccio. Lo farei anche io, in quanto spettatore. Se uno sceneggiatore mi dicesse cosa devo pensare, gli risponderei “Fottiti”. Attraverso la fiction, però, si può alterare il modo in cui lo spettatore ragiona, semplicemente facendolo calare nei panni di un altro. San Junipero era una storia d’amore omosessuale tra due persone anziane, eppure non viene percepita così. Credo che sia la storia più onesta che abbia mai scritto, in cui si parla di una donna bisessuale, anziana e di colore, che si innamora di una lesbica paraplegica. Ma non è il primo aspetto che viene in mente. Non voglio imboccare il pubblico dicendogli come deve sentirsi. È una questione complicata e ci sono temi caldi come il cambiamento climatico: mi sento in dovere di fare qualcosa al riguardo, ma qual è la trama che potrebbe davvero cambiare le cose? Sospetto che sedermi in mezzo alla strada e bloccare il traffico porti a più risultati, rispetto alla scrittura di una sceneggiatura.
Annabel: La nostra serie tratta le emozioni e le nostre capacità sociali, piuttosto che la tecnologia. E, trattandosi di un’antologia, possiamo giocare con idee, storie e generi diversi. La gente reagisce sempre in modo imprevisto: c’è chi si arrabbia e chi ride, di fronte allo stesso episodio.

Andrew Scott nell’episodio ‘Smithereens’

Charlie, nel 2016 hai dichiarato che la più grande minaccia per l’umanità sarebbe stata l’elezione di Donald Trump. Il mondo è peggiorato anche sotto altri punti di vista, da allora.
Annabel: Davvero pensi che Trump sia la più grande minaccia? Non ne sono convinta. Che cosa ha fatto, oltre a dividere la nazione e ad incarnare una forza negativa?
Charlie: Beh, ha minato la democrazia americana.
Annabel: La democrazia americana lo tiene sotto controllo, però.
Charlie: Non so quanto tu segua da vicino quello che ha fatto. Sta smantellando un sacco di cose, 10 bambini sono morti al confine. Non ci sono stati lutti per anni, mentre ora ce ne sono stati 10. È deprimente. Esistono minacce esistenziali più grandi, che lui non fa nulla per evitare. il cambiamento climatico e la guerra sono probabilmente le più grandi minacce al mondo. Vogliamo fare una lista?
Annabel: Sono problemi che potrebbero appartenere a qualsiasi epoca. Oggi l’idea di una guerra è, anzi, meno probabile che in passato.
Charlie: Non sono d’accordo.
Annabel: Neppure rispetto agli anni ’80?
Charlie: La guerra è più probabile oggi anche rispetto al 2007. Ad ogni modo, pensavo che Trump avrebbe vinto e che saremmo morti entro 9 mesi. È una piacevole sorpresa scoprire che, invece, siamo vivi. Trovo inquietante il modo in cui ci siamo abituati alle cose che dice e fa. Ripenso alla prima volta in cui ha twittato qualcosa sui missili nucleari. Mi sono detto: “Oddio, devo iniziare a costruire un bunker”. Oggi, invece, scuoto la testa e penso che è solo il presidente che parla di guerra nucleare.

È il paradosso della rana nella pentola: la rana non si rende conto che l’acqua sta bollendo fino a quando non viene cotta.
Charlie: Noi, in compenso, siamo consapevoli che l’acqua sta bollendo. Siamo a rischio, ma forse non tutto è così apocalittico come pensiamo. Prendiamo la crisi dei missili cubani, quando la gente andava a letto col timore di non svegliarsi più a causa della possibilità di uno sterminio nucleare durante la notte. Anche quando i nazisti stavano spazzando via l’Europa, sembrava la fine del mondo. Abbiamo affrontato grandi minacce, in passato, e ancora oggi lo facciamo in altri modi. Temo, però, di non avere soluzioni. Viviamo in tempi complicati, ma credo che si debba cercare di restare sani e provare a ragionare in funzione del futuro. E lo dico io, che sono un eterno pessimista!