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Alessandro Cattelan, prove di felicità

‘Una semplice domanda’, il titolo della nuova docuserie Netflix, è quella che ha fatto al conduttore sua figlia. Da lì è partita la ricerca delle risposte ai quesiti della vita, a cominciare dal più insondabile. Ne escono sei episodi che sono tra il monologo («Ma io parto sempre da me per arrivare agli altri») e il dialogo (con ospiti come Roberto Baggio e Paolo Sorrentino). Ora il dialogo gliel’abbiamo proposto noi. Con Emanuele Coccia, filosofo alla ricerca (anche lui) del senso della felicità. Come i disegni dei bambini che lo accompagnano

Questa cover story è, come Una semplice domanda (la docuserie disponibile su Netflix dal 18 marzo), un percorso fatto di tanti pezzi. Abbiamo fatto dialogare Alessandro Cattelan con Emanuele Coccia, docente di filosofia all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi e attualmente visiting professor presso l’Università di Harvard a Cambridge, Massachusetts, nonché autore di saggi come La vita delle piante. Metafisica della mescolanza (il Mulino, 2018) e Filosofia della casa. Lo spazio domestico e la felicità (Einaudi, 2021). Ma è anche un esperimento fotografico. Alessandro Cattelan ha posato per degli scatti “in bianco”, e poi sono stati i bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato di Milano ad illustrarle. Seguendo queste direttive: disegna che cos’è per te l’amore; disegna che cos’è per te la famiglia; disegna che cos’è per te l’amicizia; disegna che cos’è per te la ricchezza; disegna che cos’è per te la felicità. Il risultato sono queste immagini e questa conversazione.

Ce la immaginiamo come qualcosa di grande, duraturo, vistosissimo. Invece è più facile trovarla negli sgabuzzini che in grandi palazzi. La felicità è la cosa più difficile da trovare, perché è impossibile prevederla. Potrebbe portarcela, a priori, qualsiasi gesto, anche il più insignificante: il caffè che stiamo per bere o la passeggiata che abbiamo appena cominciato. Oppure potrebbe essere ovunque, proprio lì, dove non si è ancora andati a cercare. O invece ci aspetta domani. Impossibile esserne certi, fino a quando non ci scuote il corpo e i polmoni. Ma è anche impossibile essere sicuri che tornerà puntuale all’appuntamento. Proprio per questo mettersi alla ricerca della felicità significa sempre deviare verso mete insospettate. È per questo che per Una semplice domanda, la sua nuova docuserie dal 18 marzo su Netflix, Alessandro Cattelan inanella una serie di incontri improbabili in luoghi ancora più inaspettati.

Il suo è un approccio obliquo che ricorda l’atteggiamento degli antichi. Plutarco aveva scritto che per capire l’anima di qualcuno è più utile focalizzarsi sulle azioni ordinarie, sui suoi commenti distratti, sulle sue battute piuttosto che osservarlo durante battaglie memorabili e assedi. Lo sanno anche i pittori: sono i dettagli che nessuno nota a rivelare tutto. È il principio adottato nella scrittura della serie. «Ho ancora qui il tabellone con i post-it attaccati», mi racconta Alessandro. «Ci siamo chiesti in quali luoghi la felicità viene cercata e trovata: l’amore, la malattia, la religione, il denaro. E provando a pensare alle persone da coinvolgere, non abbiamo mai seguito la linea retta. Non è mai il primo e nemmeno il secondo nome che ti potrebbe venire in mente».

Alessandro Cattelan sulla digital cover di ‘Rolling Stone Italia’ per ‘Una semplice domanda’. Foto: Adriano Cisani. Direzione artistica: Leftloft

Basta fare qualche esempio per averne un’idea. Nel primo episodio incontriamo Roberto Baggio in una delle camere più segrete del suo garage-magazzino, quella dove uno dei più grandi campioni della storia del calcio mondiale ci rivela una delle sue fonti di felicità più segrete e inconfessabili: collezionare e costruire antichi stampi di papere per la caccia. Una buona parte viene dal più grande produttore italiano di stampi, Giovanni Simoncin in arte Nane Cristo, e Baggio riesce appena a trattenere la commozione parlandone. «È il tuo Roberto Baggio per me», gli suggerisce Alessandro prima che si abbraccino. Certo, queste papere nel passato erano strumenti per ottenere la felicità o almeno la sopravvivenza. Ma come poter prevedere di trovarla ora lì, circondati da questi oggetti che non servono più a nulla? Mi viene in mente un episodio leggendario della vita di un antico filosofo greco che, divenuto famoso, riceveva spesso visite di estranei. Un giorno un gruppo di estranei arriva a casa e lo trova in cucina mentre si scalda davanti al fuoco. Di fronte alla loro esitazione, Eraclito risponde: “Venite, anche qui ci sono gli dèi”.

La felicità può essere ovunque. E la serie, per dimostrarlo, accumula scene di questo tipo, che sembrano come delle favole incastonate l’una nell’altra, che provano a formulare una risposta che non potrà mai essere definitiva. «Io diffido molto di quelli che provano a parlare seriamente di felicità volendotela insegnare», mi dice Alessandro mentre parliamo della serie entrambi chiusi in piccoli sgabuzzini: io sono nel mio studio a Cambridge, pieno di piccoli e recenti tesori, lui nel suo, tappezzato di bellissimi giocattoli degli anni Ottanta che non riesco a non invidiargli. «La felicità non si insegna, non si programma, non si prevede, perché non si ferma mai. Capita a ciascuno di noi per pochi momenti e quello che si può fare è goderne. Odio chi prende talmente sul serio la propria da volertela imporre». La serie, in fondo, dimostra il contrario di quello che Tolstoj scrive in Anna Karenina: non è vero che tutte le famiglie felici si assomigliano, perché nessun momento di felicità è simile a un altro, nemmeno dentro un’unica esistenza.

Foto: Adriano Cisani. Illustrazioni: bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato. Look: Giorgio Armani. Fashion coordinator: Francesca Piovano. Stylist: Rebecca Baglini.

È del resto proprio da questa esperienza di impossibilità di insegnare agli altri cosa sia la felicità che è nata la serie. «Tre estati fa», mi racconta, «stavamo guardando le stelle con le bimbe al mare nei giorni di San Lorenzo, e guardando quelle stelle Nina, mia figlia, mi ha chiesto: “Se ne vedi una, che desiderio esprimi?”. Mi vergognavo ad esprimere il mio desiderio, perché di solito esprimo solo desideri un po’ stupidi, quelli sull’Inter, non scomodo mai gli astri per le cose serie. Le ho detto: “Guarda, il mio desiderio è la vostra felicità”». Già questo è troppo: «Mi son reso conto che dire a qualcuno che il mio più grande desiderio è la sua felicità significa mettergli sulle spalle una pressione e un peso enormi». Si trasforma la felicità altrui nel compito necessario per esaudire il desiderio altrui. «Ho costruito moltissimo sul talento della velocità di risposta, eppure di fronte a quella domanda non avevo nessuna risposta immediata. E ho cominciato a raccontare le sciocchezze che si dicono sempre».

Questo imbarazzo ha spinto Cattelan a tirar fuori dal cassetto un progetto elaborato anni fa con Francesco Mandelli, in arte Nongio, in quella che era stata pensata come il seguito di Lazarus, il viaggio di sogno negli Stati Uniti sulle tombe dei personaggi delle icone della cultura pop. «Volevamo provare a capire se la felicità è davvero là dove tutti la immaginano, come quando diciamo di volere aprire un chiosco in Costa Rica. È davvero così? O forse è più facile trovare la felicità in un villaggio sperduto dell’Alaska, rispetto alle spiagge del Sudamerica? Poi MTV è fallita di colpo, e il programma è rimasto nel dimenticatoio. Ma forse è stato meglio così, è stato meglio farlo ora». Scherzo e gli dico che una antica tradizione filosofica vieta ai giovani di scrivere di morale e di felicità, perché non si è abbastanza esperti di vita. «Anche io la penso così», mi risponde, «ma mi ricordo che quando avevo sedici anni pensavo il contrario, perché immaginavo che i quarantenni fossero dei tromboni rincoglioniti». È come se in realtà fosse impossibile avere una risposta definitiva che vale per sempre e per tutte e tutti.

Foto: Adriano Cisani. Illustrazioni: bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato. Camicia: Giorgio Armani. Fashion Coordinator: Francesca Piovano. Stylist: Rebecca Baglini

La domanda “Che cos’è la felicità?” in effetti è tutt’altro che semplice. È la più importante, quella che giustifica e fonda non solo tutte le altre, ma qualsiasi parola e il più insignificante e distratto dei nostri gesti. Al tentativo di trovare le parole per formularla e per abbozzare almeno per un attimo la risposta si è dato il nome di filosofia: un nome barbaro che mette assieme due radici, quelle per dire “desiderio” e “conoscenza”. Essere felici significa riuscire a sapere cosa amiamo, in fondo, e riuscire ad amare tutto quello di cui facciamo esperienza. E la serie di Alessandro Cattelan è, alla lettera, il tentativo di fare filosofia con altri mezzi. Per farlo inventa un nuovo linguaggio, con la grazia e la leggerezza dei grandi maestri. La sfida è quella di riuscire a introdurre senso e profondità in uno stile a metà strada tra la concisione del videoclip e la rapidità di montaggio di programmi come MasterChef. «In passato erano i tempi lunghi di una certa letteratura o di un certo cinema che custodivano il senso di tutto. Oggi i tempi lunghi non sono più ammessi. E abbiamo provato a capire come il senso potesse resistere a un’intensità maggiore nel montaggio».

Il principio adottato, allora, è quello di dotare gli episodi di momenti che cristallizzano il significato senza esplicitarlo, senza risolvere. «Abbiamo fatto un lavoro su una certa estetica, su un certo simbolismo, riempiendo gli episodi di immagini che possano suggerire a ciascuno un’idea di felicità diversa». Sono come delle sfingi che ci indicano la via della felicità attraverso un enigma. In una delle scene più belle Cattelan si ritira dal cornicione di una piattaforma di bungee jumping, rinunciando a saltare. Vediamo il suo volto attraversato da una serie di emozioni, senza che nulla ci spieghi che cosa sia successo. «Quella scena era per me un modo per comunicare che, quando hai una paura, non è sempre necessario sconfiggerla. Se non è invalidante, si può fare un passo indietro, imparare a conviverci». Il passo indietro è anche poetico: prima che l’esperienza pretenda di farsi insegnamento, Alessandro è già altrove, inseguendo altre risposte alla stessa domanda. Forse è proprio questo il punto: non smettere di ripetere la domanda. Anche quando le risposte si riescono appena a pronunciare.

Foto: Adriano Cisani. Illustrazioni: bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato. Look: Giorgio Armani. Fashion Coordinator: Francesca Piovano. Stylist: Rebecca Baglini

Uno dei pregi della serie è quello di non voler mai scivolare nella consolazione, nonostante la scelta del registro sia decisamente quello della commedia. In uno degli episodi Cattelan discute con Gianluca Vialli della sua malattia e di cosa significhi sapere di morire, di cosa significhi doverlo dire alle proprie figlie. Lo fanno su un campo da golf, tra un colpo e l’altro. Anche in questo caso l’insegnamento morale si cristallizza più in un’immagine che non in un adagio da ripetere e memorizzare. Ed è quella dell’ostinazione a concentrasi sul presente, proprio come davanti a una pallina da colpire. «La felicità è sempre un’altalena tra il passato e il futuro: tra le angosce che mi vengono dal futuro e i rifugi che trovo nel passato. Ma tutto dice che è nel presente che dobbiamo cercare di vivere».

A volte queste immagini-cristallo sono decisamente più leggere, come quella in cui Cattelan è allungato sulla spiaggia di un’isoletta, raggiante, vestito da sirena dopo aver perso una competizione (“Gli sport mi riescono sempre”, continua a ripetere durante la serie). Si tratta di un’immagine che non abbiamo bisogno di risolvere subito, ma che resta impressa nella memoria come una scoria radioattiva che si attiverà al momento dovuto. Per costruire queste favole-videoclip, Cattelan ha mescolato i due generi che predilige, il dialogo e il monologo. «È stato un lavoro più difficile di quello che mi sarei immaginato», mi spiega. «I monologhi di EPCC duravano nove, dieci minuti, qui avevo trenta secondi con le pause: quattro frasi, come degli haiku che devono condensare il senso che di solito raccontavo in dieci minuti. Ci tenevamo tantissimo a evitare il voice-over di raccordo». In fondo è una buona definizione di felicità: un fiume carsico di intensità che non tollera nessuna voce di raccordo.

Foto: Adriano Cisani. Illustrazioni: bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato. Look: Giorgio Armani. Fashion Coordinator: Francesca Piovano. Stylist: Rebecca Baglini

Bisogna pensare la felicità attraverso il cinema più che attraverso la letteratura. Alessandro segue questa idea alla lettera, in uno dei momenti più riusciti, in cui chiede a Paolo Sorrentino di aiutarlo a fare il film della sua vita, quello che si dice ci passi davanti agli occhi appena un attimo prima di chiuderli per sempre. Cattelan evoca scene personali del proprio passato: in fondo è impossibile parlare di felicità senza dire “io”. «Molti mi dicono che faccio programmi troppo ego-riferiti. Eppure a X Factor in dieci anni non ho mai detto “io”. Il problema è che, quando si parla di vita, di esperienza, di cose fatte, è impossibile non farlo. E i programmi che preferiscono sono quelli che parlano di vita. Io sono tutto quello che ho. Io parlo cominciando da me nella speranza di dire qualcosa che poi interessa a te. Parlo di me e poi provo a fare dei cerchi concentrici, a andare a prendere sempre più persone che possono dire “Ah, anche a me è successo”, piuttosto che “No, a me è successo il contrario” oppure “Non me ne frega niente”».

Raccontare in fondo significa già chiedere a un altro di rivivere, almeno nella propria immaginazione, la nostra vita, e quindi renderla aperta a visite altrui, trasformala in un hotel in cui altri possono abitare, almeno per qualche minuto. Nel corso di quell’episodio i due scherzano spesso sulla paternità dell’opera: è Sorrentino, Cattelan o Dio il vero regista di questo film che chiuderà la vita di Alessandro? Anche in questa trovata cinematografica c’è qualcosa di profondo: forse è sempre a qualcun altro o a qualcun’altra che dobbiamo chiedere di girare il film della nostra felicità.

***Credits***
Foto: Adriano Cisani
Direzione creativa: Leftloft
Illustrazioni: bambini della scuola per l’infanzia Puntino Colorato
(thanks to Francesca Pascale, direttrice della scuola)
Fashion Coordinator: Francesca Piovano
Stylist: Rebecca Baglini
Assistente Stylist: Valentina Motta
Makeup and Hair Styling: Liliana Rosetta
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Location: Multiset Studio Bicocca

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