Alicia Vikander: intervista per ‘L’ultima regina – Firebrand’ | Rolling Stone Italia
Dio salvi la regina

Alicia Vikander, the English girl

Dopo l’Oscar per ‘The Danish Girl’ (e una serie di titoli non riuscitissimi), l’attrice svedese torna con ‘L’ultima regina – Firebrand’, in cui interpreta l’ultima moglie di Enrico VIII (Jude Law). L’abbiamo incontrata

Alicia Vikander, the English girl

Alicia Vikander in ‘L’ultima regina – Firebrand’ di Karim Aïnouz

Foto: MBK Productions

C’era una volta Enrico VIII, re d’Inghilterra, grosso, permaloso e con l’hobby del divorzio (quando andava bene). Ne ha avute sei, di mogli. Due le ha fatte andare fuori di testa, nell’accezione più fisica del termine. La sesta, Catherine Parr, l’ha guardato mentre lo mettevano sotto sei piedi di terra. Ma a parte questo, L’ultima Regina – Firebrand, diretto dal brasiliano Karim Aïnouz (se vi capita recuperate La vita invisibile di Eurídice Gusmão, davvero un gran bel film), presentato in concorso a Cannes 2023 e finalmente arrivato nelle sale italiane (dal 29 maggio, distribuisce Vertice 360), ha il grande merito di fare luce su una donna che già nel XVI secolo sapeva il fatto suo.

Parr fu infatti la prima donna inglese a pubblicare un libro a suo nome, cosa che ovviamente tradisce l’elevato livello culturale di questa donna che ebbe anche un ruolo fondamentale nella riforma protestante della chiesa d’Inghilterra. A interpretarla è Alicia Vikander, l’attrice svedese che dopo l’Oscar, generoso, per The Danish Girl, è stata colpita dalla maledizione di cui sono afflitte spesso le vincitrici della prestigiosa statuetta, ovvero non azzeccare più un film neanche per sbaglio. E se da una parte a Tomb Raider e la sua eroina Lara Croft era riuscita a malapena a sopravvivere Angelina Jolie, Alicia è anche incappata in uno dei peggiori Wenders di sempre (Submergence) e in un’altra sfilza di fragorosi fiaschi, compreso il melodrammone in cui divide la scena con il marito Michael Fassbender, La luce sugli oceani.

Dopo quello (e Assassin’s Creed: perché noi non dimentichiamo), il dotato consorte ha cercato di seminare tutti dandosi all’automobilismo, mentre lei si è affidata a Olivier Assayas per il remake in forma seriale di Irma Vep, pur sapendo che il confronto con Maggie Cheung era impari. Ma chissà che non sia proprio il regista francese a darle una nuova spinta grazie a The Wizard of the Kremlin, il film tratto dal romanzo di Giuliano da Empoli che parla dell’ascesa al potere di Vladimir Putin. Interpretato quest’ultimo da, guarda un po’, lo stesso Jude Law che in Firebrand si trasfigura in un Enrico VIII laido, ignobile, crudele, grasso e putrescente. Attorno alla coppia protagonista c’è un cast di supporto notevole, da Eddie Marsan a Sam Riley fino a quella Mia Threapleton figlia d’arte (cioè di Kate Winslet, come tutti sanno) fresca musa di Wes Anderson nella Trama fenicia.

Ma torniamo ad Alicia, e sentiamo dalle sue parole quello che ha provato nell’immedesimarsi in Katherine Parr (non è un refuso, decise di cambiare la C con la K quando arrivò in terra d’Albione, ma la Storia insegna che si può scrivere in entrambe le maniere). Una conversazione piacevolissima avvenuta proprio in quel di Cannes.

Alicia Vikander e Jude Law sono Catherine Parr ed Enrico VIII. Foto: MBK Productions

In che momento sei entrata nel progetto?
Ci sono stata fin dal primo giorno. Quando mi hanno mandato la sceneggiatura i ruoli erano già assegnati, sia il mio che quello di Jude, e Karim Aïnouz era già stato designato come regista, che è stato uno dei punti che mi hanno convinta ad accettare il film. Avevo visto, qualche anno prima, La vita invisibile di Eurídice Gusmão e lo avevo trovato bellissimo, poi ho recuperato tutto quello che ha fatto.

Cosa ti ha colpito del suo approccio?
È una storia britannica, ma lui ha questo temperamento brasiliano e un tocco straniero. I suoi film sono molto onesti e veri, ti senti vicino ai personaggi. Ero curiosa di vedere cosa avrebbe fatto con una storia come questa.

Quanto conosceva Caterina ed Enrico VIII?
Lui stesso mi ha detto che non sapeva molto, e non era neanche particolarmente interessato all’argomento, ma questa mancanza lo ha portato a immergervisi completamente. È la parte bella del nostro lavoro: scoprire, raccontare. È un’esperienza comune a tutti i film.

Immagino ti sia molto documentata anche tu.
Il mio processo è stato diverso. C’era tanta Storia da esplorare. Jude e io abbiamo avuto come consulenti delle persone espertissime della storia dei Tudor, studiosi ossessionati che hanno anche vissuto per un periodo come se fossero davvero nel 1500. Non sapevo molto neanch’io, posso dirvi qualcosa sui re di Svezia, immagino che ne sappiano tutti molto poco, ma ho vissuto nel Regno Unito per sette anni, ho imparato molto dalla Tv e dai film. Poi la Storia mi ha sempre appassionata. È bellissimo tornare indietro nel tempo e osservare com’era la vita. Ci sono sempre cose nuove da scoprire. Ma più di tutto mi piaceva l’approccio che voleva dargli Karim, non voleva fare il solito film storico, ma raccontare la storia di un matrimonio, di una relazione, con uno stile anche molto intimista.

Sotto questo punto di vista, e per come riflette la condizione delle donne, Firebrand è un film molto attuale.
Assolutamente, è un dramma della sopravvivenza, la storia di una donna intrappolata in una relazione violenta che cerca di non soccombere. Catherine è una sopravvissuta. È importante raccontare storie di questo tipo, parlano di relazioni difficili, abuso, paura. E molte donne vivono in simili situazioni drammatiche.

L'Ultima Regina- Firebrand- Trailer ITA

Che ruolo ha la solidarietà femminile nel film?
È centrale. Le donne si sostenevano, indipendentemente da ciò che accadeva. Se la regina moriva, morivano anche loro. C’era molta interdipendenza, anche perché erano praticamente prigioniere, in una corte con 300 uomini c’erano dieci, dodici dame che vivevano in due stanze, dormivano sempre insieme. È un’esperienza che abbiamo fatto anche sul set, è stata molto utile per entrare nel personaggio.

I costumi ti hanno aiutata in questo senso?
Sì. Li adoravo. Ogni mattina c’era un rituale di preparazione, durava mezz’ora, un modo per ricreare un’atmosfera domestica e credibile.

Ci sono anche molte scene intime non facili nel film.
È stata la prima volta che ho lavorato con una intimacy coordinator, una ballerina, basava tutto sul movimento del corpo. La giusta alchimia l’abbiamo trovata insieme Jude e io, ma devo dire che la sua presenza è stata molto utile, c’era un forte senso di coesione.

Com’è stato lavorare Jude?
Meraviglioso. È un attore molto presente, per ogni scena ha un’idea, un suo punto di vista su come interpretarla, e poi è umile e incredibilmente collaborativo. Non avevamo molte scene insieme, ma ho capito subito come ama lavorare con gli altri attori. E poi aveva fatto moltissime ricerche prima del film, era arrivato molto preparato sul set.