20 anni di ‘Brokeback Mountain’ insieme a Heath Ledger: la storica intervista di Rolling Stone | Rolling Stone Italia
Io (non) sono qui

20 anni di ‘Brokeback Mountain’ insieme a Heath Ledger: la storica intervista di Rolling Stone

Nel 2005, il film di Ang Lee consacrava star un attore che avremmo perso troppo presto. Ricordiamo lui e quel titolo che ha cambiato Hollywood con questa cover story da rileggere

20 anni di ‘Brokeback Mountain’ insieme a Heath Ledger: la storica intervista di Rolling Stone

Heath Ledger in ‘I segreti di Brokeback Mountain’ di Ang Lee

Foto: Focus Features

Questo articolo è stato pubblicato su Rolling Stone US il 23 marzo 2006.

Quando gli attori diventano star del cinema, questo mette a dura prova tutti. I membri della famiglia vengono chiamati senza che si tenga conto del fuso orario; i paparazzi sorvegliano il nuovo indirizzo; il resto di noi alza gli occhi su un’altra personalità su cui siamo obbligati ad avere un’opinione. Questo è un problema per Heath Ledger, che ha ventisei anni e ha imparato a tenere la sua personalità chiusa in casa, dove impreca davanti alle porte, distrugge i mobili, esce in giardino nei momenti peggiori. «In passato», dice, «ho cercato in tutti i modi di trattenermi, persino di sorridere». L’attore, che è australiano, parla con un accento del Commonwealth che è allo stesso tempo educato e di strada. «Non volevo che la gente si facesse un’opinione su chi sono o su quello che dicevo», dice.

Un giorno la sua ragazza, Michelle Williams, gli ha scritto il titolo di una canzone, Old Man River, sull’avambraccio. Ledger ha chiesto a un tatuatore di passare gli aghi sulle sue parole, come un negoziante incornicia il suo primo dollaro. La canzone proviene da un musical molto triste e contiene questo consiglio chiave: “Deve sapere qualcosa, ma non dice nulla”. Così, l’estate scorsa, quando la coppia ha visto per la prima volta I segreti di Brokeback Mountain – seduti in un grattacielo di Manhattan sfoggiando la loro migliore poker face – avrebbe dovuto essere perfetto: niente persone, niente commenti. La sala si è fatta buia. Ledger cavalca un cavallo, si innamora di un altro uomo, gli si spezza il cuore, perde l’occasione della sua vita. Le luci si sono riaccese, Ledger e Williams hanno attraversato l’atrio. Ledger non aveva idea di ciò che aveva appena visto. «Ho capito che il film scorreva, che era girato bene. Ma che fosse bello o brutto… siamo usciti senza sapere cosa avevamo appena visto».

Quando ci incontriamo, Ledger parla di un momento difficile del film: Williams, che interpreta la moglie sfortunata del suo personaggio, si affaccia a una porta e trova Ledger abbracciato con il co-protagonista Jake Gyllenhaal. In un’inquadratura stretta, si vede il suo volto annebbiarsi: Williams capisce che non riuscirà mai a rendere felice l’uomo che ama. Ledger vuole sapere la reazione del pubblico. Io dico che hanno sussultato. Ledger ne prende atto. «Sì», dice. «Il suo povero personaggio… Michelle l’ha interpretato così bene, solo con quello sguardo». Fa spallucce. «Ogni volta che lo vedo, non posso fare a meno di ridere».

Sono passati mesi e tutto è cambiato. David Letterman sta facendo la top ten degli indizi che rivelano che sei un cowboy gay. Brokeback Mountain è diventato un riferimento culturale, un film su cui schierarsi, il pedaggio per entrare nella conversazione nazionale. Ledger è arrivato a Hollywood come una specie di fuggiasco. Ora sta ricevendo un’enorme attenzione mediatica. L’Oscar si è inchinato quest’anno a Brokeback Mountain, incoronando Ledger con la sua prima nomination come miglior attore. Ledger conserva le sue dimensioni fisiche e la sua forma: in ogni altro aspetto, sta diventando più grande.

Ennis Del Mar è il ruolo chiave di Ledger, e lo ha interpretato alla vecchia maniera. È la parte che Robert Redford ha fatto diventare l’inizio di una gloriosa carriera in Come eravamo: l’oggetto d’amore che non vuole essere amato.

Il suo approccio alle interviste non è dissimile. Per Ledger, i giornalisti sono le sadiche guardie di frontiera di un Paese che deve attraversare. Lo scorso agosto, quando non gli sono piaciute le domande di un intervistatore australiano, si è chiuso a riccio, sbucciando un’arancia in diretta tv. Così, quando vuole incontrarmi a pranzo a New York, la mia mossa astuta è quella di vestirmi come lui. Quando mi presento in un ordinato bar di New York in pantaloncini, maglietta e giacca scassata, gli occhi di Ledger mi scrutano. «Non avrei mai detto che sei un giornalista», dice. «Il che è un bene».

Il Signore ha dato a Ledger un aspetto “commerciabile” – sopracciglia e mascella alla Connery, che incorniciano una bocca da baciare – ma certi giorni sembra che si sia svegliato dentro un bidone di petrolio. Ha i sentimenti contrastanti della star piacente: è l’invito che ti fa varcare la porta, e che butti in un vaso di fiori una volta dentro la festa. Ha una felpa con cappuccio e zip con la scritta Brooklyn, orecchini neri, pizzetto corto, occhiali da sole avvolgenti che non toglie mai, stivali alla Frankenstein.

Ledger ci accompagna in un ristorante australiano, dove diventa tutto un languorino e un’arguzia. Non dà peso ai commenti positivi che circondano la sua performance. «È un sollievo. Ma me lo hanno detto», dice ridendo, «anche di molti film davvero brutti che ho fatto». È attento sul lavoro. «Mi faccio sempre da parte e sviscero il ruolo. Voglio dire, non esiste la perfezione in quello che facciamo. I porno sono più perfetti dei nostri film, perché lì scopano davvero». Non è un commensale esigente: si succhia le dita, fa un rutto, dice spesso «scusa». Per tutto il tempo, mantiene un’aria sorniona e beffarda, da autista che si sottopone all’etilometro quando sa di non essersi avvicinato a un drink. E sebbene Ledger guadagni i soldi che guadagnano gli attori del suo livello, quando arriva il conto dice: «Ho solo due dollari…». Se non avessi portato i contanti io? «Allora saremmo fottuti», dice. «Saremmo lì a lavare i piatti».

Ledger non è cresciuto con i soldi. «Né con il cinema o l’arte», dice. Come un milione di famiglie: solidi genitori della classe media – Kim Ledger progettava auto da corsa, Sally faceva la casalinga – con un paio di figli che vivevano un matrimonio problematico. Dopo cena, suo padre poteva aprire un libro di Lee Iacocca, il boss dei self-made man; sua madre trovava sollievo in Danielle Steel. Azionando il videoregistratore, Ledger guardava Chuck Norris. «Non sto criticando la Delta Force», dice Ledger. «Adoro Chuck».

Questo accadeva a Perth, nell’Australia occidentale, che Ledger definisce «la città più isolata del mondo». Aveva undici anni quando i suoi genitori divorziarono. «Sono sicuro che c’è stata una settimana in cui non si sono parlati». Per il resto, sono diventati quel tipo di ex coppia, teorizzata dagli psicanalisti, che condivide cene di famiglia e viaggi insieme. Per Ledger, il divorzio è stato un campo di addestramento. «Mi piaceva stare in una casa per tre settimane e poi dire: “Ok, va bene, me ne vado”», dice. «Mi ha preparato per questa vita bohémienne che sto conducendo io: mi sembra di aver viaggiato con la stessa valigia da quando avevo undici anni».

Allo stesso tempo, Ledger si è separato dal bambino che era stato. «Tutti i ragazzi fino a tredici anni pensano di essere i loro genitori», dice. Ledger era già passato oltre. Cominciò il suo lungo apprendistato nel deludere le persone, nell’andarsene per conto proprio. Suo padre aveva per lui ambizioni da uomo vero: Ledger avrebbe corso con le auto («Ero pronto a diventare il prossimo Michael Schumacher»). Invece, il figlio si dedicò alla recitazione.

Ledger aveva un vantaggio: sembrava già Heath Ledger. Capelli dorati, lineamenti decisi: come molti attori bambini, il suo volto sembrava già esistere nella sua versione adulta. La sorella maggiore stava tentando la carriera di attrice. Ledger incontrò il suo agente e ne uscì con un provino. «Ho iniziato a capire che recitare mi avrebbe dato più soldi e più tempo libero», racconta. «Non me ne fregava niente. Ero ancora molto preso dall’essere un adolescente».

Fun fact per i fan. Il primo ruolo importante di Ledger, nella serie televisiva australiana Sweat, è stato quello di un ciclista gay. E nel Destino di un cavaliere, il film del 2001 che avrebbe portato a Ledger la prima notorietà, c’è la scena in cui – per motivi divertenti e giustificati – Ledger riceve un bacetto da un ragazzo.

Guardando Sweat per la prima volta, il diciassettenne Ledger ebbe un altro tipo di shock. «Ero uno schifo», osserva. La serie procedeva a ritmo serrato. «Ricordo che mi nascondevo il viso tra le mani pensando: ”Questa è la fine, e non è nemmeno iniziata”».

Ledger ha chiesto a sua madre di rassicurarlo: era davvero così terribile nella serie? Non sapeva recitare? E lei rispose: “Be’, va bene lo stesso”. Le è sfuggita una certa sincerità, ma nel modo più bello. Non si è nemmeno preoccupata di dire: “No, tesoro, sei stato grande, sono così orgogliosa di te”. «Nessun altro intorno a te, tranne tua madre, ti dirà che fai schifo. E lei mi ha detto chiaramente: “Ci sono altre cose che puoi fare nella vita”».

Ledger scuote la testa con aria rancorosa. «Penso che questo sia il problema di molti attori del settore. Pensiamo tutti di essere brillanti, capisci? E il 98% di noi fa schifo. E dobbiamo rendercene conto, prima di poter migliorare».

Cominciò a smontare le sue performance, come aveva visto suo padre riassemblare i motori delle auto. Non ascoltava gli altri attori, non era in sintonia con loro, sbatteva troppo le palpebre. «Ho iniziato a fare dei cambiamenti», dice, «per… dirigere me stesso».

Dopo la maturità, Ledger se n’è andato. Ha fatto le valigie, ha guidato per più di tremila chilometri fino a Sydney, dove gli australiani vanno incontro al loro destino. Ha preso in prestito i soldi per la benzina dai suoi genitori e non ha più voluto nulla da loro.

Ledger decide di fare una passeggiata. Visto che siamo a Little Italy, passano berline con uomini in giacca e cravatta che guardano fuori, uomini per i quali Ledger non è una star del cinema ma un altro invasore che trasforma il vecchio quartiere in un dannato recinto per hipster. Chiedo a Ledger una sigaretta; si scopre che ha smesso un anno fa. Perché? «Non riuscivo a respirare bene». Mi porta comunque dentro un negozio, e lì c’è Ledger che cerca di una soluzione puntando qualcosa dietro il bancone. «Prova queste», dice, indicando una marca di sigarette. «Sono burrose».

Come in precedenza, è difficile capire: si tratta di teatro di strada o di un interesse legittimo per il tabacco? Più tardi, su una panchina in uno dei parchi della città, dico a Ledger: «È burrosa». Lui fa un rapido e nostalgico sorriso da ex fumatore. «È così, vero?».

Alla fine degli anni Novanta, Ledger aveva trovato la strada per Los Angeles. Aveva girato un film australiano sulle armi, Two Hands. Era stato ingaggiato per un dramma in costume per Fox TV, Roar, che è terminato dopo tredici episodi. «Era iniziato in modo abbastanza dignitoso e simile a Braveheart. Ma quando sono diventati disperati per gli ascolti, lentamente nessuno indossava più vestiti. Mi chiedevo: “Perché c’è una banda di fottute modelle in bikini che combattono?”». Lui e la sua ragazza dell’epoca vivevano in una casa famiglia, il tipo di posto in cui le persone si scambiano cibo e contatti sociali. Qualcuno conosceva uno sceneggiatore che aveva in mente una commedia adolescenziale, 10 cose che odio di te. Ledger finì per interpretare il personaggio principale, dopodiché rifiutò le offerte di interpretare bulli del liceo solitari e corteggiatori. «Ma cosa avevo fatto per dimostrare il contrario? Dovevo scappare da tutto quello». Rimase in casa, al verde e affamato, ignorando i gossip, e aspettò.

Si è scoperto che stava aspettando Mel Gibson. A metà del suo provino del 1999 per interpretare il figlio di Gibson nel Patriota, aveva buttato il copione, dicendo ai produttori che stava sprecando il loro tempo e il suo. «È stato il peggior provino del mondo», dice. «Sono stato davvero una merda. Perciò mi sono ribellato a quella situazione». Ricorda oggi: «Ho ottenuto quel film senza fare il provino». E poi è arrivato Il destino di un cavaliere.

Heath Ledger sulla cover di Rolling Stone US. Foto: Sam Jones

Ledger aveva solo diciannove anni; con l’avvicinarsi dell’uscita del film, aveva una sensazione viscida nello stomaco. Ogni giorno, gli automobilisti potevano vedere la sua testa gigante, nei cartelloni pubblicitari lungo il Sunset Boulevard; in tutto il Paese c’era il suo volto, il titolo e la tagline: “He Will Rock You”. «Mi ha spaventato a morte», dice. «Mi sono detto: “E se invece non spacco niente?”».

Mentre Ledger diventava sempre più nervoso – «Avevo praticamente attacchi d’ansia anche solo per uscire di casa» – lo Studio si dimostrò entusiasta. Durante le riunioni, i dirigenti stavano già traccaidno il percorso della sua carriera come in una puntata di Entourage: tour promozionali, compensi più alti, più cartelloni pubblicitari, progetti più grandi. Volevano che Ledger interpretasse Spider-Man. Questo lo ha reso meno sicuro di sé. «Non sentivo di meritarmelo», dice. «Non sapevo ancora come recitare correttamente. Ho iniziato a sentirmi come una bottiglia di Coca-Cola. E c’era un intero piano di marketing per trasformarmi in una bottiglia molto venduta. E sai, la Coca-Cola ha un sapore di merda. Ma ci sono manifesti ovunque, così la gente la compra. Mi sentivo come se sapessi di merda e mi stessero comprando senza motivo».

Quando i dirigenti finirono la loro presentazione, tutte le teste del tavolo si voltarono verso Ledger. Ledger si alzò in piedi. “Potreste… . . potreste aspettare un secondo, per favore?”. Scappò in bagno, sbattendo la porta. «E sono scoppiato in lacrime. Sbattevo la testa contro le pareti. È stato un attacco d’ansia in piena regola».

Fu allora che iniziò a diffondersi la fama di Ledger come tipo difficile. «Mi ero concentrato su come recitare», dice, «non su come… vendermi. Agenti, uffici stampa, tutti dicono: “Crea un personaggio!”. Io non volevo creare un personaggio del cazzo, ma allo stesso tempo non volevo nemmeno dare me stesso in pasto alla gente. Quando non vai da Letterman e dici: “Ehi! Ho una battuta bellissima!”; quando ti siedi lì timido e nervoso come un normale essere umano, vieni definito noioso e ingrato».

Ledger continua a cercare di trovare una posizione migliore in cui accasciarsi, poiché la sua memoria è diventata un luogo scomodo. «Ovviamente ora ho… ehm… trovato modi più diplomatici per affrontare la situazione. Ma a quel tempo, era solo “Fanculo a tutto!”».

Si mise a cercare ruoli per sporcare la sua immagine: Le quattro piume, La setta dei dannati, Ned Kelly. «Volevo eliminare il biondo dalla mia carriera, uccidere la direzione in cui stava andando. Volevo essere cattivo, volevo essere buono. Mi chiedevo: “Bene, ora come faccio a rendere questa carriera una carriera che mi piacerebbe avere?”».

In questa strana ricerca, Ledger ha incontrato il successo. «Sono arrivato al punto in cui [quella strategia] funzionava: nessuno voleva lavorare con me». Ride. «Alla fine, consciamente o inconsciamente, avevo perfettamente sabotato qualsiasi interesse degli Studios a lavorare con me».

Nel 1997, Annie Proulx scrisse una storia su due persone facilmente “filmabili” (cowboy moderni) che si dedicavano a qualcosa di poco filmabile (fare sesso l’uno con l’altro). Tanti attori avevano fatto il filo a Brokeback Mountain, come se si trattasse della figlia di un bellissimo ranchero con problemi di droga. Chi sarebbe stato abbastanza uomo da interpretare un gay? «Il mio agente mi ha detto: ”Penso che tu sia perfetto per questo ruolo”».

La storia è semplice. Ennis Del Mar si innamora di Jack Twist, poi passa due decenni a frustrare i tentativi dell’altro uomo di amarlo. Inizialmente i produttori avevano visto Ledger nel ruolo di Jack. Lui, ovviamente, ha detto di no. «Perché a differenza di Jake [Gyllenhaal], che doveva fingere di essere a suo agio, Ennis stava fottutamente … combattendo». Dopo tutto, per anni, cosa ha fatto Ledger se non Ennis Del Mar? Se si toglie il romanticismo, Ennis era quello che Ledger interpretava da quando aveva lasciato il garage di suo padre.

Il film è stato girato per quattro mesi sulle montagne di Calgary, Alberta, con l’inverno che si scioglieva in una primavera fresca e rigida. Di notte, Ledger si innamorava di Michelle Williams. Di giorno, lavorava con Jake. Per otto settimane, le scene di sesso incombevano su di loro, sequenze che avevano fatto scappare altri attori.

«La mia più grande ansia», dice Ledger, «era quella di non dover baciare Jake». Per un decennio aveva sperato di ottenere la parte giusta, la possibilità di dimostrare ciò che sapeva fare. «Era una sceneggiatura perfetta e Ang Lee era il regista perfetto. Quindi l’ansia per me era: non voglio essere io a rovinare tutto». Ride. «Ed ero disposto a fare qualsiasi cosa…».

Quindi è così che ha affrontato le scene d’amore? Mi guarda in modo acuto. Voglio dire, non avresti mai pensato…

«Di uscire e scopare con un ragazzo per la prima volta?», chiede.

«Senti, io ho sperimentato l’amore. So come amare una donna – e sono stato innamorato di molte donne, e sono innamorato della donna più bella in questo momento – quindi conosco la portata dell’amore. Immagino che vi piacerebbe che dicessi che è stato difficile, che volevo vomitare. Ma la verità è che si trattava di un’altra persona. Ora, non voglio assolutamente scoparmelo, siamo entrambi assolutamente etero. Non è stato come se Ang avesse detto: “Ok, ragazzi, divertitevi e… azione!”. Abbiamo dovuto fare una coreografia, ed è stato come camminare sulla luna per la prima volta. Ma non era… il sedere di un mulo: stavo baciando un essere umano con un’anima. E parte della magia della recitazione è che si sfrutta il potere infinito della fede. Perché se per un secondo avessimo smesso di credere e avessimo guardato  con gli occhi di Heath e Jake, avremmo detto: “Oddio, tutto questo è…”».

I suoi occhi si spostano, poi tornano a me. «Hai presente quando vedi i predicatori del Sud? Afferrano un credente e fanno: “Bwoom! Ti tocco con la mano di Dio!”. E quelli credono così fortemente che si mettono per terra a tremare e sputare. E porca miseria, questo è il potere della fede». Scuote la testa. «Ora, io non credo in Gesù, ma credo nella mia performance. E se riesci a capire che il potere della convinzione è uno dei grandi strumenti del nostro tempo e che gran parte della recitazione deriva da esso, puoi fare qualsiasi cosa».

Ledger si alza, chiede l’ora, annuisce. «Devo tornare dalla mia ragazza. Ragazze». A ottobre, Michelle Williams ha dato alla luce la figlia della coppia: Matilda Rose. «Non voglio stare via troppo a lungo. Devo tenere la casa pulita, dare da mangiare alle mie ragazze. Ho dei doveri».

Mentre si dirige sul marciapiede verso la sua moto, chiede: «Quante altre domande mi devi fare? Ti va di venire a Brooklyn, allora? Nei prossimi giorni ci prendiamo qualche birra e facciamo una passeggiata».

Con il passare delle settimane, è chiaro: sono stato “Ennis-ed”. Non c’è nessuna chiamata a Brooklyn. Nel frattempo, parlo con Annie Proulx, autrice del racconto originale. Ha vinto il Pulitzer e parla con una voce minuta e precisa come una scheggia di granito. «Heath ha capito il personaggio meglio di me», dice. «Mi ha spaventato quanto sia riuscito a entrare in Ennis».

E chiamo Ang Lee. Lee sapeva che il film non avrebbe potuto funzionare se Ennis non fosse stato all’altezza: «Lui è l’ancora del film». Durante la produzione, Lee ha visto l’attore diventare una star. «Si spendono così tanti soldi per fare film, e di solito si fa affidamento su uno o due volti. Il pubblico si identifica con gli attori, dunque servono bravi interpreti. Ma serve anche un’immagine che porti avanti il film, e quella è la star del cinema. Credo che Heath sia entrambe le cose. Prima non lo sapevo con certezza. Dopo questo film, spero che la gente voglia puntare davvero su di lui».

La storia d’amore dietro le quinte – Ledger che si innamora di Williams – Lee l’ha vista come una cosa positiva. «Sul set lo spingo verso Jake», dice, «e fuori dal set ha questa grande fuga dall’altra parte». Il regista è contento per la coppia. «La bambina mi fissa sempre. Michelle ha detto che di solito non fissa le persone in quel modo. Le ho detto che forse si ricorda che io sono la ragione per cui lei è nata».

Quando parlo di nuovo con Ledger, siamo al telefono. Sono passate alcune settimane. La sua voce è sostenuta da persone che gracchiano e porte che si chiudono. «Abbiamo ospiti i genitori e la sorella di Michelle. Stiamo tutti correndo freneticamente. Mi sto giocando la carta del padre stanco».

Il telefono offre una consolazione. Quando gli chiedo delle sue ex fidanzate, c’è meno possibilità che Ledger si arrabbi. È uscito con Heather Graham e Naomi Watts, e come ogni essere umano ragionevole sono interessato a sentirne parlare.

«Be’, io non…». Ledger inizia. «Onestamente, per rispetto sia a Naomi che a Michelle, preferirei davvero non tuffarmi nel passato». Il che è il massimo della franchezza che si possa ottenere. Per la cronaca, ha frequentato Graham per meno di un anno, quando lui aveva ventidue anni e lei poco più di trenta. La storia con Watts è durata quasi due anni – lei aveva trentacinque anni, lui venticinque – con una pausa di un mese nel mezzo. Lei ha descritto la loro rottura a un giornalista come triste e inevitabile: “Credo che nel profondo entrambi sapessimo che era per sempre”.

Ma poi Ledger racconta come ha conosciuto Williams, 25 anni, che probabilmente è ancora meglio nota come Jen, la ragazza con la storia più oscura di Dawson’s Creek. Era il primo giorno di riprese. «Eravamo immersi nella neve fino alle ginocchia», racconta. «E alla quinta ripresa, io e Michelle che scendevamo con lo slittino dalla collina, dovevamo cadere, divertendoci, ho ho ho… Michelle urlava dal dolore. E io ho pensato che stesse recitando. “No, sto soffrendo davvero”. Si era slogata il ginocchio, e per il resto delle riprese è stata praticamente con le stampelle». Ledger ci ripensa. «E da quel momento ho sentito di dovermi sempre occupare di lei».

Non hanno mai preso una decisione definitiva sull’avere figli. «Siamo semplicemente caduti l’uno nelle braccia dell’altra. I nostri corpi hanno preso queste decisioni per noi. Nel momento in cui si riconosce una possibilità, il corpo inevitabilmente preme un interruttore e quella cosa accade». Il concepimento è avvenuto fuori Sydney, a Byron Bay, un luogo amato dai surfisti e dai viaggiatori in cerca di illuminazione. «È molto romantico», dice. «È molto spirituale. Ci sono molti hippie da quelle parti».

Dopo il parto di Williams, i vicini di Brooklyn hanno iniziato a presentarsi con cose da mangiare. «È stato molto dolce», racconta Ledger. «Ho fatto un grande banchetto per loro, abbiamo iniziato a conoscerci».
Chiedo a Ledger quanti anni aveva suo padre quando è nato. «Ehm… bella domanda. Hmm… sono abbastanza sicuro che mio padre avesse la mia stessa età».

Al momento, le decisioni sulla carriera sono in sospeso. Paradiso + inferno, il film australiano in cui interpreta un eroinomane, uscirà in aprile. E poi? «Mi sono preso un anno di pausa», dice. «Se il mio agente avesse voluto, avrei lavorato tutti i giorni della mia vita». È prudente. «Perché in questo settore l’interesse per te arriva a ondate, è una marea. E quindi non voglio saltare sulla prima onda che arriva».

La stagione dei premi è ormai conclusa. Il sistema, che Ledger chiama «il mostro», segue il modello politico: bisogna fare campagna elettorale. Per Ledger è stato un percorso difficile. Vince il New York Film Critics Circle Award come miglior attore ma non si presenta a ritirare il premio. Torna in Australia, dove un paparazzo gli spara con una pistola ad acqua, e la notizia fa il giro del mondo. Ogni settimana a Hollywood sembra portare un altro pasticcio. Agli Screen Actors Guild Awards tiene un discorso che sembra prendere in giro il contenuto di Brokeback Mountain. Ma se conoscete Ledger, quello che prende in giro è il genere stesso dei discorsi alle cerimonie di premiazione. Poi annuncia che George Clooney merita lo stesso premio come miglior attore non protagonista per il quale è stato nominato Jake Gyllenhaal. Circola la voce che Ledger sia un cattivo ragazzo, forse non nel senso buono che piace agli elettori. Ma tutto questo gli fa onore. Molte star intascano i vantaggi di dire che sono ribelli, affermando di non gradire il sistema, senza alcun costo per sé stesse. Ledger sembra davvero non conoscere altro modo di recitare se non come sé stesso: sta ancora giocando con la sua onestà goffa e pungente. Ricordo l’ultima cosa che mi ha detto al telefono: «Non è così difficile da capire, vero? Vorrei essere responsabile delle mie azioni. Se devi dipingere un quadro, vuoi scegliere tu stesso i colori, e dove e come vanno».

E poi c’è stato il momento in cui ci siamo alzati dopo il nostro pranzo insieme. A vent’anni Ledger si era sentito come una bottiglia di Coca-Cola, solo un oggetto da vendere. Ma mentre era lì in piedi, Ledger si è reso conto che avrebbe avuto bisogno di un drink. Ha fatto cenno a una cameriera: «Non mi dispiacerebbe una Coca-Cola, potrei avere una Coca-Cola?». Lei ha risposto che era finita.

Non è così che va? Si cede al sistema, solo un po’, e si esce dal ristorante ancora assetati.

Da Rolling Stone US