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I Leoni d’oro più inaspettati nella storia della Mostra di Venezia

Dal mancato premio a Marco Bellocchio alla doppietta (quasi) consecutiva di Ang Lee. Fino al villain di Batman che ha sparigliato le carte nel 2019. Rivoluzionando il festival più vecchio del mondo (forse) per sempre

Joaquin Phoenix alias Joker. Foto: Warner Bros.

Contenuto realizzato in collaborazione con Lexus

Rosencrantz e Guildenstern sono morti di Tom Stoppard (1990)

Diciamo solo che quell’anno in concorso c’era Goodfellas, aka Quei bravi ragazzi, di Martin Scorsese. Ma anche la nuova favourite del cinema d’autore Jane Campion aveva ottime chance di vittoria con lo splendido Un angelo alla mia tavola. Invece la giuria presieduta da Gore Vidal (!) assegnò al primo un magro premio speciale per la regia, e alla seconda il gran premio “di consolazione”. E diede il Leone alla comedy scespiriana dell’esordiente Tom Stoppard, futuro sceneggiatore di Shakespeare in Love. Il film era delizioso, ma il Lido (giustamente) insorse.

Monsoon Wedding – Matrimonio indiano di Mira Nair (2001)

Non era un’ottima annata, ad essere sinceri. Ma molti titoli in gara – da Y tu mamá también di Alfonso Cuarón a The Others di Alejandro Amenábar, fino al “caso” Canicola di Ulrich Seidl – sembravano raccontare un cinema più nuovo e vitale. Nanni Moretti, presidente di giuria, fece invece trionfare la già nota regista indiana Mira Nair, con uno dei suoi film più deboli. Un verdetto di compromesso, o almeno così pare, in cambio anche delle due Coppi Volpi italiane: Luigi Lo Cascio e Sandra Ceccarelli, entrambi (generosamente) premiati per Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni.

Madgalene di Peter Mullan (2002)

Volto tra i preferiti di Ken Loach (da Riff Raff a My Name Is Joe) e già regista “in proprio” del controverso Orphans, Peter Mullan era solo alla sua opera seconda. Che però è un atto d’accusa senza sconti alla Chiesa cattolica irlandese, ieri (il film è ambientato in un convento degli anni ’60) come oggi. Cinema classicamente inappuntabile, ma meno clamoroso di concorrenti come Lontano dal paradiso di Todd Haynes e Oasis di Lee Chang-dong. Si vede che il tema “femminile” ebbe grande presa sulla presidente di giuria Gong Li.

Il ritorno di Andrei Zvyagintsev (2003)

E volarono gli stracci. A casa nostra: Marco Bellocchio – e con lui quasi tutti gli accreditati al Lido – si aspettava il Leone per il notevolissimo Buongiorno, notte, l’immaginifica biografia di Aldo Moro. Ma il presidente Mario Monicelli (fiancheggiato dal giurato connazionale Stefano Accorsi) conferì il massimo alloro all’esordiente russo Andrei Zvyagintsev, che non solo aveva portato un film esemplare, ma si sarebbe poi rivelato uno dei più significativi autori della scena europea (vedi i successivi Leviathan e Loveless). Ma allora era troppo presto per saperlo. E a molti “tifosi” nostrani quell’edizione ancora non va giù.

Lussuria – Seduzione e tradimento di Ang Lee (2007)

Ang Lee aveva già meritatamente vinto nel 2005 con l’instant classic I segreti di Brokeback Mountain. Due anni più tardi, eccolo mettere a segno una doppietta davvero sorprendente con Lussuria – Seduzione e tradimento. La maestria non si discute, ma questo film non è all’altezza del precedente. E nemmeno di un (secondo) Leone. Zhang Yimou premiò il connazionale Lee nonostante la presenza di pezzi grossi come Todd Haynes (Io non sono qui), Brian De Palma (con il pur divisivo Redacted) e la “sensation” Abdellatif Kechiche, che con il suo Cous cous sembrava destinato al primo posto del podio. Ma i palmarès sono sempre imprevedibili, si sa.

Sacro GRA di Gianfranco Rosi (2013)

A Cannes un documentario (almeno) aveva già vinto la Palma d’oro: Fahrenheit 9/11 (per volere dell’allora “Mr. President” Quentin Tarantino). Ma lì c’era la firma del famosissimo e agguerritissimo Michael Moore, Gianfranco Rosi era un nome certamente meno noto, soprattutto a livello internazionale. Invece il suo sguardo etico ed estetico sul Grande Raccordo Anulare ha convinto la giuria capitanata da Bernardo Bertolucci. Che ha riportato il Leone “in casa” dopo 15 anni: l’ultimo a vincerlo era stato Gianni Amelio con Così ridevano.

Ti guardo di Lorenzo Vigas (2015)

I rivali non erano fortissimi. Ma il venezuelano Lorenzo Vigas era un nome su cui nessuno avrebbe scommesso, anche solo perché si presentava in gara con il suo primo film. Invece, è tornato a casa con il premio più ambito al festival più antico del mondo. Giusto o sbagliato? Il film – con protagonista Alfredo Castro, l’attore-feticcio di Pablo Larraín – non è certo rimasto nella storia della cinematografia/cinefilia. E del suo autore si sono perse le tracce. Più di tutto, ha probabilmente contato il campanilismo latino del presidente di giuria Alfonso Cuarón. Olé.

Joker di Todd Phillips (2019)

Per i presenti al Lido nel 2019, non è stata proprio una sorpresa: negli ultimi giorni, il Leone a Joker era nell’aria. Ma di certo questa mossa ha rappresentato una rivoluzione: la Mostra di Venezia (né del resto nessun altro festival cinéphile) aveva mai premiato un cinecomic, per quanto d’autore. Assegnato dalla giuria con in testa l’argentina Lucrecia Martel, il premio ha portato il film sul villain di Batman fino agli Oscar: due statuette, tra cui (ovviamente) quella per la monumentale prova del protagonista Joaquin Phoenix. E ha confermato il rapporto sempre più stretto tra la Mostra e la Awards Season, già testimoniato negli anni passati da film come La La Land, La forma dell’acqua e Roma (e nel 2020 da Nomadland). I Leoni imprevisti a volte fanno la storia per davvero.

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