Alessio Vassallo, le indagini di 'Sei donne – Il mistero di Leila' | Rolling Stone Italia
Minchia!

Alessio Vassallo, indagine su me stesso

L’attore siciliano che ha trovato il successo con ‘Il giovane Montalbano’ torna su Rai 1 con ‘Sei donne – Il mistero di Leila’. Il suo primo ruolo gay, ma anche l’occasione per riflettere sul suo percorso di uomo e artista

Alessio Vassallo, indagine su me stesso

Alessio Vassallo

Foto: Rai

Devo dirvelo. Per i primi dieci di intervista, ho seriamente pensato che Alessio Vassallo avesse parcheggiato la macchina del tempo fuori da Viale Mazzini. Alla fine, uscendo dalla Rai, ho persino buttato un occhio dietro al cavallo: così, giusto per sicurezza. Il fatto è che Vassallo è un attore decisamente d’altri tempi. Ha Instagram, ma lo usa pochissimo. Ama la politica, ma non pontifica sui social: preferisce andare a votare (pensa te…). Non ha nemmeno smanie da regista mancato (inseritelo subito tra le specie da proteggere, please). Ma, soprattutto, non rincorre la fama. Di essere fermato per strada, gli interessa infatti ben poco: «Noi attori dobbiamo scomparire nei personaggi», spiega con orgoglio, imprimendo alla frase una decisa cadenza siciliana. Quella, infatti, è l’unica cosa che rivendica: fuori dal set, difficilmente lo sentirete parlare con perfetta e anonima dizione. Perché – minchia! – lui è un uomo siciliano.

Ma dicevamo. Vassallo, celebre (anche) per il ruolo di Mimì Augello nel Giovane Montalbano, fa l’attore come si faceva una volta: macinando chilometri di pellicola (vabbè, ora non esiste più la pellicola, ma ci siamo capiti) e proponendo al pubblico una storia ogni volta diversa. Cerca di non ripetersi mai, di crescere e osare, a costo persino di sbagliare. La sua prossima scommessa si chiama Sei donne – Il mistero di Leila, nuova serie del dinamico duo di autori Ivan Cotroneo e Monica Rametta in onda dal 28 febbraio in prima serata su Rai 1. Vassallo interpreta l’ispettore palermitano Emanuele: tra le altre cose, è il suo primo ruolo gay. Nel frattempo però è anche nei teatri con lo spettacolo La concessione del telefono, sempre da Camilleri, e pure in tv con il programma di RaiCultura L’altro ’900. Di recente lo abbiamo invece visto nella serie Sopravvissuti, al fianco di Lino Guanciale, e nel tv movie natalizio Se mi lasci ti sposo, della “collection” Rai Purché finisca bene. Dopodiché, prossimamente salirà in pedana nel biopic La stoccata vincente, prodotto da Anele per RaiFiction, e sarà protagonista del film Stelle binarie di Gianluca Maria Tavarelli. Insomma, sta facendo un sacco di roba. Come dicevano, il nostro non si risparmia.

In tutto questo, magari hai persino una vita privata?
Da gennaio ho rallentato un po’, sono stato anche due settimane in Thailandia con la mia compagna. Ho bisogno di rilassarmi e di riprendere la mia vita personale. Il fatto è che il nostro mestiere è un gigantesco parco giochi e, a volte, la vita privata rischia di diventare una parentesi tra un personaggio e l’altro.

Non deve essere facile da gestire.
È terribile. Ti ritrovi a interpretare delle vite che sono logicamente più interessanti della tua. Poi che succede? Torni a casa, ti senti giù, e vorresti subito calarti in una nuova avventura. Invece è importante dedicare del tempo a se stessi.

La recitazione può diventare, passami il termine, una dipendenza?
Sì, il rischio c’è. Ti dà infatti un’adrenalina pazzesca, per non parlare della bolla spazio-temporale che crea. Quando sei sul set, soprattutto nel caso di una lunga serialità, non sai se è Natale, Pasqua o estate; scoppiano le guerre e quasi non te ne accorgi. Vivi completamente in una bolla, e quando questa si rompe non sempre è facile fare i conti con il reale. Alcuni giorni fa, parlavo proprio di questo con Alessandro Haber: della difficoltà di interpretare la propria vita, quando invece il ruolo più importante è quello di Alessio.

Il 10 agosto tra l’altro compirai 40 anni: come vivi il giro di boa? Ansietta?
Ansia no. Il bilancio comunque non lo farò: l’ho già fatto l’anno scorso.

Ma come?
Sì, tanto poco cambia. E sai una cosa? Devo dirti che sono felice. Se mi guardo indietro, ho fatto tanta strada, spesso in salita. Ho preso molti no – ho addirittura un curriculum parallelo con i no incassati – ma se vent’anni fa all’Alessio ragazzino avessero prospettato tutto questo, ci avrei messo subito la firma. Mi sentirei dunque un ingrato a dire: “Sì, bello, però…”. Magari, ecco: l’unica cosa che vado rimandando sono la famiglia e i figli, ma sento che devo farlo quando me la sentirò. Non mi va di programmare questo tipo di scelte a tavolino, solo perché sono delle tappe sociali.

Alessio Vassallo con Maya Sansa in ‘Sei donne – Il mistero di Leila’. Foto: Rai

Veniamo alla serie Sei donne: possiamo dire che sei il primo personaggio di una serie Rai bullizzato da una donna?
Maya Sansa mi massacra all’inizio (ride, nda), sfioriamo quasi il mobbing. La serie però solleva il tema, importantissimo, del sapersi porre in ascolto. Quando infatti il mio personaggio, Emanuele, lo fa, capisce che la forza della protagonista è solo una maschera. Inizieranno ad aprirsi reciprocamente e a comunicare. In Sei donne la vera indagine è quella che i personaggi compiono su se stessi.

Dovremmo parlarci tutti meno addosso e ascoltarci di più?
Indubbiamente. Purtroppo viviamo in una società egoriferita: parliamo sempre, costantemente, di noi stessi. Sanremo in questo senso docet. D’altronde, quando la tua vita è sempre lo specchio di te stesso, rischi di ubriacarti della tua stessa immagine.

Ogni riferimento a Chiara Ferragni è puramente casuale?
In realtà non pensavo a lei ma ai giovani: per loro è più importante esserci sui social che essere. Si è poi disimparato ad ascoltare i racconti: tutto è diventato solo immagine. La parola e l’ascolto si sono persi. Lo dico con cognizione di causa perché mi capita di incontrare diversi ragazzi: due volte l’anno, per scelta, tengo dei laboratori per gli studenti. Li faccio a Catania e a Palermo, nella mia terra, per dare un’opportunità di scambio ai ragazzi. Ecco, mi sono spesso accorto che molti di loro vorrebbero saltare tutto lo step della fatica per arrivare direttamente all’obiettivo finale, ossia diventare famoso e rilasciare un’intervista a Rolling Stone. Il problema è che tu puoi anche fare l’intervista, ma se non hai nulla da raccontare, cosa dici?

In Sei donne Emanuele è gay, ma la cosa non diventa materia di dibattito o di backstory. È la strada maestra per – permettimi il termine – normalizzare l’omosessualità?
Assolutamente sì. Spesso ci focalizziamo molto su “chi” amiamo e non su “come” amiamo. Ecco, credo che se l’educazione sessuale è persino abbondante, quella sentimentale è invece molto carente.

Tu da cosa cominceresti?
Dall’ascolto e dal sapersi aspettare: spesso nelle relazioni amorose si cammina uno avanti e uno indietro, invece bisognerebbe procedere insieme, fianco a fianco. Anche se è difficile, è importante non lasciare indietro il proprio partner.

È un discorso da uomo d’altri tempi, da vero siciliano.
Sì, certo: minchia! E scrivilo proprio così, “minchia”, pure come occhiello dell’articolo se vuoi.

Alessio Vassallo con Alessio Del Mastro. Foto: Rai

Personalmente, però, io come primo step avrei dato fuoco a tutte le app di incontri.
Ah, be’, io figurati: mai usate. Però so che per i giovani è diverso: oggi è tutto virtuale, i ragazzi fanno fatica a rompere il muro, a dire anche solo “Ciao, vediamoci”. Se invece ripenso a me, a quando ero piccolo… ma sai quanti no clamorosi ho incassato?! Ricordo ancora che il giorno prima mi preparavo psicologicamente: “Domani glielo dico, domani glielo dico, domani glielo dico”. Un’ansia… Poi arrivava il momento della ricreazione: andavo a prenderla, la portavo da parte e mica le dicevo “Mi piaci”, ma il famoso “Senti, ti vuoi mettere con me?”. Te lo ricordi? All’epoca si diceva proprio così: “Ti vuoi mettere con me?”. Comunque, glielo chiedevo, la guardavo speranzoso negli occhi e lei, gelida: “No”. Era durissima, perché il no era un’umiliazione ma allo stesso tempo era formativo: ti temprava. Oggi invece i due di picche te li becchi sui social e fanno meno male: così però non si cresce. È come se si stesse diffondendo un linguaggio per non comunicare.

C’è chi teme che con questo governo si possano perdere le conquiste finora ottenute. Ti unisci al coro o sei più fiducioso?
La seconda: sono per essere fiducioso. Anche perché, secondo me, alcune cose sono solo boutade elettorali: nessuno ha davvero l’interesse a tornare indietro e, in ogni caso, oggi facciamo parte dell’Europa, alla quale bisogna rendere conto. Non è che ci si può alzare una mattina e stravolgere tutto.

Sei andato a votare?
Sì, anche se con difficoltà. Credo nella politica, mi ha sempre appassionato anche se ultimamente sta franando nel gaming. Il problema è che l’ego di chi ci rappresenta è diventato smisurato: si pensa solo a dire la propria, a emergere e diventare leader, e quando accade questo abbiamo visto tutti cosa è successo, soprattutto a sinistra. Bisognerebbe portare avanti meno facce e più idee.

Guardando al futuro: almeno Il giovane Montalbano tornerà in tv?
Me lo auguro. In passato giravano voci in tal senso, ma poi non si è mosso nulla. A Vigata comunque non dirò mai di no: Il giovane Montalbano mi ha svoltato la carriera e mi ha arricchito anche umanamente, come uomo. Io sono disponibile. Intanto sto portando a teatro La concessione del telefono.

È stato giusto sospendere Montalbano dopo la morte di Camilleri e del regista Alberto Sironi?
Personalmente mi è spiaciuto, ma non sono scelte sulle quali posso dire la mia. Noi attori siamo un po’ come i pompieri: ci chiamano e noi ci caliamo dal palo e andiamo sul set.

Possiamo chiudere con un piccolo “commento spoiler” sulla Stoccata vincente?
Se faccio spoiler, mi uccidono. Posso però dirti che interpreto lo schermidore Paolo Pizzo e per questo ruolo ho perso quasi dieci chili. Ho avuto la fortuna di allenarmi proprio con lui e di capire cosa vuol dire vedere il mondo attraverso una griglia. In pedana ci si va a prendere la vittoria punto per punto, proprio come nella vita: ci si batte per cercare di imporre una propria identità, non solo sportiva ma anche personale.

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