'Baby': noi, ragazzi dei Parioli | Rolling Stone Italia
Interviste

‘Baby’: noi, ragazzi dei Parioli

Come tradurre la vita dei ragazzini in una serie credibile? Facile, seguendoli in discoteca (mica a scuola) e facendo scrivere un collettivo under 30. Alla scoperta del linguaggio dello show con i GRAMS.

‘Baby’: noi, ragazzi dei Parioli

Le protagoniste di 'Baby' Alice Pagani e Benedetta Porcaroli scattate in esclusiva per 'Rolling Stone' da Alessandro Treves.

Odio fare le interviste di gruppo, è sempre un caos: tutti si parlano addosso e poi, quando devi trascrivere la registrazione, ti tocca ricostruire chi ha detto cosa. Insomma, una seccatura. Ma nel caso dei GRAMS, il collettivo di autori che ha sceneggiato Baby, è stato diverso, in parte perché i ragazzi sono stati decisamente disciplinati, e poi perché la sensazione è stata quella di entrare nelle loro dinamiche di pensiero, di discussione persino, «visto che quando lavoriamo ci scanniamo», confessano. Antonio Le Fosse, Marco Raspanti, Re Salvador, Eleonora Trucchi e Giacomo Mazzariol, o tre romani, una ligure e un veneto (non è una barzelletta), hanno una caratteristica poco comune nel panorama italiano: l’età, che va dai 21 ai 28 anni, ed è una bella variabile quando devi raccontare l’universo degli adolescenti.

Scrivere un teen drama in un Paese in cui un prodotto del genere non si faceva da una vita significava «partire da una tela quasi bianca, avevamo un immaginario italiano da ricostruire e volevamo farlo il più realisticamente possibile, discostandoci da altri show che come spettatori ci avevano allontanato», spiega Antonio. In altre parole, i GRAMS avevano chiaro quello che volevano evitare, il classico prodotto sui ragazzi creato da chi non parla la loro lingua. «L’obiettivo era indagare il loro punto di vista senza mai guardarli dall’alto, abbandonare ogni giudizio per vivere con i nostri protagonisti questo percorso, anche dark, fatto di scelte sbagliate, che però, viste con i loro occhi, acquisiscono un’altra luce», dice Eleonora.

Nessun filosofeggiare alla Dawson’s Creek quindi, ma piuttosto spazio all’immediatezza del linguaggio teen, all’imbarazzo, alla goffaggine persino, «a un approccio crudo alla Skins, che mostrava una naturalezza e un lato oscuro coinvolgenti. Anche 13 è stato un modello aspirazionale: era la prima volta in cui i problemi dei teenager venivano affrontati con la serietà degli adulti». Poi, ovviamente, c’è la questione dei social network, «che sono il principale strumento di interazione degli adolescenti», sottolinea Giacomo, «abbiamo inserito nella grammatica della serie le Instagram Stories come mezzo di racconto».

Per appropriarsi dello slang, i GRAMS hanno fatto ricerca sul campo «non tanto nelle scuole, quanto nelle discoteche, perché i pariolini fanno una vita da sogno e la nostra analisi è concentrata più sul quartiere che sulla generazione», afferma Antonio. «Volevamo entrare nella quotidianità dei ragazzi che vivono nel migliore dei mondi possibili, almeno sulla carta, e capire perché hanno delle vite segrete nonostante questo», continua Eleonora. Quella che vedrete è una Roma meno riconoscibile, più nascosta, è la Roma dei giovanissimi.

Comprendere i teenager bene della Capitale, vuol dire anche chiedersi cosa ascoltano: solo nel primo episodio si sentono Da sola/in the night di Takagi & Ketra (feat. Tommaso Paradiso ed Elisa), Cazzate di Cosmo, Cono gelato della DPG, Il ragazzo d’oro di Gué Pequeno. «La sfida di fare un prodotto glocal è che il local lo apprezzi», dice Giacomo, «se ai ragazzi dei Parioli questo progetto non piacesse salterebbe tutto il realismo che ci caratterizza. Il composer, Yakamoto Kotzuga, è riuscito a mettere insieme sonorità internazionali ed elettroniche, da serie tv di Netflix, con questi pezzi italianissimi».

Veniamo al punto più controverso: il caso delle baby squillo dei Parioli. «Abbiamo letto tutti i faldoni giudiziari ma non abbiamo inserito niente di reale. Ci ha affascinato l’idea di una ragazza che si prostituisce anche se non le manca nulla, poi però è diventata semplicemente una delle storie», spiega Antonio, perché l’urgenza, sintetizza Re, «era raccontare un insieme di personaggi con in comune una cosa: la fame di amore in un mondo in cui forse l’amore non è possibile».

Altre notizie su:  Baby GRAMS netflix