Bernardo Bertolucci: le più belle interviste di 'Rolling Stone' | Rolling Stone Italia
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Bernardo Bertolucci: le più belle interviste di ‘Rolling Stone’

Dalla sessualità alla politica, dal suo rapporto con Godard alla riflessione sullo stato del cinema: due estratti delle migliori conversazioni con il Maestro tra il 1973 e il 1979.

Bernardo Bertolucci: le più belle interviste di ‘Rolling Stone’

Credit: GIACOMINOFOTO / IPA

Rolling Stone ha intervistato Bernardo Bertolucci un paio di volte: nel 1973, poco dopo l’uscita di Ultimo Tango a Parigi e nel 1979, in occasione dell’uscita de La Luna. Ecco alcuni estratti di quelle conversazioni con Jonathan Cott tra cinema e politica.

21 giugno 1973

La sessualità e la politica emergono in tutti i tuoi film – a volte in modo confuso. Mostri personaggi che sembrano essere sessualmente liberi da molti punti di vista, eppure le loro azioni spesso rivelano una personalità fondamentalmente non libera. Sto pensando alla nevrotica Gina in Prima della rivoluzione; a Dreifa, l’amante e la madre surrogate in La strategia del ragno; l’eroe narcisistico di Pierre Clementi in Partner; Dominique Sanda ne Il Conformista; e ora Marlon Brando in Ultimo Tango a Parigi. Con Marcello (Jean-Louis Trintignant) ne Il Conformista ci restituisci un personaggio in cui il fascismo è una sorta di omosessualità repressa. Wilhelm Reich scrisse che il fascismo è solo l’espressione politicamente organizzata del carattere umano medio. Sei d’accordo?
Sì, penso che l’uomo medio sia fascista. Tutti i miei personaggi sono persone normali che sono consapevoli di essere mediocri e si sentono a disagio rendendosene conto.

Se la tendenza fascista è universale, perché rendere molti dei tuoi personaggi fascisti anziché comunisti?
Beh, perché l’uomo medio è fascista. Tutti i miei personaggi sono predestinati. Sono condannati, ma non è il destino che ha deciso di condannarli, è il loro inconscio.

Non pensi che sia possibile essere liberati?
Certo, ma mi interessa di più a mostrare il processo di liberazione che non la liberazione stessa.

[…]

Jean-Luc Godard ha affermato che è importante non fare film sulla politica, ma piuttosto fare film in modo politico. Sembra che tu stia davvero dalla parte opposta rispetto a Godard.
Sì, Godard ed io eravamo amici intimi. Ha lasciato una proiezione di Ultimo Tango a Parigi dieci minuti dopo l’inizio. E ho sentito che in un certo senso, andandosene, mi volesse mandare un messaggio. Manteniamo il rapporto pur senza vederci, attraverso gesti simbolici. Ma sono d’accordo con Godard sulla differenza tra i due tipi di produzione cinematografica. Io sto facendo film sulla politica. Ho anche fatto un film politico, lo scorso anno, per il partito comunista italiano – sulle condizioni terribili degli ospedali di Roma – che è stato mostrato per le strade, utilizzando le pareti come schermi.

So che Visconti, Pasolini e Petri sono stati o sono ancora comunisti. Ma c’è una qualità specificamente romantica e operistica in molti film di Visconti e Pasolini.
Il marxismo può contenere l’opera. Nel 1800 l’opera era ancora estremamente popolare. Penso che Godard nel suo primo film fosse un anarchico di destra; ora è un anarchico di sinistra. Per me, gli anarchici sono pericolosi per la lotta delle masse. Dobbiamo fare una distinzione tra il Maoismo in Europa – che è una nevrosi del piccolo borghese – e il Maoismo in Cina, dove è una realtà fondamentale.

15 novembre 1979

È un luogo comune che i film non sono più quelli di una volta.
Ti dirò quello che vedo qui nel cuore dell’Impero, a Hollywood. C’è molta energia, molti soldi … Ma penso che non ci siano molte idee e troppi film in giro. C’è una proporzione inversa tra l’eccitazione e il risultato, i soldi e gli spunti.

[…]

Con alcune eccezioni, le persone non sembrano essere troppo interessate a film seri o rischiosi in questo momento.
Ma hanno sempre fatto film molto divertenti qui. Questo era l’obiettivo. Ma ora sta accadendo qualcos’altro che va oltre lo spettacolo. Il problema è la crisi dei valori. Pensa ad Apocalypse Now e La Luna, tra gli altri: questi film parlano del declino e della caduta dell’impero occidentale, della nostra cultura, dei nostri valori.

L’intensità de La Luna suggerisce questa erosione.
Puoi vedere il film per quello che è, ma sei anche costretto a pensare ad altre cose mentre lo guardi. La Luna è il mio primo film nel presente, forse Ultimo Tango. Quando parli di sesso, parli del presente.

Parlando del presente politico: a parte la scena con il giovane ragazzo arabo, il film non si collega con la violenza politica in Italia oggi.
Non ho cercato di affrontare il presente politico italiano perché le cose stanno accadendo e cambiano così rapidamente, e perché oggi è tutto incomprensibile. È interessante piuttosto guardare alla realtà di Los Angeles. Ogni volta che vengo qui, sento che le persone sono così isolate e non si preoccupano di quello che succede nel resto del mondo. E mi piace molto stare qui. Ma questa volta è diverso, sento che c’è qualcosa di sbagliato.

L’impero sta tremando. Le persone qui stanno cominciando ad essere consapevoli del resto del mondo. E in Italia molte persone lo sono già, come per una sorta di risposta alla violenza, parlando e concentrandosi sulla loro interiorità.

Ma Mustafa, il ragazzo arabo ne La Luna, è la testimonianza più diretta. Dice: “Vendo droghe perché devo mangiare”. Caterina risponde, “Cazzate, non ti piace lavorare, altrimenti potresti trovare un lavoro.” E lui risponde. “Sì, odio lavorare perché non c’è lavoro”. È molto semplice. Possiamo affrontare il declino e la caduta. E accettarli. Gli anni Settanta rispetto ai Sessanta sono stati tempi di disillusione. Ma penso che i primi anni Ottanta saranno diversi; sembra che qualcosa stia ricominciando.

Addirittura nel 12esimo secolo, un poeta giapponese scrisse: “anche in un’epoca andata a male, la via del poeta resta chiara”.
È divertente come un poeta creda nella lirica, esattamente come l’agente di borsa crede che IBM salirà nelle quotazioni (ride). L’agente pensa che la verità stia nella borsa. Il poeta crede che stia nella lirica. La poesia è l’unica cosa che non può essere consumata.

Dove stai fisicamente quando giri un film?
Sto vicino alla telecamera ed è come se fossi diviso in due. Guardo gli attori e guardo la telecamera come se fosse un altro attore. E mi concentro sull’armonia tra la cinepresa e gli attori. Preparo ogni inquadratura in un modo molto specifico, ma non riesco a girare da solo … proprio come non riesco a scattare una foto, è sempre sfocata. Ecco perché mi piace lavorare con le stesse persone, perché sanno esattamente quello che voglio. Mi piace stare da solo in una stanza con un mirino e immaginare gli attori e lo scatto.

Poi chiamo gli attori e proviamo, e cerco di dare loro il tipo di movimenti che ho pensato prima, verificando con la camera cosa ho immaginato attraverso il mirino. Alla fine, giriamo. Deve essere tutto pianificato, ma mi piace parecchio essere sorpreso da un attore che fa qualcosa di inaspettato. Amo le sorprese e le vedo sempre come regali.

Con quali giovani registi trovi qualche tipo di affinità?
Mi sento vicino alle strutture di Oshima, all’illuminazione di Francis Ford Coppola, alle ossessioni sul cinema di Bogdanovich e alla violenza gesticolare di Glauba Rocha.