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Si è sempre chiesta se i suoi genitori avrebbero avuto uno shock nel vederla interpretare Elisabetta II. Figuriamoci nel vederla vincere pure un Oscar per quel ruolo. Già, perché nonostante le sue origini nobiliari (discende da un colonnello dell'esercito zarista e da un eroe delle guerre napoleoniche), Helen Mirren non ha mai nascosto di essere antimonarchica. Eppure la nostra ha forse impersonato più regine sullo schermo di qualunque altra attrice. Merito di una regalità e di una grazia recitativa non comuni, ma pure di un temperamento sotto sotto scatenato. Dal teatro a Tinto Brass (!), fino al cinema d’autore, ecco il best of di “The Queen”.
In principio (o quasi) fu Tinto Brass. Che, nello stracultissimo sexy-peplum del 1979 basato su un copione di Gore Vidal (quantomeno la sua versione integrale censurata: quella tagliata uscì cinque anni dopo), fu tra i primi ad esaltare la sensualità di Helen. Oltre che le sue doti da signora della scena, assegnandole la parte della cortigiana Cesonia che va in sposa all’imperatore interpretato da Malcolm McDowell. La nostra si divertì così tanto da tornare quasi trent’anni dopo sul luogo del delitto, nella video-installazione di Francesco Vezzoli su un fantomatico remake del film: stavolta però nei panni dell’immaginifica Tiberia.
Un Greenaway che più Greenaway non si può. E anche il film che suggella definitivamente lo status di Mirren, attrice drammatica sempre venata da un erotismo sotto pelle. Ma manco troppo: il gioco di seduzione tra la moglie (di un gangster di cui è succube) e l’amante (anzi: gli amanti) di una notte è spudorato e indimenticabile, nel suo tono scopertamente grottesco. E non poteva trovare nell’attrice interprete più adeguata e (auto)ironica.
Un altro maestro del cinema, Robert Altman, per l’ennesima prova da maestra. Nel sotto-sopra che avrebbe poi ispirato Downton Abbey (lo sceneggiatore è lo stesso: Julian Fellowes, altro maestro), Helen fa parte della servitù. Ma mette a segno un’altra performance a dir poco regale, vibrante e trattenuta, in netto contrasto con la verve della collega Maggie Smith, in una “prova generale” della futura Lady Violet. Entrambe le dame del cinema british furono candidate all’Oscar come non protagoniste, ma vinse Jennifer Connelly per A Beautiful Mind: incredibile ma vero.
Quasi ogni attrice importante ha interpretato la Regina Vergine: da Sarah Bernhardt nel 1912 a Cate Blanchett nel 1998 (e oltre). Ma la Mirren ha dimostrato che una caratterista ultrasessantenne dalla bellezza certamente non convenzionale può oscurare persino una diva trentenne nel pieno della sua carriera. E lo fa sguazzando nella dolorosa autocommiserazione di una donna potente e ormai invecchiata che brama il vero amore sì, ma soprattutto portando sullo schermo un buddy movie travestito da period piece, con al centro il rapporto strettissimo tra Elisabetta e i suoi più fidati consiglieri. Emmy praticamente scontato.
L’Oscar arriva tardi, a 62 anni. Grazie alla sceneggiatura elegante e arguta di Peter Morgan (sì, quello che poi scriverà The Crown) e l’occhio per i dettagli e gli tsunami emotivi dietro le tende di broccato di Stephen Frears, Helen sconvolge tutti nei panni di un’altra “queen”: la sola e unica Elisabetta II. E peraltro nel momento più difficile del suo (pare) infinito regno: la morte di Diana nel 1997. Ma non aspettatevi nessuna regale rigidità, è un film vivacissimo, divertente e toccante in modi che non ti aspetti. E con una vera e propria lezione di recitazione della nostra, che ci mostra la Lilbet umanissima dietro la piega perfetta e i cappellini pastello. All hail the queen!
Virzì vuò fa’ l’americano. E ci riesce grazie anche ai suoi favolosi interpreti: Donald Sutherland, che in realtà è canadese, e ovviamente Helen, inglesissima ma capace di imitare la pedante parlata da casalinga del Sud degli States anche meglio di certe “local”. L’on the road senile diventa l’occasione per un’altra interpretazione toccante e sfumata, quasi un autoritratto con cui la star sembra voler fare i conti con la propria storia d’attrice. Nomination ai Golden Globe.
Poco prima della liberissima (e strepitosissima) rilettura starring Elle Fanning che è The Great, è venuto quest’altro one-woman-show sulla più famosa imperatrice di Russia. Un biopic più classico, ma in cui “la Grande” è sempre dipinta come una donna capace di governare politica e affetti con lo stesso debordante furore. Merito anche, ça va sans dire, della protagonista, che dopo titoli come Prime Suspect (purtroppo poco nota da noi) e la miniserie Elizabeth I piazza un altro grande ruolo sul piccolo schermo. E conquista l’ennesima candidatura ai Golden Globe.
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