‘A Good Person’, la cognizione del dolore secondo Zach Braff | Rolling Stone Italia
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‘A Good Person’, la cognizione del dolore secondo Zach Braff

Abbiamo intervistato Mister ‘Scrubs’, di nuovo dietro la macchina da presa per una storia che unisce dramma e leggerezza. I veri lutti subiti nella vita, la ex Florence Pugh scelta come (magnifica) protagonista e la possibile “reunion” della serie ospedaliera più cult di sempre

‘A Good Person’, la cognizione del dolore secondo Zach Braff

Florence Pugh in ‘A Goos Person’ di Zach Braff

Foto: Sky

Ha la condanna di chi ha interpretato un personaggio entrato nella storia della televisione, Zach Braff. Ma, come ci ha detto, non è un problema per lui: è grato a Scrubs e al dottor John Dorian, meglio noto come J.D. Più difficile, semmai, è stato togliersi di dosso quel vestito da predestinato che gli fu cucito addosso quando esordì alla regia con La mia vita a Garden State, uno dei film più nominati del 2004 e un successo che non è riuscito più a ripetere. Questione di ispirazione, di scelte, anche come attore (tipo il disastroso remake americano dell’Ultimo bacio), che lo hanno fatto un po’ uscire dal giro giusto. E anche di un carattere difficile, che spesso non lo ha fatto scendere a compromessi. E anche di un po’ di sfortuna, perché il suo secondo film, Wish I Was Here, uscito nel 2014, era molto interessante e avrebbe meritato maggiori fortune.

Dopo il remake di un classico moderno come Vivere alla grande dal titolo Insoliti sospetti (2017), per cui lo avevo intervistato, Zach ha avuto qualche anno difficile. Non professionalmente, anzi, si è dedicato alla regia tra episodi di serie tv e piccoli progetti personali. Ma la vita lo ha segnato in altro modo, tutte cose che hanno portato alla scrittura di A Good Person, un piccolo film girato in 21 giorni nella città in cui Braff è nato e cresciuto con protagonista Florence Pugh, con cui quando ha scritto e girato il film era in una relazione discussa su tutti i tabloid del mondo per i molti anni di differenza che ci sono tra i due. Prodotto da Braff con l’aiuto della Killer Films di Christine Vachon e il sostegno distributivo della MGM, A Good Person arriva in Italia direttamente su Sky e NOW dal 30 maggio.

La storia: a seguito di un incidente automobilistico, la vita di Allison viene sconvolta. Lei era alla guida dell’auto in cui hanno perso la vita la sorella e il cognato del futuro marito. Un anno dopo si ritrova sola, a casa della madre, dipendente dai farmaci e con nessuna prospettiva. L’incontro casuale con il padre dell’ex fidanzato le darà un minimo di speranza. Ma la forza di andare avanti la dovrà trovare da sola. Un buon film, A Good Person, che si basa su equilibri molto difficili senza mai uscire dalla carreggiata o andare sopra le righe, anche grazie alle ottime interpretazioni di Florence e di Morgan Freeman, che sappiamo bene potrebbe vincere un Oscar leggendo il menu di un fast food. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Zach a Londra, in occasione della première del film, dove si è presentato di nuovo al fianco della sua ormai ex – ma entrambi erano ancora molto affiatati.

A GOOD PERSON (film Sky Original) – Trailer ITA

Zach, sono molto felice di parlare di nuovo con te dopo qualche anno, soprattutto perché A Good Person è davvero un buon film.
Grazie mille.

È la tua prima sceneggiatura originale dopo quasi dieci anni. Ed è complessa, perché abbraccia tre diverse generazioni, affronta argomenti delicati come le dipendenze, la gestione del lutto e del dolore. Da dove viene fuori tutto questo?
Bella domanda. Negli ultimi quattro anni ho perso mia sorella, per un aneurisma, e mio padre. Ho avuto molti lutti nella mia vita e ho visto persone che amo affrontarli, come mia madre con la perdita di sua figlia. Tutte situazioni pervasive nella mia vita. Poi è arrivata la pandemia e non solo mi sono trovato, come tutti nel mondo, ad affrontare l’isolamento, ma in un certo senso in prima linea, perché il mio migliore amico viveva da me quando si è ammalato di Covid per poi essere ricoverato in ospedale e non uscirne più. Così, quando mi sono ritrovato seduto a fissare il cursore lampeggiante del computer durante il lockdown con il desiderio di scrivere, ho scritto del dolore e di come cerchiamo di rialzarci dopo essere stati messi al tappeto come esseri umani. E poi volevo scrivere qualcosa per Florence Pugh, che all’epoca era la mia compagna, sapendo che attrice straordinaria sia. Questo è stato il punto di partenza. Non sapevo bene dove sarebbe andato a parare, ma ho iniziato da lì.

Una sceneggiatura difficile perché hai dovuto bilanciare i rapporti tra protagonisti di età così diverse, e che hanno quindi un diverso approccio nei confronti dei temi di cui parli. Certo, se hai Morgan Freeman e Florence Pugh è più semplice…
È stato impegnativo, ma ho pensato che fosse questo l’aspetto interessante. Per me, l’idea di Morgan di fronte a Florence in un caffè già mi intrigava: è come un maestro Jedi con la sua giovane padawan, di fatto fungono da surrogati l’uno dell’altra. Sono le ultime due persone sulla Terra che avrebbero mai pensato di diventare amiche. Ma hanno bisogno l’uno dell’altra. E condividono anche un problema di dipendenza: lui può guidarla attraverso un percorso per uscirne, e lei a crescere la nipote.

Morgan Freeman in una scena del film. Foto: Sky

La dipendenza da farmaci oppiacei è un problema gravissimo negli Stati Uniti. Il fatto che sia stato trattato nell’ultimo anno in una serie come Dopesick e in un documentario, bellissimo, Tutta la bellezza e il dolore, che ha vinto il Leone d’oro a Venezia, è indicativo. Hai scelto di inserirlo perché hai capito quanto sia importante parlarne in questo momento?
Sì, è un argomento che mi ha preso quando ho letto il libro da cui è tratta Dopesick, e non potevo crederci. Quando ho finito conoscevo giovani donne che facevano le rappresentanti farmaceutiche e una di loro, di cui ero amico, mi raccontò tutta la procedura: entrare negli studi medici portando fiori e sushi alla segretaria, flirtare con i dottori, convincerli a prescrivere dosi sempre più alte di questi farmaci. E se lo fa e ci sono tutti i dati a supporto che lo dimostrano, il o la rappresentante riceve un bonus. Di queste cose ero venuto a conoscenza nel 1998, non riuscivo a credere che potesse essere legale e che soprattutto potesse accadere realmente, mi sembrava una truffa bella e buona. Poi è arrivata l’epidemia di oppioidi e ho pensato: “Oh, mio Dio, ho sentito parlare di questa stronzata già nel 1998”. La cosa mi ha fatto arrabbiare, perciò ho investito tutto in questa storia. Conosco persone che hanno problemi di dipendenza e ho ritenuto fosse importante parlarne, è una storia molto americana.

A Good Person è un dramma, ma sei riuscito a dargli anche un tocco leggero, una cosa che solo le persone che sanno gestire un genere difficile come la commedia sono in grado di fare. A proposito di questo, il tuo personaggio in Scrubs ti ha fatto sentire in gabbia o sei felice di essere riconosciuto come un grande comico?
Oh, ne sono molto felice. Quando vado al cinema a vedere un film drammatico, se spinge troppo solo su quel tono per me è come ascoltare un brano musicale che cerca di sostenere la stessa nota per troppo tempo. E alla fine non ci sto più dentro. Invece ho bisogno che ci sia una liberazione, simile a quelle che accadono nella vita. Quando ero nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva per sapere come stesse mia sorella c’era un’atmosfera di tensione, quasi terrore. Poi qualcuno disse qualcosa di divertente e tutti scoppiarono a ridere, e lì ti dici: “Grazie a Dio hai detto quella cosa stupida, perché abbiamo tutti bisogno di ridere”. Così ho pensato che fosse un buon modo di raccontare la storia: è più realistico, ci vuole sempre una risata per sconfiggere il dolore di un trauma.

Sono totalmente d’accordo con te, purtroppo lo dico per esperienza. Anche per questo hai deciso di andare a girare a casa tua, nel New Jersey, nel posto dove sei nato?
Sì, era un questione di sincerità, dovevo raccontare di cose che conosco, e l’idea di portare Morgan nella mia città natale mi piaceva. L’ufficio del preside dove va a riprendere la nipote è quello del mio liceo, lo stesso il campo da calcio, il laghetto delle anatre dove si va a sedere è quello dove andavo da bambino. È un sobborgo, ma in 25 minuti sei in centro a Manhattan. Ho sempre trovato un’energia interessante in quel posto, anche nelle sue contraddizioni, perché ci puoi rimanere bloccato e non lasciarlo mai, oppure essere qualcuno che percorre quei 25 minuti dove tutto è possibile.

Florence Pugh è Allison. Foto: Sky

Parliamo della musica, che è molto importante nel film. Mi sembra che tutto il film sia stato scritto in funzione della colonna sonora.
Sì, è sempre così per me, so che la colonna sonora (scritta da Bryce Dessner dei National, nda) è un vero e proprio personaggio del film, anche perché so che la musica giusta può portare una scena, ma anche il film stesso, a un livello superiore. La particolarità qui è che le canzoni originali sono state scritte da Florence, che le ha anche interpretate. Non mi era mai capitato prima, e lei è molto brava. Molto brava.

Ok, chiudiamo con la domanda che ti fanno tutti: ci sarà una reunion di Scrubs? Non mi uccidere, immagino che avrai risposto mille volte e non ne puoi più.
No, tranquillo. Guarda, la risposta è semplice: il cast lo farebbe in un secondo. Ma Bill Lawrence, il creatore di Scrubs, è davvero tanto impegnato con Shrinking e Ted Lasso, e sta preparando una nuova serie con protagonista Vince Vaughn: è uno degli scrittori più richiesti di Hollywood. Quindi la risposta è: se mai Bill troverà il tempo e la priorità e vorrà farlo, accadrà. Ma non possiamo fare a meno di lui. È la sua creatura.