Andrea Delogu: «Gli haters? Li uso per capire dove sbaglio» | Rolling Stone Italia
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Andrea Delogu: «Gli haters? Li uso per capire dove sbaglio»

Un libro sulla dislessia dopo quello sull’infanzia a San Patrignano, l’amicizia con Ema Stokholma, le delusioni e le gioia. La nostra intervista alla conduttrice di Stracult

Andrea Delogu: «Gli haters? Li uso per capire dove sbaglio»

Foto di Mary Stuart, trucco Arianna di Paolo e style Valeria Palombo

«Vi faccio i complimenti per la cover di Mahmood e Achille Lauro». Andrea Delogu inizia così la nostra intervista. Per chi non la conoscesse (ma come fate a non conoscerla?) la Delogu è una delle più talentuose conduttrici in circolazione, tra le nuove leve. Una preparata, in gamba, che sa il fatto suo e, soprattutto, si è fatta un mazzo così per sfondare. Ora è al timone di Stracult (su Rai2) e, su Radio 2, dello show La versione delle due, con Silvia Boschero.

Non finisce qui, la nostra Andrea è anche una delle muse di Renzo Arbore, che l’ha voluta al suo fianco per Indietro tutta! 30 e l’ode e Guarda…stupisci!. L’ha cercata perché «voleva qualcuno che ne sapesse di social e, allo stesso tempo, fosse in grado di condurre. Uno dei suoi collaboratori mi seguiva sui social e sono stata chiamata a prendere parte ad alcune puntate della sua Renzo Arbore Channel. Da lì non ci siamo più allontanati. Mi chiamava tutte le volte che finivo un programma per darmi consigli. Lo stesso è successo con Nino Frassica. Sono uomini di rara generosità». Nel frattempo, Andrea, ha dato alle stampe il secondo libro Dove finiscono le parole (Rai Libri), in cui parla della sua esperienza da dislessica. Un’opera che arriva dopo La Collina, romanzo autobiografico in cui parlava dell’infanzia nella comunità di San Patrignano.

Un altro libro su una tua esperienza personale.
La Collina è un racconto, che sentivo necessario, di un pezzo d’Italia, di una parte di persone che non erano state ascoltate. Che ci avevano provato, ma non avevano mai fatto tanto casino. Volevo fare sentire la loro voce. È una storia personale, parla di me bambina, della storia mia e delle persone che mi hanno cresciuto, dei miei genitori. Diciamo che il racconto della mia infanzia è stato il pretesto per illustrare quello che succedeva.

Invece, Dove finiscono le parole?
È stato un fulmine a ciel sereno dopo che, tre anni fa, ho fatto un TED, cioè una conferenza sul web, parlando di dislessia, ma facendolo in modo sereno. Ormai sono grande, ho già superato e metabolizzato le difficoltà. Volevo solo dire: «Hey, io sono dislessica, ai miei tempi mi sono fatta un mazzo così».

E cos’è successo?
La rete mi ha aiutato. E da lì in poi non ho fatto altro che riceve mail, lettere e messaggi di genitori, ragazzi e insegnanti che avevano a che fare con la DSA.

Cos’hai pensato?
Ma che, davvero? Sai, 36 anni fa era un conto che nessuno sapesse cos’era la dislessia – cosa che mi ha fatto soffrire come un cane a scuola –, ma adesso no. Così, quando Rai Libri mi ha proposto di fare un secondo romanzo ho detto «Ok, ma che sia utile».

Come mai?
Non avevo voglia di mettermi a snocciolare un dolore, volevo solo fare qualcosa che potesse servire.

Tra l’altro il libro ha un font particolare…
Sì, è easy reading. Quello che mi sta stupendo è che, molti, non sapevano dell’esistenza di un font particolare, ad alta leggibilità. Tra l’altro è una scoperta italiana.

Ah sì?
Sì, oltre che un modo di leggere più facile per i dislessici, ma molto più comodo anche per i non dislessici. Alcune lettere, poi, non sono uguali e i testi possono essere letti più scorrevolmente.

Quindi, la dislessia, l’hai scoperta in età adulta. Quali sono state le difficoltà maggiori? Ho letto che, addirittura, i disegni erano più complicati da interpretare.
Quello, in realtà, era semplice. La mente di un dislessico è più “artistica” e va molto a interpretazione. I disegni, quindi, sono più facili, anche grazie ai colori. Sono cintura nera di puzzle, da piccolina ero una delle poche bambine che riusciva a risolvere quei piccoli incastri delle casette, con sopra i buchi colorati.

Foto di Mary Stuart, trucco Arianna di Paolo e style Valeria Palombo

Le lettere, invece?
Sono difficili perché hanno significato solo in quella posizione lì. La cosa bizzarra? Per me, che sono dislessica, una “A” può girarsi in mille modi e diventa una figura, non un simbolo per forza immobile. Le lettere, un po’, volano perché la mia mente elabora. Questa cosa mi faceva un po’ soffrire: le regole della scrittura entrano prepotentemente e bisogna affrontarle.

Ogni dislessico interpreta a suo modo le parole o c’è un fil rouge che vi collega tutti quanti?
C’è un fil rouge, poi c’è un elenco di “dis”: la dislessia, la disgrafia, la discalculia. Io sono, ad esempio, dislessica e discalculica: ho difficoltà anche con i numeri. Se dovessi fare un compito in classe, oggi, avrei bisogno di più tempo perché dovrei leggere bene i numeri e il susseguirsi delle operazioni.

Cos’è che manca a un dislessico?
L’automatismo. Quando si impara a guidare bisogna fare mente locale per tirare la frizione, ingranare la marcia, accendere la macchina. Tutte cose che si mettono in fila piano piano, ma una volta che lo si fa cinque, sei, sette, mille volte entra in automatismo. Quell’automatismo che manca al dislessico.

E come si fa?
Si deve imparare con un altro metodo di insegnamento che andrebbe benissimo anche ai non dislessici. Una volta che il dislessico ha imparato ad approcciarsi – a modo suo – alle lettere, ai numeri e alla calligrafia è fatta.

Quindi la scuola è importante.
Se la scuola sa fare il suo lavoro, se tutela il percorso di apprendimento del ragazzo, siamo tutti sereni.

Ma è vero che, per superare le difficoltà, pensi al mondo Disney?
Sembrerà una cazzata, ma i cartoni animati sono fondamentali. Ho passato la mia adolescenza con i manga, che invece ti insegnano a soffrire, sono quei dolori da teenager.

Ok, ma torniamo sul mondo Disney.
Mi hanno insegnato a non mollare, era pedagogico. Il Re Leone, ad esempio, ci insegna a non dimenticare che siamo il frutto delle esperienze che abbiamo vissuto. Topolino, invece, mi ha aiutata a comprendere che siamo tutti diversi – parla con mucche, paperi, cani – e arriva il messaggio, fondamentale, di essere ciò che vogliamo.

Quindi ti piace Topolino.
Risolveva situazioni allucinanti con il sorriso sulle labbra e con gli amici. Ce la faceva sempre.

E tu di amici ne hai. La migliore, Ema Stockholma, si è trasferita a Roma per te!
Dice così, ma in realtà lei voleva venire a Roma. Dà la colpa a me, ma non è così.

Cosa rappresentano gli amici?
La famiglia che ti crei. Quelli che ti rimangono vicino e quelli a cui tu rimani vicino, te li porti avanti per sempre.

Dove vi siete conosciute con Ema?
In discoteca, ovviamente. Dove sennò? Lei stava suonando e voleva picchiare una mia amica del tempo. Ho difeso questa ragazza – ma senza fare lo show, con serenità – e mi scappava da ridere a vedere questa spilungona che si atteggiava. Da lì, piano piano ci siamo sentite. È un amore cresciuto con il tempo, non riesco a dire subito «ti voglio bene». È una roba lunga. Con Ema c’è stato un conoscersi, un annusarsi, giorno dopo giorno.

Scusa, ma perché Ema voleva picchiare una tua amica?
Perché credeva che la stesse prendendo in giro per come ballava. Invece, semplicemente, la mia amica non ballava bene.

Foto di Mary Stuart, trucco Arianna di Paolo e style Valeria Palombo

Passiamo alla tv. Quando hai deciso di voler fare la televisione?
Non ho deciso, non c’è stato un momento preciso. È stato naturale.

Spiega un po’.
Io ne guardavo tanta di tv perché, in un periodo in cui se non parlavi un italiano perfetto non potevi farla, imparavo tanto: termini, costruzioni delle frasi. Diciamo che è stata una continuazione, una crescita insieme.

Chi amavi in particolar modo?
Corrado e Renzo (Arbore, ndr) che registravo sulle vhs. Di lui mi piacevano le musichette e le interviste pazze. Ovviamente amavo anche Gino Bramieri, Mike Bongiorno e Raffaella Carrà.

Pensavo anche Ambra Angiolini, visto che hai usato T’appartengo per il tuo matrimonio con Francesco Montanari.
La guardavo, ma ero già grande. La adoravo perché non affabulava il pubblico, cosa che mi affascinava. E non avevo mai visto prima. Era antipatica perché divertiva il suo essere antipatica.

Ambra aveva tanti haters, all’epoca. Ogni personaggio noto, li ha. Tu ci hai fatto addirittura un capitolo del libro.
Sì. Li blocco con una gran serenità, adesso. Ho il dito più veloce del west. Tu conta che, quando mi sono iscritta ai social, l’ho fatto con dei profili finti perché non sapevo come approcciarmi. Avevo paura a mettere le mie foto. Volevo capire. Così, quando gli haters mi attaccavano se sbagliavo a scrivere, per via della dislessia, leggevo quello che avevo scritto e lo correggevo. Il loro livore non mi ha ferito, ma lo uso per capire dove sbaglio.

Furba.
Pensa che bello sarebbe il mondo se, invece di vomitare odio, si dicessero le cose con calma non con frasi del tipo: «Ti è morta la maestra alle elementari?».

Recentemente sei stata ospite a Domenica in e, Mara Venier, si è sperticata di complimenti per te.
Mara Venier l’ho studiata all’università, facevo Pubblicità, Comunicazione e Cinematografia, quindi questo commento vuol dire tanto.

Cosa ti piace di Mara?
Il suo modo di condurre, di fare salotto. La chimica che ha lei non si impara. O ce l’hai o non ce l’hai. È una grande professionista e una grande donna. Si è spesa tantissimo per tante battaglie. Poi Renzo ne parla sempre benissimo. E sapevo che era una bella persona, anche se non l’avevo mai conosciuta. Ma stare davanti a lei e vedere quanto, da seduta, riesca a riempire lo studio e farlo diventare parte di sé, è stata una grande lezione.

Non pensi che, se fossi nata in un altro periodo, avresti potuto avere molto più successo? Non pensi di essere nata in un periodo sbagliato?
Ho studiato tanto il passato, mi piace capire da dove arrivo, studiare la comunicazione delle masse, per vivere bene nel presente. Se fossi nata 20 anni fa non avrei avuto queste possibilità, magari avrei fatto altro. Poi, se ci fosse una porta per tornare indietro nel tempo come in Midnight in Paris, non so dove andrei. Comunque porterei con me Francesco. Almeno non sarei da sola.

Foto di Mary Stuart, trucco Arianna di Paolo e style Valeria Palombo

Reality non ne hai mai fatti.
Mi vergogno, non penso sarei così interessante. Li vedo per capire chi guarda questi show e, soprattutto, chi li conduce. Mettere in piazza la mia vita privata, però, mi spaventa: mi potrebbero giudicare per come dormo o come mangio. Perché? Io faccio altro. Voglio sia chiaro quello che sono. So che non sembra, ma sono molto riservata. E poi la mattina mi sveglio gonfia, oh! (ride, ndr)

Cosa vorresti fare in tv?
Raccontare oppure fare qualcosa di culturale e pop, non vetusto. Ora, però, è difficile fare previsioni per il futuro.

Mediaset ti ha mai corteggiata?
Eheheheheheh (ride, ndr)

La delusione umana più grande?
Un’amica che mi ha accoltellato alle spalle. Non do fiducia, ma se la do, per me è amore. La delusione più grande è stata verso me stessa, per non essermi accorta che, la persona che avevo davanti, aveva, in realtà, un’altra faccia.

Quella lavorativa?
Oddio, ce ne sono state talmente tante. Molte le ho avute prima di arrivare qui.

Ti do un aiutino: la chiusura di B come sabato?
Non è stata una delusione. È stato un progetto, fatto con tutta l’anima, che non stava avendo risultati, non riusciva a trovare posizionamento. È la legge dello spettacolo. Mi è dispiaciuto tantissimo, soprattutto per le persone che ci lavorano. Una cosa che dovrebbero capire gli haters, ad esempio.

Cioè?
Chi ti detesta magari scrive che gode perché un programma, che non è andato bene, viene chiuso. Non pensano, però, che io sono il volto di una trasmissione, poi ci sono un sacco di persone che perdono il lavoro. Il loro gioire è causa di dolore per tantissimi.

Come reagisci ai flop?
Ora che sono grande li metto in conto. Qualcosa può andare come non vuoi.

Chi ti ha sorpreso positivamente?
TI posso fare una lista, ma ti dico Biggio. L’ho voluto conoscere io perché mi piaceva il suo modo di essere fuori dal coro, rimanendo popolare. L’ho corteggiato per poter lavorare in radio con lui. Poi, per uno Stracult Estate – al quale non potevo partecipare per via del matrimonio – ho proposto Fabrizio. Da lì in poi è stata una collaborazione. Mi fido ciecamente. Mi fido del suo punto di vista.

Solo lui?
Anche Silvia Boschero, conosciuta a La versione delle due. Mi sveglio felice di andare in radio e creiamo un piccolo show. Per me è fighissimo.

Che musica stai ascoltando in questo periodo?
Nel mio Spotify ho Juan Luis Guerra, per ricordarmi del mio periodo spagnolo. Ho una zia argentina e amo quel mondo lì. Poi sto seguendo Franco126, Coez, Achille Lauro, Gemitaiz (che ha fatto un disco pazzesco), Ghali, Bruce Spingsteen, Alberto Fortis. Poi La fabbrica di plastica di Gianluca Grignani, un grande album. E ho anche i Modena City Ramblers, Cesare Cremonini, Frah Quintale e la Dark Polo Gang.

Senti, ma adesso chi sei?
Perché fai ‘ste domande difficili?

Mi sento Marzullo.
Sei Marzullissimo.

Dai, a parte gli scherzi, chi è, oggi, Andrea Delogu?
Una ragazza di 37 anni, che si deve ricordare l’anno di nascita per capire quanti anni ha.

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