‘Assassinio a Venezia’ a suon di Oscar. Quello di Hildur Guðnadóttir | Rolling Stone Italia
Murder, she composed

‘Assassinio a Venezia’ a suon di Oscar. Quello di Hildur Guðnadóttir

Abbiamo incontrato la compositrice islandese premiata per ‘Joker’, che passa alle atmosfere “gialle” di Kenneth Branagh e del suo Hercule Poirot nel capitolo più riuscito della saga ispirata ad Agatha Christie. Anche grazie alla colonna sonora

‘Assassinio a Venezia’ a suon di Oscar. Quello di Hildur Guðnadóttir

Kenneth Branagh è Hercule Poirot in ‘Assassinio a Venezia’, da lui anche diretto

Foto: Rob Youngson/20th Century Studios

Gli Avengers in fondo sono sempre esistiti, solo si vestivano meglio. Si chiamavano Sherlock Holmes, Maigret, Miss Marple e Poirot, tanto per citarne alcuni. Dalla produzione letteraria di genere del XX secolo il cinema potrebbe trarre storie per decenni e prosperare tranquillo, creando tanti franchise che in alcuni casi potrebbero diventare addirittura dei mash-up. Strane terminologie parlando di Agatha Christie, ma la modernità incombe. Così come il terzo capitolo delle avventure del più grande detective del mondo (no, spiacenti, non è Batman), il belga Hercule Poirot, che da qualche anno Sir Kenneth Branagh si è dilettato a riportare sullo schermo dandogli il suo particolare tocco. Che non è necessariamente un bene, a dire il vero. Assassinio sull’Orient Express faceva tanto, ma tanto rimpiangere il precedente adattamento di Sidney Lumet, film che si aggira dalle parti del capolavoro. Su Assassinio sul Nilo meglio stendere un papiro pietoso, e le aspettative per questa incursione veneziana erano bassine.

Invece Kenneth ci ha sorpresi, rileggendo e riscrivendo il romanzo Hallowe’en Party (da noi Poirot e la strage degli innocenti) contaminando i generi, inserendo una sottotrama horror e creando atmosfere cupe e dal respiro pesante, proprio come quello con cui l’umido clima veneziano attanaglia chi non è abituato a vivere tra i canali. Questa maggiore attenzione alla scrittura e alla messa in scena ha distolto Branagh dalla cosa che ama di più: sé stesso. Con tutte le positive conseguenze del caso, perché se è pur vero che il personaggio stesso di Poirot vive nel culto della sua persona, in questo caso ci troviamo di fronte a un uomo che ha perso certezze e passioni, segnato dalla Seconda guerra mondiale e ritiratosi a Venezia, incurante delle molte richieste d’aiuto che ogni giorno gli vengono fatte.

Kenneth Branagh con Tina Fey e Michelle Yeoh in una scena del film tratto da ‘Poirot e la strage degli innocenti’ di Agatha Christie. Foto: Rob Youngson/20th Century Studios

L’intreccio di Assassinio a Venezia, nelle sale dal 14 settembre, si dipana tutto all’interno di un decadente e inquietante palazzo veneziano, di proprietà di una ex diva della lirica (Kelly Reilly) ritiratasi a vita privata dopo il suicidio della figlia. La pensione dell’investigatore gourmet viene disturbata da una sua cara amica scrittrice (Tina Fey) per partecipare, nella notte di Halloween, a una seduta spiritica per cui è stata chiamata una medium (Michelle Yeoh, premio Oscar quest’anno per Everything Everywhere All at Once) dalla controversa fama. Qualcuno morirà, e Poirot dovrà scoprire il colpevole. E anche svelare altri misteri che non sono di questo mondo.

Assassinio a Venezia si fa guardare. Senza troppi orpelli intellettuali, è intrattenimento come in fondo è sempre stata anche la produzione letteraria di Agatha Christie, ma avercene. A questo Branagh ha aggiunto un gusto per la costruzione cinematografica dal sapore quasi shakesperiano, con un impianto scenografico assai teatrale, una fotografia cupa che sfrutta molto l’illuminazione naturale, e una colonna sonora di grande atmosfera, firmata dalla violoncellista islandese, e premio Oscar per Joker, Hildur Guðnadóttir, a cui abbiamo chiesto com’è andata la collaborazione con il regista.

Hildur Guðnadóttir - A Haunting in Venice (The Big Score)

Hildur, l’atmosfera della colonna sonora doveva essere cupa, ma anche malinconica. Non era semplice, ma immagino che la città e la location siano stati di grande ispirazione per te.
Sì, gli interni del palazzo sono stati molto importanti per il suono, per la colonna sonora e per l’ambientazione dell’intero film, perché bisogna ascoltare attentamente ogni cosa in sottofondo, suoni e sussurri ci guidano attraverso la storia. È un esercizio impegnativo, anche per il pubblico, e ho pensato fosse interessante impostare la colonna sonora nella stessa direzione, perché la musica nel film è molto importante per intraprendere il viaggio emotivo del personaggio, che sta attraversando un periodo difficile, analizzando ciò che era prima della guerra, quello che ha visto durante il conflitto, come ne è uscito e come vuole proseguire la sua vita. Così ho lavorato sulla musica nello stesso modo, ma attraverso l’uso della melodia, ricordando quello che storicamente è successo alla comunità musicale negli anni del conflitto. Prima, durante e dopo i compositori si sono posti le stesse domande: che cos’è la musica? Cos’è la melodia? Come possiamo usarne la struttura rompendola? Qual è il nuovo ruolo della melodia e come utilizzarla nel mondo moderno? Ho esplorato questi dilemmi attraverso l’uso della melodia nella partitura.

Tu sei incredibilmente legata a Venezia: hai scritto la colonna sonora di Joker, che ha vinto il Leone d’oro, e l’anno scorso eri sempre in concorso con TÁR. Ma a parte le digressioni della casualità, volevo chiederti come sia stato lavorare con un perfezionista come Kenneth Branagh. So che non è facile, ma spero sia gratificante.
Lo è, davvero. E devo dire che questa mia prima volta con lui è stata piuttosto facile. È un artista e un essere umano brillante, davvero una persona meravigliosa, è stato fantastico in questo progetto e, dato che non avevo esperienze precedenti, allora devo pensare che sia sempre così… È stato sempre molto chiaro su quello che voleva dalla musica, mi ha dato delle linee guida sulla direzione da prendere e su ciò che si aspettava. È stato magnifico, perché il difficile in una collaborazione creativa subentra quando c’è confusione, quando si cambiano continuamente le cose. Con Ken abbiamo subito condiviso la mia esplorazione dal punto di vista storico e l’abbiamo legata ai suoi snodi narrativi, e abbiamo dialogato su questo piano comune. Artisticamente parlando, è stato davvero appagante.