Aurora Giovinazzo, corpo libero | Rolling Stone Italia
La vita è scomoda

Aurora Giovinazzo, corpo libero

Ballerina e attrice appena 21enne che gioca per lo spettacolo, si sta imponendo al cinema per il suo approccio fisico e il suo magnetismo. Dall'esordio di lusso con Gabriele Mainetti al nuovo film di Ferzan Özpetek: una chiacchierata sugli scogli (e dove sennò) al Figari Film Festival

Aurora Giovinazzo al Figari Film Festival 2023

Aurora Giovinazzo al Figari Film Festival 2023

Foto: Gabriele Careddu. Dress: Federica Tosi

«Ti va se facciamo l’intervista sugli scogli?», mentre Aurora Giovinazzo me lo propone si sta già arrampicando. È fisica, è forte, ha ventun anni e ne ha trascorsi la metà tra scuole di ballo e set. L’agonismo ce l’ha addosso, non riesce mai a stare seduta, che poi è la stessa descrizione che farà lei di Gabriele Mainetti tra poco. In questi giorni al Figari Film Festival (ribattezzato «il festival della presabbene», dove i film si guardano sulla spiaggia di Golfo Aranci, in riva al mare della Sardegna, e ognuno smette per un po’ di recitare il suo noioso ruolo sociale), Aurora è libera di dare spettacolo. «Questa situazione non mi pesa per niente, ma altre volte ho provato disagio. Dopotutto sono piccolina e con il tempo ci farò il callo, come per le gare. Ho iniziato ad affrontare le competizioni con tranquillità dopo dieci anni di agonismo».

Non è più la ragazzina di Freaks Out, ma in fondo è circense in ogni gesto che fa. Nel modo in cui riempie lo spazio e ci intrattiene parlando delle radici religiose della rumba, del sincretismo tra santo cattolico e orisha, del lavoro degli schiavi africani che si è trasformato in danza, del passo stanco e trascinato che ha dato vita al merengue. Ci insegna un po’ di storia, ci mostra la tecnica, balla in spiaggia divertita, è magnetica e lo sa, ma non capisce quanto. Tornata a Roma si allenerà per i Campionati nazionali di danze caraibiche e poi usciranno tre film che la vedranno protagonista: The Cage (Massimiliano Zanin), Una madre (Stefano Chiantini) e Nuovo Olimpo (Ferzan Özpetek). Ancora una volta, tre progetti diversissimi tra loro. È come se Giovinazzo non avesse età e non si fermasse su alcun genere, salta dal teen al thriller, sembra nata per il dramma ma poi studia l’MMA per l’action movie. Con lei passa tutto dal corpo, che è potere, consapevolezza e tradizione. Lo ha imparato ballando ma anche lavorando l’orto insieme ai nonni, nella casa di campagna da bambina. Che sia una battuta o una bachata, ogni performance dev’essere uno show: «Io sono una di quelli che vogliono creare spettacolo. E come crei lo spettacolo? Arrivando sempre con un abito nuovo». In gara come in scena.

Dici “sono piccolina, ma sono anche una rompicoglioni che non sa nascondere quello che pensa”.
Essere se stessi significa anche mostrare i propri colori, no? Emozioni e sfumature diverse. Nel nostro ambiente più ne hai e meglio è, perché ti identifichi ed esci dalla massa.

Prima raccontavi che, quando ti chiedono se preferisci ballare o recitare, tu vorresti rispondere: “Il ballo non mi dà da mangiare e mi distrugge fisicamente. La recitazione mi distrugge solo mentalmente”.
Uno sport a livello agonistico ti prende gran parte della giornata, subisci innanzi tutto uno stress fisico, soprattutto se non ti fermi da anni. A lungo andare riconosci di avere vent’anni ma con il fisico di un’ottantenne. Non è piacevole, però ti sei presa le tue soddisfazioni.

Aurora Giovinazzo al Figari Film Festival 2023

Foto: Gabriele Careddu. Dress: Federica Tosi

È paradossale perché come attrice ti stai imponendo con una grande presenza fisica. Noi ti percepiamo forte e tu ti senti stanca.
Vero. Sicuramente nei film mi capita spesso di lavorare con il corpo, e mi viene facile perché lo coordino bene. Se un ruolo è sportivo mi cimento, mi butto mesi e mesi sull’allenamento, anche per scomporre la ballerina che è in me. Il ballo mi è servito molto nella recitazione, e la recitazione mi è servita nel ballo.

In che modo?
Quando ballo interpreto ogni azione che faccio con il corpo. Ogni movimento ha una sua espressione. Quando sto sotto gara divento un’altra persona, sono una circense, sono allegra, mi piace dare spettacolo. Non so se hai visto i miei abiti da ballo, ma esprimono proprio quel carattere che voglio tirare fuori in gara.

Sono tutti abiti creati da tua mamma.
Si è improvvisata sarta per un fattore economico, i vestiti da ballo costano molto e io sono una di quelli che vogliono creare spettacolo. Come crei lo spettacolo? Arrivando sempre con un abito nuovo. Mi piace immaginare che il pubblico stia lì a chiedersi “chissà che vestito si sarà messa Aurora stavolta”. Quindi io e mamma ci siamo messe d’accordo, lei è la sarta e io la mente. Mi aiuta a creare la mia immagine, è una tuttofare, ha le mani d’oro, lavora come restauratrice insieme a mio padre.

Economicamente c’è una bella differenza tra un primo posto in una gara di ballo e una giornata di set?
Non mi sbilancio sui numeri, ma la differenza è netta. Questo perché non è uno sport chissà quanto famoso. Poi tutto varia rispetto ai ruoli e al percorso che fai, ma per il ballo all’inizio devi spendere molti soldi, soprattutto se vuoi arrivare in alto. Per mantenere una carriera agonistica devi fare tante lezioni con insegnanti diversi, poi corsi, palestre, viaggi per seguire stage. Nel ballo come nel cinema, devi crearti un nome. E se hai il nome, lavori.

Invece la prima volta che ti hanno pagato per recitare, cosa hai provato?
Quella è stata un’emozione forte, molto appagante. Soprattutto in tenera età, perché su Freaks Out avevo sedici anni. Quel primo guadagno l’ho investito nel ballo, ci ho pagato lezioni e trasferte per le gare. Ritrovarsi a vent’anni a guadagnare qualcosa che supera lo standard dei tuoi coetanei ti fa capire che sei tu quella fuori posto. Sto bene, sono indipendente, ma ci vuole sempre la testa. Per fortuna i miei genitori mi hanno insegnato fin da subito il valore dei soldi.

Racconti di essere una bugiarda cronica prestata al cinema. Si smette mai di dire bugie?
(Ride) Di bugie ne dico sempre tante. Con la differenza che ora mi capita di sentirmi dire “tanto lo so che stai mentendo, perché sei un’attrice e ti viene bene”. Adesso mi sgamano subito, gli altri se l’aspettano da me e io mi aspetto la loro reazione. Da ragazzina invece mi divertiva molto, per questo mia madre mi ha tirato un calcio e mi ha lanciata in questo settore.

Tanti piccoli ruoli, poi il botto con Freaks Out. Era quello che ti aspettavi?
In realtà non mi aspettavo niente.

Aurora Giovinazzo in ‘Freaks Out’. Foto: 01 Distribution

Prendi un film enorme con Mainetti, sei tra i protagonisti, ti lanciano come talento esordiente. Davvero non sapevi cosa andavi a fare?
Lo sapevo, ma non ero del tutto cosciente perché – appunto – avevo sedici anni. Non conoscevo ancora bene il settore né l’importanza di certi film. Certo, già che era cinema avevo capito che era un botto di roba. Qualche aspettativa me la sono creata sognando, ma avevo paura. Se non fosse successo ci sarei rimasta male.

A conti fatti, invece, cos’è successo dopo Freaks Out?
A conti fatti ho avuto un trampolino di lancio enorme. Gabriele è stato la svolta della mia vita lavorativa. Ci penso sempre e lo ringrazierò per sempre. Lui sa che ormai è nel mio cuore, poco ma sicuro. Sul set lo sentivo quasi come un padre, quando dovevo soffrire per fare delle scene lui era con me. Mi scatenava quella rabbia, quella frustrazione e quel dolore, ma allo stesso tempo li colmava. Mi ha costruito una carriera, grazie a lui sto con un’agenzia importantissima, la TNA, e grazie a quel film ho potuto scegliere quali strade iniziare a intraprendere.

Lo hai capito con Mainetti cosa significa essere diretta?
Sto ancora scoprendo come sono fatta, come lavoro, come dovrei lavorare, cosa è meglio per me. Grazie a Gabriele ho scoperto la passione che c’è dietro alla realizzazione di un progetto tuo. Si sentiva la sua preoccupazione, il fuoco che brucia continuamente e ti stressa l’anima. Gabriele sta sempre in piedi, non riesce a sta’ seduto, e quello è proprio carattere. È bellissimo perché lui è così incazzato nel volere quello che ha in testa, che tu, da attore, come minimo glielo devi dare. A costo proprio de famme male.

L’uomo sulla strada, opera prima di Gianluca Mangiasciutti, era un po’ la prova del nove, il “vediamo come se la cava dopo Freaks Out”.
Quel ruolo l’ho sentito particolarmente naturale, è stata la prima volta che mi sono rivista e ho apprezzato il mio lavoro. Avevo studiato molto con un acting coach, ho seguito un’idea precisa e ho provato a riportarla fedelmente in scena.

L'uomo sulla strada I Trailer Ufficiale

Anni da cane, regia di Fabio Mollo, per Amazon Prime Video. Non è solo tv, non è solo cinema: è piattaforma. Ed è praticamente l’unico progetto teen che hai fatto.
La differenza si sente, perché c’è un regista che prende in mano un progetto non suo. E Fabio mi è piaciuto tantissimo da quel punto di vista. In Freaks Out facevo la tredicenne, nell’Uomo sulla strada la diciottenne, in Anni da cane dovevo fare la sedicenne mentre avevo vent’anni, accanto a Federico Cesari che ne aveva tipo venticinque… Fede, non ricordo bene la tua età, scusami se ho sbagliato. È stata un’enorme sfida, invece pensavo che non lo fosse. Con un ruolo per teenager devi stare attenta alla caricatura, per trovare la via di mezzo ho studiato parecchio. La sfida era interpretare una ragazzetta infantile, mettere in pratica il kamasutra, calcolare la mia età come quella di un cane ma senza dimenticare che dietro a tutto questo c’era un trauma.

Anni da Cane |TRAILER UFFICIALE | AMAZON PRIME VIDEO

Un anno da attrice quanto pesa? Hai mai l’impressione di contare anche la tua età come quella dei cani?
Gli ultimi cinque anni mi sono passati velocissimi, e questo mi spaventa tanto. Il tempo a volte non gioca a nostro favore, e io sono una persona che si emoziona molto. Provo tanta nostalgia per certi tempi, infatti quel film mi ha scossa, così come Matilde (il personaggio di Freaks Out, nda) è cresciuta insieme ad Aurora. Quelli erano davvero i miei sedici anni, ero incazzata col mondo senza saperlo, sempre accigliata e pronta a litigare. Matilde si è presa un po’ di questa mia rabbia e io mi sono presa la sua dolcezza, la sua fragilità. Adesso so’ una piagnona.

Di cos’è che hai tanta nostalgia?
Della mia vita quando ero piccolina. A casa mia, in campagna, a Boccea. Durante il giorno avevo sempre qualcosa da fare. La bicicletta con mia nonna, togliere le erbacce con il mio coltellino, mangiare le verdure crude con mio nonno, rompere le nocchie, mangiare le noci prese dall’albero, le cosce delle monache, i frutti, fare l’olio con le olive dell’orto, piantavamo i fagioli e in casa avevamo le galline, e poi l’uovo sbattuto con lo zucchero (fa una pausa). Il rumore del cucchiaio che sbatteva l’uovo, la mattina, e io sapevo che di lì a poco mia nonna mi avrebbe svegliata.

Abiti ancora lì?
Sto sempre là, ma non è più quel tempo. I nonni non ci sono più, la casa sembra ingestibile e quegli anni mi fanno molto commuovere. Purtroppo devo ancora capire se la nostalgia mi sta simpatica o no. Se mi fa bene oppure no. Piango spesso perché vorrei tornare là, a quella situazione familiare, a tutto quello che ho imparato dai miei nonni.

Sto pensando che parli come una persona che ha appena girato un film con Özpetek. Ha lasciato il segno?
Può essere. Io con Özpetek mi sono emozionata. Il film affronta quattro decenni e a un certo punto è come se ti ritrovassi grande, a pensare che era solo ieri quando avevi vent’anni.

Del film non possiamo ancora parlare, ma del “tocco Ferzan” sì. Cosa ti porti a casa?
La sua dolcezza, la sua tenerezza. Ferzan è una persona che ama tanto. Lo senti che è genuino, che vuole metterti al sicuro anche quando non ti conosce. Sei sul set e pensi “questa persona forse mi vuole bene davvero”. Ha guidato noi giovani con attenzione, ma ci ha anche lasciato libero arbitrio. E se un regista del calibro di Ferzan si mette a disposizione dei giovani, questo racconta molto di lui.

The Cage (action movie diretto da Massimiliano Zanin, in cui Giovinazzo interpreterà un’ex promessa dell’MMA femminile, nda) è la conferma che la tua tenuta fisica e il lavoro che fai sul corpo iniziano a identificarti. Senza girarci intorno, per un’attrice – italiana – è un posizionamento raro.
Be’, grazie sport e grazie papà per la struttura fisica (ride). Lo dico perché così quando mio padre lo legge si emoziona. Non mi è mai piaciuto essere così muscolosa, me ne sono sempre vergognata. Sai gli stereotipi che si creano intorno a un corpo atletico? A tredici anni mi hanno detto cose orribili, mi hanno criticato le spalle, dicevano che sembravo un uomo. “Il corpo femminile dev’essere piccolo e delicato, deve avere la struttura di un uccellino”. Io invece sono completamente l’opposto, e in più so’ bassa. E in più sono romana, quindi sì, so’ pure rozza. Poi un giorno ho detto a Gabriele (Mainetti) che gli altri mi preferivano con i capelli lisci, lui mi ha guardata e mi ha risposto: “Ah frate’, tu sei riccia? Ti piaci così? Allora gli altri si devono attacca’ al cazzo”. Da lì mi sono detta: sai che c’è? Ora applico questa filosofia a tutto.

Questo che ho di fronte è ancora il fisico che vedremo in The Cage?
No, ora ho rimesso su qualche chilo. Per il film ho fatto tecnica e preparazione atletica. L’obiettivo era mettere massa muscolare, cioè quello che ho sempre voluto evitare. Invece per The Cage ho perso quel poco di massa grassa che mi dava delle forme, e così sono diventata super definita. Muovevo il braccio per prendere un bicchiere e sentivo la musica nei muscoli, sembrava il braccio di un supereroe, tutto tirato. Fichissimo.

Per te l’MMA era un mondo ignoto prima del film?
Sì, anche se le arti marziali mi sono sempre piaciute. Infatti i film che preferisco sono gli action o i thriller, quelli in cui la gente si mena. E amo i film di guerra. Per farti capire, mi viene subito in mente Extraction (con Chris Hemsworth, infatti, nda). Ti dico una cosa ridicola: quando da piccola mi chiedevano il mio nome, rispondevo “Bond. Lola Bond”. Innamorata di James Bond da sempre (si alza dagli scogli e improvvisa un combact in acqua, nda).

Gli insider dicono che il lavoro che hai fatto su Una madre di Stefano Chiantini è molto tosto.
Perché la storia è molto tosta. Se per me The Cage è stato il film fisicamente più duro, Una madre è stato duro emotivamente. Abbiamo creato un personaggio con estremi disagi sociali, è un film tutto al femminile e io sono la più giovane del cast.

Dopo Freaks Out poteva andare in due modi: talento o meteora. C’è una critica che ti ha colpito?
Essendo una sportiva, la critica non è mai un motivo sufficiente per abbattermi. Però ricordo un commento dopo Freaks Out: “Ammazza come frigna ’sta ragazzina, piange sempre”. Questo chiedeva il mio personaggio, mica posso dirti che non mi piace la guerra sorridendo. Però lì ho pensato che sarebbe stato bello fare anche un ruolo non drammatico. Ed è arrivato: Ferzan Özpetek. Sarà un ruolo acceso, coloratissimo.

Quando parli di ballo sei molto lucida, conosci i tuoi punti di forza. Di Aurora attrice cosa pensi?
Forse il mio punto di forza è sapere sempre come stare in scena e cosa fare del mio corpo. Fisicamente mi conosco, però la parte interessante è lavorare sull’opposto: io in scena cerco di stare scomoda. E torna ancora una frase di Gabriele Mainetti, da quando me l’ha detta è diventata la mia filosofia. Sul set di Freaks Out stavamo girando una scena difficile e io continuavo a dirgli: “Gabrie’, sto scomoda. Come me metto?”. Lui si è avvicinato e mi ha risposto: “Brava, Auro’. La vita è scomoda. Adattate”.