Ci ritroviamo nel cuore della Riviera Romagnola per il Bellaria Film Festival, in una stanzetta accogliente della Biblioteca Panzini in Piazzetta Federico Fellini, circondati da libri. «Registrerò l’intervista, anche se un’intervista non basta per conoscere qualcuno». Prima inevitabile citazione di un film che non è solo un grande esordio, ma che rimarrà sottopelle a molti. Brava Alissa. Ad averlo scritto, innanzi tutto, perché dietro questo racconto costruito su delicatissimi e impercettibili momenti – di tenerezza, di squarcio, di paure represse troppo a lungo – e trainato da due attori che si scambiano un’onestà e un istinto purissimi (Marinelli con delle sfumature forse mai viste prima, sulla scia di Tutti i santi giorni, e l’esordiente Juli Grabenhenrich, menzione speciale della giuria SNCCI a Bellaria, a dettare il ritmo con una naturalezza impressionante), Paternal Leave (premio del pubblico proprio al festival) nasce come un raffinato lavoro di scrittura, un’architettura di parole dette e taciute, di sguardi rubati e inciampi emotivi tra due esseri umani che sì, sono padre e figlia, ma sono due estranei tra loro.

Luca Marinelli (Paolo) e Juli Grabenhenrich (Leo). Foto: Anna Faragona
Il viaggio inizia quando una quindicenne tedesca prende un treno per andare alla ricerca del papà in Italia. Con sé porta un macigno di rabbia e una lista di domande che finalmente potrà fare all’uomo che non ha mai voluto conoscerla. Lo trova rintanato in un chiosco, sulle spiagge invernali di una Romagna sospesa nel tempo, dove lui sta rimettendo insieme i pezzi della sua vita e lei irrompe portando ancora più caos. Perché di quell’uomo Leo vuole scoprire ogni cosa, l’infanzia, gli studi, la sua versione dei fatti e naturalmente le risposte a tutte le domande che una figlia rifiutata può collezionare in quindici anni. Leo spera almeno che Paolo sia uno stronzo, un buco nell’acqua. Ma Paolo non è (solo) uno stronzo. Qualcosa di speciale ce l’ha, e allora tutto il tempo perso – e, chissà, quello che forse perderanno ancora – fa anche più male. Solo che non puoi conoscere una persona intervistandola, devi vedere come vive. Così lei dice: “Resto”.

Gaia Rinaldi (Valeria), Luca Marinelli (Paolo) e la regista Alissa Jung sul set. Foto: Anna Faragona
Con Paternal Leave – presentato all’ultima Berlinale nella sezione Generation 14plus, prodotto da The Match Factory & Wildside in collaborazione con Vision Distribution, Rai Cinema e Sky e nei cinema italiani dal 15 maggio distribuito da Vision – Alissa Jung debutta alla regia del suo primo lungometraggio e dirige anche Luca Marinelli, suo marito. La scelta non è stata semplice, anzi, hanno dovuto rifletterci. Le chiedo se temeva il giudizio, risponde di sì: «È il mio primo lungo, ho vinto una borsa di studio per scrivere questa storia e mi sono concentrata sulla sceneggiatura, ma dopo la prima stesura ho sentito di non volerla lasciare morire, di voler andare avanti con la regia. E in quel momento, dopo dieci mesi di lavoro, ho pensato: “Sarebbe bellissimo se Luca facesse Paolo”. Non solo perché lo conosco e mi fido totalmente di lui, ma anche perché è un attore che porta tutta la profondità di cui avevo bisogno per questo personaggio, che è abbastanza complicato e ha mille strati. Serviva un attore che riuscisse a riempire questo spazio. Però mi sono anche detta: “È la tua opera prima, è giusto farla con Luca? O è più giusto trovare una persona che non conosci e percorrere la tua strada?”. Che cavolata. Avere Luca era giusto soprattutto per il film. Quando poi gliel’ho chiesto ho vissuto due ore di ansia, perché lui mi ha risposto: “Guarda, Alissa, io faccio come per ogni progetto: lo leggo e se mi emoziono, se penso di poter essere utile al progetto, allora è un sì, altrimenti è un no”. Quindi lui ha iniziato a leggere e io stavo lì a sudare: “Adesso esce, fa un sorriso gentile e dice: ‘Sì, molto bello, però io non mi sento utile al progetto’”. Per fortuna non è successo».

Luca Marinelli e Alissa Jung durante le riprese. Foto: Anna Faragona
Per fortuna. Perché oggi Paternal Leave parla da sé, e Paolo poteva essere solo Luca. Impossibile immaginare un altro al suo posto. Su di lui gravava la responsabilità nei confronti di un’opera prima e di un personaggio che davvero si sviluppa su frequenze ambigue, contraddittorie, sottilissime. Un uomo che fa incazzare per la sua inettitudine, ma che l’attimo dopo scatena moti di umanissima empatia. «Adesso sembrerà un’esplosione di romanticismo, però non è che non mi aspettassi le cose veramente importanti che ho visto», dice Luca quando gli chiedo in quali dettagli abbia riconosciuto Alissa e cosa invece l’abbia sorpreso della regista Alissa Jung. «Non ho mai messo in dubbio che potesse scrivere una meravigliosa sceneggiatura, girare un grande film e portare questo risultato finale. Non lo dico perché lei è qui o perché questa è un’intervista, io davvero lo sapevo. Semplicemente c’era da rispettare un iter di professionalità, che penso sia importante, sennò sembra un prendersi un po’ in giro, perché non è che faccio il film solo perché ci conosciamo. Le cose belle che ho visto erano nel suo modo di essere, come ha tenuto il gruppo insieme, come ogni persona stava bene sul set e si è affezionata al progetto. L’attenzione che lei aveva per ogni dettaglio, umano e artistico, è la cosa che più ho osservato e che mi ha veramente emozionato. E poi mi sentivo sempre allo scoperto perché lei mi conosce così bene. Non avevo modo di prendere delle strade dove uno sta leggermente più comodo, per quanto io non ami stare comodo, perché era come se lei mi dicesse: “Ti vedo che stai per sederti, quindi alzati e cammina”».

Alissa Jung durante le riprese. Foto: Anna Faragona
Partendo da un topos intramontabile e universale, Paternal Leave trova la sua identità nelle crepe scritte da Alissa e interpretate da Luca e Juli, nell’accenno di un sorriso che entrambi decidono di negarsi, nello stupore di riconoscersi l’uno dentro l’altra, in un gioco di spallate in riva al mare che non sa trasformarsi in un vero abbraccio. Perché un uomo rifiuta di essere un padre?, si chiede Jung al principio, per poi insinuarsi in uno scenario ancora più forte mostrandoci che spesso un uomo sceglie di essere un padre, ma non per tutti i suoi figli. «Già lavorando sulla sceneggiatura per me era importante capire questo padre fino in fondo, anche se forse, fino in fondo, non sono riuscita a capirlo mai. Ma era importante non disegnarlo in bianco e nero. Perché ognuno di noi fa delle cose che non sono belle, ogni tanto, ma ognuno di noi fa anche delle cose bellissime, ogni tanto. Io credo che l’essere umano non voglia fare male. Succede, ma di base vogliamo essere buoni. Paolo vuole fare le cose giuste ma proprio non ci riesce, perché è troppo incastrato nelle sue paure, nelle sue ferite. Non sa andare avanti perché non si guarda allo specchio. Già durante le prove abbiamo cercato di scoprire cosa vuole quest’uomo, di cosa ha paura? Qual è la sua bellezza, qual è il suo lato oscuro? E sono grata a Luca, perché lui riesce davvero a trovare queste sfumature».

Juli Grabenhenrich (Leo) e Luca Marinelli (Paolo). Foto: Anna Faragona
Qui Marinelli lavora su un personaggio che abita lo spazio trattenendo l’azione, tra corazze e sguardi bassi, paralizzato nel terrore di fare e dire male, ma attraversato da una gentilezza che ammalia e confonde chi ha davanti. Insieme proviamo a individuare il punto più difficile da centrare, nella ricerca di questo equilibro: «Secondo me è stato il fatto che lui non capisse con chi stava parlando. Quando le dice: “Io non voglio fare un casino, non voglio fare le solite stronzate”… questa roba era complicata da rendere, così come il ragionamento che c’era dietro, ovvero quello di non trattarla come una figlia ma quasi come un’amica, una conoscente, una parente che in quel momento non poteva ospitare perché “sai, è una situazione un po’ particolare”. È stato difficile, ho cercato di capire come farlo e in fondo non so come l’ho fatto».

Luca Marinelli (Paolo), Juli Grabenhenrich (Leo) e la regista Alissa Jung. Foto: Anna Faragona
«Io volevo comunicare questa ambiguità che hanno entrambi di non volersi bene ma volersi bene, questo scambio d’interesse senza poter mostrare l’interesse», spiega ancora Jung. «È un gioco voluto, perché anche Leo arriva da Paolo e in realtà vuole profondamente essere amata, ma in superficie vuole trovare uno stronzo così da poter chiudere il capitolo e andarsene via. Poi lui non è uno stronzo, quindi lei ha difficoltà, perché allora vuole essere amata ancora di più. Quella vibrazione tra l’amore e il respingersi c’è per tutto il tempo». Non solo c’è per tutto il tempo, ma è l’elemento più forte e inafferrabile di Paternal Leave. Il Paolo di Luca dissimula, mentre in questa figlia si specchia e mentre di lei s’innamora, continuando comunque a nasconderla come fosse un peccato (“Non la conosco”, dirà agli altri, “Che ci fa lei qui?”, “È amica tua?”), e spesso lo farà con una goffaggine che supera il ridicolo e sfiora la crudeltà – ecco che Marinelli compie la magia.

Juli Grabenhenrich e Alissa Jung. Foto: Anna Faragona
Ma intanto la Leo di Juli spia, osserva, compete con l’altra vita e l’altra figlia che lui ha preferito, sperando di intercettare un dettaglio, un rimpianto, un segno che le dimostri di non essere stata dimenticata. Per Alissa «quello di Leo è un atto di coraggio clamoroso che forse si può compiere solo a quindici anni. La follia di fregarsene, partire e andare a scoprire tutto, come un’Antigone. Può essere molto utile, ma anche portare grandi ferite. Penso però che sia una fortuna soprattutto per il genitore, perché ognuno di noi ha delle cose che magari non guarda, e se arriva la bomba nella tua vita a dire “Questo è il tuo specchio, guardati”, è una possibilità di crescita gigante, che adesso Paolo può prendere oppure no, questo non lo sappiamo. Però io auguro a tante persone che arrivi una Leo nella loro vita». E infatti tutti e tre insieme, Jung, Marinelli e Grabenhenrich, tracciano linee che si proiettano oltre i titoli di coda e oltre quel finale sospeso, quasi a dire che certe storie non finiscono neanche quando vai a farci i conti, se l’amore è mancato dov’era scontato che fosse.

Juli Grabenhenrich. Foto: Anna Faragona
In questo senso, accanto a Marinelli, che rappresentava un porto sicuro, Juli Grabenhenrich è la straordinaria scommessa del film. «C’era la voglia di cercarla già da molto prima», racconta Alissa, «ma volevo una ragazza di 15 anni e non aveva alcun senso cercarla due anni prima delle riprese, e magari innamorarsene senza sapere come sarebbe cresciuta. Quindi abbiamo trovato Juli a novembre e abbiamo girato il film a febbraio. È una giovane donna fantastica, non aveva mai fatto nulla, l’abbiamo scoperta attraverso dei contatti ed è arrivata senza sapere cosa volesse dire fare un provino o leggere una sceneggiatura. La prima volta abbiamo fatto solo improvvisazione, ma già portava un talento estremo. Abbiamo visto tante ragazze davvero brave, però lei aveva l’onestà che mi serviva per questo personaggio, e che poi serve anche per essere una brava attrice. Ci sono voluti almeno altri cinque provini, perché dovevamo essere sicuri fino in fondo. Poi ho sentito che Juli non voleva andare dov’era scomodo, dove faceva più male, ma ci è andata comunque. Quindi ho visto il suo coraggio di esplorare la recitazione, di non sentirsi riparata e al sicuro».

Luca Marinelli sul set. Foto: Anna Faragona
Racconto a Luca di una bellissima analisi che Francesco Russo (Cesare Rossi in M – Il figlio del secolo) mi ha fatto della sua recitazione sul set, ovvero il ritratto di un attore che ha il coraggio di prendere una direzione, che porta una forte animalità in scena e che trova momenti di vita appoggiandosi all’istinto. Capire dove abbia messo l’istinto in Paternal Leave, però, è un’altra storia: «Francesco è un grandissimo, grandissimo attore, e questo mi emoziona molto. Sicuramente Paolo era un personaggio meno “fuori”, no? Ma questa partita era molto difficile, perché c’era una giocatrice clamorosa che era istinto puro. Faccio una metafora calcistica, ma quello di Juli sembrava l’esordio in serie A di una giocatrice che ti fa dire: “Questa farà grandi cose”. Un po’ glielo abbiamo detto, ma bisogna fare piano perché ho paura che si allontani da questo mondo, e invece io le auguro di continuare. Quindi, forse, quello è stato il mio istinto: tenere gli occhi apertissimi davanti a una persona che era forza, coraggio e istinto puro. Poi dove non c’era lei, magari se vede…» (ride). «È vero che Juli è istinto puro, perché quando qualcosa le sembrava storto diceva: “Mi sento strana”», racconta Alissa. «Quindi Luca doveva anche tenere quel livello d’istinto, mettendolo sempre e ovunque. Però poi c’è un altra qualità di Luca di cui mi sono resa conto in montaggio, cioè di quanto fosse facile montare le scene con Luca, perché è un attore che ha inconsciamente un ritmo clamoroso».

Juli Grabenhenrich e Alissa Jung. Foto: Anna Faragona
Nel frattempo a Bellaria piovono adesivi con la battuta-claim del film “Fati kazi toi”, perché tra gaffe, sfoghi, maniglie rotte e interrogativi importanti (è stato Luca Marinelli a svelare ad Alissa Jung che “in Italia gira tutto intorno al cazzo e alla religione”?), accanto al bellissimo brano di Giorgio Poi Solo per gioco arriva anche “quell’aria da commedia americana” di Anna e Marco. «È il mio Lucio Dalla, per me quella canzone era nel film dall’inizio», dice Alissa. «Ho fatto una gita da Bologna verso la costa e ho trovato questo posto. Dentro ci ho visto subito Paolo che si chiude e si ripara, e Leo che arriva come il mare a spaccare la sua duna. Però questa non è una commedia americana, neanche quando tutto sembra quasi bello. Luca dice che ho fatto una commedia all’italiana, figurati». Luca forse non ha torto. Come quando sulla Ramazzotti-gag (chi vedrà capirà) Alissa pianta il primo seme di complicità tra i suoi personaggi: «Questa è lei, perché io quella cosa non la volevo fare, mi sembrava troppo presto», riflette Luca. «Avrei fatto ancora meno, solo una pausa, neanche un accenno di sorriso. E invece ti devi fidare e andare avanti». Prima di rientrare nel fermento del festival (e della sua “marea che risale gentile”, cornice perfetta per l’anteprima nazionale di Paternal Leave), chiedo ad entrambi se questa scintilla tra regista e attore l’abbiano avvertita anche loro. Insomma, se c’è l’idea di rifarlo o se escludono il ritorno. Marinelli dimentica d’essere notoriamente un timido e prenota il prossimo giro: «Io già gliel’ho detto: “Ho questo nuovo film in mente, ti va di scriverlo?”». «Ma non si scrive in una settimana!», ride Alissa. «C’è tempo», fa Luca.