Aaron Sorkin mi ha condannato a una vita di delusioni amorose. Da bambina, ero affascinata dal film che ha scritto nel 1995, Il presidente – Una storia d’amore, che era una sorta di prova generale per la serie tv West Wing – Tutti gli uomini del presidente, trasmessa quattro anni dopo, e l’inizio del suo flirt con la virtù civica che sarebbe durato tutta la vita e, involontariamente, della mia professione di studiosa dei presidenti. Andrew Shepherd, il commander in chief vedovo al centro di quel film, parlava di controllo delle armi, dovere civico e responsabilità morale. Non volevo sposarlo. Volevo studiarlo, il che si è rivelato essere una sorta di illusione.
Il presidente Shepherd (Michael Douglas), nonostante un indice di gradimento del 66%, passa la maggior parte del film a perdere terreno: la sua legge sul crimine si blocca, dimentica di firmare il permesso per sua figlia, la sua vita sentimentale diventa uno scandalo e il suo silenzio lascia spazio al rivale conservatore, il senatore Bob Rumson (Richard Dreyfuss), per accusarlo di essere un uomo senza “valori familiari”. Nel frattempo, Michael J. Fox, che interpreta Lewis Rothschild, un assistente iperattivo, incarna la coscienza del pubblico americano, spingendo Shepherd ad agire per conto loro. E quando finalmente lo fa, pronuncia il miglior discorso che io abbia mai sentito da un presidente, reale o immaginario, in tutta la mia vita.
«Qualunque sia il tuo problema specifico», dice Shepherd, con tono fermo e spietato, «ti assicuro che Bob Rumson non è minimamente interessato a risolverlo. Gli interessano solo due cose: farti paura e dirti chi è il responsabile». Poi arriva il colpo di grazia: «Ecco, signore e signori, come si vincono le elezioni».
Quando ho rivisto il film trent’anni dopo, da storica presidenziale che osservava i risultati delle elezioni di Trump, l’esperienza è stata brutale. La distanza tra il presidente immaginario di Sorkin e la realtà della politica americana sembrava abissale: l’empatia sostituita dal risentimento, la retorica dal rumore, il servizio pubblico dall’interesse personale. Il Paese aveva rieletto l’erede selvaggio di Shepherd, ma questo nuovo presidente incitava all’insurrezione e la chiamava patriottismo. L’idealismo di Sorkin sembrava improvvisamente fantascienza, un’elegia per una repubblica che aveva scambiato la truffa per governance.
Nell’anniversario del film, ho parlato con Sorkin del presidente che ha inventato, di quelli che abbiamo avuto nella vita reale e di cosa è cambiato. A quanto pare, tutto.
Tutti gli addetti ai lavori di Washington sostengono che West Wing li abbia ispirati a intraprendere quella strada. Hai incontrato qualcuno, come me, che invece è stato influenzato dal Presidente – Una storia d’amore?
Lo scorso settembre, la Casa Bianca ha organizzato un ricevimento per celebrare il 25esimo anniversario di West Wing. Lì ho incontrato un gruppo di persone che hanno parlato del Presidente e di West Wing, ma Il presidente è stato il vero inizio della loro carriera nel servizio pubblico.

Aaron Sorkin alla Casa Bianca con la First Lady Jill Biden e il cast di ‘West Wing – Tutti gli uomini del presidente’ per il 25esimo anniversario della serie. Foto: Manuel Balce Ceneta/AP
Era la Casa Bianca di Biden, giusto? Hai sentito la stessa cosa da altre amministrazioni? Mi chiedo cosa ne pensino i membri dello staff di Trump.
Era la Casa Bianca di Biden, sì. [Il presidente] ha avuto [un’influenza] alla Casa Bianca di Obama, alla Casa Bianca di Bush e alla Casa Bianca di Clinton. Onestamente non conosco nessuno alla Casa Bianca di Trump.
Ho sempre avuto una strana affinità con il nemico giurato di Shepherd, Bob Rumson, il senatore scaltro e moralista che si adattava perfettamente all’era del Contratto con l’America [il manifesto repubblicano di Newt Gingrich del 1994 che trasformava l’indignazione morale in strategia] in cui sono cresciuta. La tua indignazione una volta sembrava normale, ora sembra quasi antiquata. Vedi qualche parallelismo nell’attuale panorama post-bipartisan?
Non ho mai scritto nulla che non vorrei poter riavere indietro e riscrivere, ma qualcosa di così precoce nella mia carriera come Il presidente mi sembra un po’ come la mia foto dell’annuario del liceo. Vorrei davvero poterlo riscrivere. Una delle cose che farei sarebbe lavorare sul personaggio di Bob. Non credo di essere stato davvero corretto nei suoi confronti. Tuttavia, anche in quella versione, no, non vedo alcun parallelismo. Tutto ciò che vedo oggi nel Partito Repubblicano è una fedeltà inquietante e bizzarra verso qualcuno che non la merita. Una sceneggiatura media è lunga circa 120 pagine. La prima bozza del Presidente era lunga oltre 350 pagine. L’ho consegnata a Rob Reiner (il regista del film, ndt) in un sacchetto della spesa. Uno dei motivi [di quella lunghezza] era che avevo scritto molto su Bob Rumson. L’idea era che, essendo [Shepherd] vedovo, questo fosse una sorta di armatura contro quello che allora era l’attacco quotidiano alla sinistra, ovvero che non avesse alcun valore familiare. Tuttavia, quando inizia a frequentare qualcuno, quell’armatura scompare e improvvisamente diventa vulnerabile agli attacchi. È per questo che ho usato il personaggio di Richard Dreyfuss, ed è stato ingiusto.
Ma si adattava a quell’epoca, no? Mi piace ancora raccontare alla gente che la stampa una volta soprannominò George H. W. Bush “Rubbers” perché parlava tantissimo di pianificazione familiare, fino a quando non divenne vicepresidente di Reagan e smise completamente di farlo.
Chiunque guardasse [Il presidente] oggi per la prima volta lo troverebbe antiquato. È come viaggiare con una macchina del tempo. Ciò che era di moda nel ’94 erano i valori familiari. All’inizio delle mie ricerche per il film non sapevo cosa stavo facendo, non sapevo davvero cosa avrei scritto, tranne che ci sarebbe stato Robert Redford nei panni di un presidente degli Stati Uniti vedovo. All’ultimo momento, [Redford] e Rob Reiner hanno litigato. Quando Redford ha abbandonato il progetto, Warren Beatty voleva interpretare il ruolo, cosa che mi sembrava ottima, ma come ha detto Warren, a nessuno piace vederti mentre ti innamori di tua moglie (Annette Bening, co-protagonista del film, è nella realtà la moglie di Beatty, ndt). Quindi è saltato anche Warren. Ma all’epoca non avevamo alcuna conoscenza della vita privata di queste persone, anzi, non sapevamo proprio che avessero una vita privata. Clinton ha cambiato questa percezione, e ha mutato per sempre la cultura popolare. La mia ricerca è iniziata con il diario quotidiano dei presidenti di diverse amministrazioni precedenti. Si trattava semplicemente di resoconti di ciò che il presidente faceva giorno per giorno, minuto per minuto. Alle 7:25 del mattino ha incontrato le seguenti persone nello Studio Ovale, alle 8:00 era nella Residenza Esecutiva. Quello che mi ha colpito era l’idea che fossero uomini normali con un lavoro temporaneo, ed è proprio il fatto che fossero uomini normali che mi ha davvero interessato. Perciò mi è venuta l’idea di un presidente che deve chiedere a una donna di uscire con lui. Il presidente che cerca di regalarle dei fiori, cose del genere…

Annette Bening e Michael Douglas in ‘Il presidente – Una storia d’amore’. Foto: Columbia Pictures/Everett Collection
Mi sono ricordata della prima volta che ho letto il diario quotidiano di George H.W. Bush, senza un motivo particolare, solo per divertimento. In alcune pagine, lui raccontava di essere a dieta. Mangiava come si faceva negli anni Novanta, seguendo una dieta a base di ricotta e digiuno. Ma un giorno ha ordinato una pizza per cena.
È fantastico che tu abbia notato queste cose. Ho dovuto controllare [il diario di] Hoover il 29 ottobre 1929, il giorno del crollo della Borsa. E ho visto che alle 16 doveva partecipare a un cocktail party per un motivo qualsiasi. E quello sarebbe stato proprio il momento in cui la Borsa avrebbe chiuso. Ho pensato che probabilmente avrà bevuto un paio di drink a quel cocktail party…
Sì, lo spero per lui. Una delle cose più sorprendenti che ho trovato nelle lettere di Woodrow Wilson è stata quando ha scritto a sua moglie: “Ti assalirò con il mio amore”.
È fantastico. A proposito di Woodrow Wilson, c’era qualcosa [nella sua biografia] che è finito nel Presidente… Wilson aveva un’amante?
Sì, ce l’aveva. E circa sei mesi dopo aver promesso di “assalire” sua moglie Ellen, lei morì e lui sposò quell’amante.
L’assalto non andò bene come speravi. Oggi andrò in giro a dire alla gente che li assalirò con il mio amore.
Io uso sempre questa frase! È un buon promemoria del fatto che anche i presidenti sono persone. Tu ce lo ricordi costantemente, anche se non sono più sicura che sia così. Ho appena testimoniato davanti al Congresso, e la mia deprimente conclusione è stata che oggi non c’è nulla di vero.
Sì, e invece penso che avere qualcosa di vero sia importante quanto, che so, l’intelligenza e la fiducia in sé stessi. Ho una figlia, e da quando è nata – 24 anni fa – ho sempre creduto che la cosa più facile al mondo per un genitore sia entrare in empatia con un altro genitore. Se mi dici che sei un genitore, mi sembra di sapere già le cose importanti su di te. Quindi, quando il governo ha separato i bambini [messicani] dai loro genitori al confine, ho pensato: non può essere. C’è qualcuno lì? Qualcuno che sia un genitore? Non si può fare una cosa del genere. Non si può proprio.
Questo è ciò che distingue i presidenti che hai inventato tu: sono come Sisifo, nella loro convinzione di poter fare del bene.
Sisifo è un ottimo esempio. Molte delle cose che sono state eliminate dalla prima sceneggiatura di 350 pagine sono diventate l’inizio dell’episodio pilota di West Wing. Ho detto al cast che questi personaggi avrebbero fallito tante volte quante avrebbero avuto successo. Scivoleranno sulle bucce di banana, ma cercheranno sempre di fare la cosa giusta.
Shepherd è un’anomalia politica: vedovo, padre single e in qualche modo intoccabile proprio per questo. Pensi che una persona del genere potrebbe sopravvivere al crogiolo della politica moderna e arrivare alla Casa Bianca oggi? Susciterebbe ancora rispetto o è impossibile immaginarlo oggi?
Se oggi un vedovo si candidasse, in particolare se fosse un democratico, in qualche modo il candidato sarebbe considerato il responsabile della morte del coniuge. Direbbero qualsiasi cosa. Sarà così per sempre? Non lo so. Forse siamo solo in un periodo buio. Ma oggi è sicuramente così.

Il regista Rob Reiner con Michael Douglas sul set del film. Foto: Foto: Columbia Pictures/Everett Collection
Quando hai scritto Il presidente, chi immaginavi che fossero gli spettatori, o l’elettorato? Gli elettori in quel momento sembravano concentrati sulle preoccupazioni quotidiane: l’economia, il futuro dei propri figli, la fiducia nel fatto che il governo potesse ancora lavorare per loro. Vedi una differenza tra quell’elettorato immaginario e quello per cui scriveresti un film oggi?
Sono un appassionato di sport, e uno degli aspetti più belli degli sport di squadra è proprio quello di poter provare simpatie e antipatie completamente irrazionali, giusto? Amo la città di Boston. Adoro stare lì. Amo tutto di Boston. Allora perché li odio quando giocano contro gli Yankees? È così e basta. Sono un tifoso degli Yankees, loro hanno i Red Sox e i Celtics, che odio. E queste simpatie e antipatie irrazionali rendono più divertente guardare una partita. Questo è diventato la nostra politica, ma in modo molto più serio. La gente vota il candidato che farà arrabbiare i propri nemici.
Oggi c’è una crisi di autenticità di cui Shepherd non ha mai sofferto: lui era sempre inequivocabilmente sé stesso. Trump, nonostante tutto il suo caos, è sembrato a molti elettori l’opzione più autentica. Quindi mi chiedo come pensi che la sincerità e la costanza di Shepherd sarebbero percepite dall’elettorato di oggi. L’autenticità avrebbe ancora risonanza?
Penso che se avessimo avuto questa conversazione dieci anni fa, prima che [Trump scendesse] dalla scala mobile [nel 2015, per annunciare la sua candidatura], sarebbe stata una conversazione molto diversa. Durante il Covid, ho guardato tutti i documentari Netflix sulle sette: NXIVM, The Way Down [sul culto della Remnant Fellowship], Sarah Lawrence, tutto. E ciò che hanno in comune è questa strana e appassionata devozione verso una persona assolutamente insignificante. È lì che mi sembra che ci troviamo ora. Vedo le interviste alla gente comune in cui le persone definiscono Donald Trump autentico e onesto, e che lui pensa sul serio quello che dice, e [penso] che mi stiano prendendo in giro. La novità è questa strana devozione, simile a un culto, verso l’ultima persona che lo meriterebbe. L’elettorato è cambiato, e non sono bravo a spiegare cosa abbia provocato tutto questo. Forse la sinistra ha fatto impazzire la gente. [Il presidente] è una commedia romantica, ma le due questioni politiche al centro della trama erano le armi e l’ambiente, giusto? Oggi quel film non verrebbe realizzato, uno Studio non accetterebbe di produrlo, perché saprebbe che si alienerebbe metà del potenziale pubblico, cosa che non era vera nel 1995. Gli eroi che ho descritto in quelle due storie hanno agito anche se questo avrebbe compromesso la loro popolarità, cosa che non si vede fare molto spesso dai politici professionisti di entrambi i partiti. Mi piace scrivere in modo romantico e idealistico. Suppongo che, per essere più realistico, avrei dovuto farli perdere di più.
Alexis Coe è una storica specializzata in presidenti americani, senior fellow di New America. Il suo ultimo saggio è You Never Forget Your First: A Biography of George Washington. Il nuovo libro Young Jack: John F. Kennedy, 1917-1957 uscirà il prossimo anno.











