Abel Ferrara dà voce al Galata Suicida e si chiede: «Che senso ha abbattere le statue?» | Rolling Stone Italia
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Abel Ferrara dà voce al Galata Suicida e si chiede: «Che senso ha abbattere le statue?»

«Non ha senso demolirle, perché non aveva senso costruirle» ci ha detto il regista al Museo Nazionale Romano durante una lettura dal vivo che ha seguito la performance di diversi artisti famosi, su tutti Kevin Spacey

Abel Ferrara dà voce al Galata Suicida e si chiede: «Che senso ha abbattere le statue?»

Foto: Mauro Maglione

«Le statue oggi vengono vilipese e offese, ma non si può censurare l’arte. Le sculture hanno una voce alla quale rispondere e da incarnare non con la violenza, ma con la poesia». A questo scopo si è svolta ieri al Museo Nazionale Romano, nella sede di Palazzo Altemps, la lettura per un pubblico ristretto – e con tutte le misure di sicurezza – del regista Abel Ferrara. Un evento esclusivo, arrivato dopo le performance di diversi artisti famosi, su tutti Kevin Spacey (in quello che fu un ritorno alle scene dopo due anni di assenza), sempre attraverso le poesie di Gabriele Tinti dedicate a opere scultoree. Questa volta d’ispirazione è stato il Galata Suicida.

Particolarmente indicata questa statua per il significato intrinseco e vista la natura controversa del regista americano, autore di pellicole ormai entrate nella storia del cinema come China Girl, King of New York e Il cattivo tenente. I suoi film narrano vicende legate a temi come la religione, il peccato, il tradimento e la violenza, e sono ambientati in metropoli notturne e infernali, con i personaggi che si aggirano tormentati, spesso drogati o alcolizzati, in cerca di redenzione. Sconfitti, ma mai abbattuti.

Nello stesso modo, il Galata Suicida è parte di un gruppo di repliche ricondotte al grande Donario fatto costruire da re Attalo I a Pergamo per celebrare la vittoria definitiva sui barbari Galati avvenuta sul fiume Caico nel 240 a.C. I Greci provavano una grande ammirazione per la forza e il valore di quest’ultimi che, così si narrava, combattevano nudi e senza armature. Nello specifico, il guerriero si uccide per non cedere al nemico, affondando fiero e risoluto la spada nel proprio collo senza curarsi della “perduta vita né del trofeo”. La scultura evoca profonde sensazioni di eroismo e pateticità, a evidenziare il valore dei vinti e quindi, di riflesso, anche quello dei vincitori.

A margine della lettura, abbiamo raggiunto Abel Ferrara per rivolgergli alcune domande. E, in particolare sui movimenti che stanno lottando contro il razzismo, il regista è stato molto critico.

Da diversi anni, dopo una lunga carriera negli Stati Uniti, giri film in Italia. Pensi che qui ci si sia più libertà d’espressione per un autore?
Sicuramente c’è più libertà in Europa, anche se sono due mondi cinematografici completamente diversi. Il grado di libertà d’espressione per un autore è un valore individuale, diverso da un regista all’altro. Un fattore determinante per la necessità che può sentire un artista di essere libero dipende molto dalla sua cultura.

Visto il contesto in cui ci troviamo, come stai vivendo l’abbattimento delle statue da parte del movimento Black Lives Matter?
Sai, queste statue che difendono la schiavitù non hanno senso, sarebbe come avere delle statue di rivoluzionari americani in Germania. E per questi ragazzi qualunque statua vale l’altra. In America non hai statue di eserciti rivoluzionari, non sono statue di soldati senza macchia, ma di soldati che hanno perso. Volevano combattere per gli USA e sono stati sconfitti, dunque non rappresentano un concetto di giustizia che ci appartiene, perché l’uguaglianza non gli appartiene, visto che non è un dono di verità divina. Quindi, non ha senso demolire quelle statue, perché non aveva senso costruirle!

C’è un momento in cui è giusto usare la violenza?
Come difesa personale sì, cazzo! Ma soltanto nel caso ci sia un pericolo imminente e sia necessario tutelare la propria incolumità.

L’Italia è un Paese pieno di crimini di cui il popolo non conosce il colpevole. Ad uno di questi, l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, hai dedicato un film. A quale altro crimine irrisolto della storia italiana dedicheresti un film?
Io non sono un detective, né tantomeno un poliziotto. Ho voluto realizzare un film su Pier Paolo Pasolini per raccontare i giorni che hanno preceduto la sua tragica morte. In generale, non ho mai pensato di girare film per svelare verità segrete mai divulgate prima, compresa quella su chi ha ucciso Pasolini.

Tornando all’opera, raffigura con grande realismo i tratti somatici del guerriero celtico, con gli zigomi alti, l’acconciatura dei capelli, dalle folte e lunghe ciocche e i baffi (si notano solo col viso visto frontalmente). In tale gusto si nota un accento sulla particolare erudizione che circolava alla corte di Pergamo. Probabilmente la figura si trovava al centro del Donario, per questo è fatta per essere apprezzata da molteplici punti di vista, sviluppandosi nello spazio che la circonda. Con la propria poesia, Gabriele Tinti ha cercato di restituire il lirismo degli ultimi istanti attraverso il canto del coraggioso combattente, che preferisce darsi la morte alla prigionia.

La performance fa parte di Canti di pietra, e rientra nel più complesso Rovine, progetto con i quali il poeta ha raccolto una serie di letture dal vivo di fronte alla statuaria classica, che ha visto coinvolti negli ultimi anni alcuni importanti attori, tra i quali, oltre a Kevin Spacey, anche Malcolm McDowell, Joe Mantegna, Marton Csokas, Robert Davi, Burt Young, Vincent Piazza, Franco Nero, Enrico Lo Verso, Luigi lo Cascio e Alessandro Haber, e che si è svolta in alcuni dei maggiori musei al mondo come il Metropolitan di New York, il J. Paul Getty Museum e il LACMA di Los Angeles, il British Museum di Londra, il Museo Nazionale Romano, la Gliptoteca di Monaco, i Musei Capitolini, il Museo dell’Ara Pacis, il Museo Archeologico di Napoli.

Rovine è stato insignito del “Premio Montale fuori di casa 2018” per la poesia ed è stato recentemente scelto per celebrare il riallestimento delle collezioni del Getty Villa, per proseguire il dialogo iniziato con la mostra di artisti contemporanei Plato in LA, in occasione della quale alcuni dei più celebrati artisti del panorama odierno hanno reinterpretato l’impatto di Platone sul mondo contemporaneo. Non è detto che il passato, anche quello più contestato, non possa aiutare a comprendere anche il nostro presente.

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