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Agli Abbey Road Studios per la soundtrack di “The Martian”

Un viaggio con il compositore inglese Herry Gregson-Williams nei luoghi di "Star Wars" e dei Beatles. Secondo voi che aria si respira?
Una scena di "The martian" con Matt Damon, e di Ridley Scott

Una scena di "The martian" con Matt Damon, e di Ridley Scott

«Questo posto ha un suono magico» dice il compositore inglese Henry Gregson-Williams. Ti credo: siamo agli Abbey Road Studios. Il solo odore dello Studio1 dà alla testa per quanto è evocativo: sembra di scorgere John Williams mentre dirige l’orchestra per l’epica marcia de Il Ritorno dello Jedi o di sentire le trombe che annunciano il tema di Indiana Jones. Ci vedo pure i Beatles nella loro versione più hippie quando stipati qui dentro tra fiori e palloncini colorati, cantavano in mondovisione All You Need is Love. Persino uno di casa come Williams, autore, tra le tante, delle musiche per Shrek, Bridget Jones, Le Cronache di Narnia e Gone Baby Gone, ha i cuoricini agli occhi mentre si guarda intorno.

Il solo odore dello Studio1 dà alla testa per quanto è evocativo


Oggi sono una mosca intrusa alle sessioni di The Martian, il nuovo film di Ridley Scott (basato sul romanzo di Andy Weir) con Matt Damon come protagonista. Ma sembra che il coro di 90 elementi convocato in studio non lo sappia ancora: «Buongiorno, siete qui per registrare una colonna sonora per Ridley Scott. Forse più tardi ci passerà a salutare, sempre che non sia impegnato sul campo da tennis» scherza Williams.

Mi affaccio quindi dal balcone dominante gli enormi soffitti; di fronte ai coristi scorgo il monitor con le scene del film a cui dare un suono. La spia rossa si accende, meglio tacere: recording. «Nice! Facciamone un’altra!». Williams, piccolo di corporatura, gentile e affabile nei modi, lavora con un metodo veloce ma meticoloso. Dà istruzioni ben precise sull’effetto da ottenere ma infila sempre qualche battuta per tenere alta l’attenzione, tipo: «Fate rumore più piano!».

a Ridley Scott non piace avere gente che non conosce intorno


Dopo che si assenta per riascoltare le take realizzate fino a quel momento, mi invita a prendere posto di sotto, nella sala controllo: «Tanto Ridley non c’è ancora; a lui non piace avere gente che non conosce intorno». Fantastico. Dalla sedia del buon Ridley si ha un’altra prospettiva di come funzionano le cose. Dentro ci sono diversi ingegneri del suono: uno che fa da tramite tra Williams e la sala controllo, una ragazza che esamina lo spartito ad ogni nota emessa, altri due che seguono la parte tecnica su pro-tools e infine l’indispensabile “teista” professionista (l’addetto alla incessante fabbricazione e consegna thé; ogni studio londinese che si rispetti ne ha uno).

Dalla sedia del buon Ridley si ha un’altra prospettiva


C’è anche uno schermo su cui monitorizzano il passaggio pedonale di Abbey Road. Perché mai, gli chiedo? «Oggi è l’anniversario dell’album dei Beatles, siamo curiosi di vedere quanta gente arriverà». Mi sembra giusto. Tra l’altro l’entourage di Williams è piuttosto eccitato di essere qui in questa giornata: vengono da Los Angeles, dove il compositore originario del Sussex si è trasferito venti anni fa. Ridley Scott potrebbe arrivare da un momento all’altro, meglio abbandonare la postazione d’onore e fare due chiacchiere nella lounge…

Lei ha già lavorato con Ridley Scott in titoli come Prometheus, Le Crociate ed Exodus
Credo che The Martiansia migliore di tutti questi: lo script è molto potente ed è migliore anche la musica. Per me ogni progetto è così differente, sarebbe noioso ripetermi.

Come funziona la vostra collaborazione?
Molto bene perché lui ha una visione chiara di ciò che vuole ottenere e questo aiuta. Anche se non ha un vocabolario musicale da cui attingere, è stato studente alla scuola d’arte e credo dipinga ancora ogni giorno della sua vita. Dunque utilizza termini come “tono” e “colore”: lì troviamo un terreno comune.

Da dove si inizia per scrivere lo score di un film?
In questo caso, la prima missione era trovare un tema musicale per Matt Damon. Inizio sempre con il pianoforte: la sua semplicità è ottima per lo scopo. Poi lo faccio ascoltare al regista, anche se nella sua versione finale gli arrangiamenti cambieranno e probabilmente il piano scomparirà. Ma è sufficiente per leggere il linguaggio del corpo di Ridley mentre ascolta e capire se sto andando nella direzione giusta. In questo caso gli erano piaciute molto le “pennellate” positive al tema di Damon, perché in fin dei conti il suo personaggio è molto positivo e umoristico, soprattutto per essere un tizio abbandonato su Marte.

La soundtrack di un film che pur non essendo propriamente di fantascienza è comunque ambientato su Marte, detta limiti sulla paletta di suoni che si possono utilizzare?
In verità abbiamo deciso di non porre limiti allo spettro sonoro e di rimanere aperti a ogni possibilità. Cosa che ad esempio non abbiamo fatto per Le Crociate, dove gli eventi avvenivano intorno al XXII secolo e abbiamo pertanto escluso a priori i suoni elettronici. Ma è anche vero che il potere di una grande orchestra sinfonica è difficile da rimpiazzare; nei momenti chiave di questo film ho voluto utilizzare un coro quando c’era da rappresentare l’elemento di umanità in una scena. Mentre i grandi spazi aperti di Marte risultano spesso in poche note, magari interrotte da suoni duri per conferire un senso di solitudine. Il compito della colonna sonora è di seguire il viaggio emozionale del protagonista dunque in questo caso l’atmosfera non è mai troppo rilassata perché c’è sempre qualcosa di spaventoso che può succedere al nostro marziano.

Mi è parso che il coro cantasse versi in latino o mi sbaglio?
Sì era latino, sono versi tratti dal De Rerum Natura di Lucrezio. È sempre difficile trovare il testo giusto per queste cose: mi piace qualcosa che abbia un senso ma che non sia immediatamente comprensibile.

Riesce ad andare al cinema senza essere distratto dalla colonna sonora?
Impossibile! Il punto è che ormai anche se non l’ho fatta io, so comunque chi l’ha composta; non posso fare a meno di ascoltare e muovere osservazioni e poi magari quando torno a casa, ne parlo con chi l’ha scritta.

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