FOTO
Venezia porta fortuna. Dopo il “lancio” alle Awards Season passate, anche a questo giro dal Lido agli Oscar, o così pare. E Nomadland non arriva a mani vuote, ma con il Leone d’oro in saccoccia. Nel frattempo, l’elegia americana che ha convinto tutti dovrebbe mettersi in tasca anche il Globe come miglior film drammatico. Il suo viaggio di certo non si ferma qua.
Di certo è un grande musical che guarda a ieri per parlare di oggi, ma è cinema? Lo è diventato da quando su Disney+ ha debuttato la versione teatrale del 2016 debitamente filmata, perché questa chicca non rimanesse appannaggio esclusivo dei fanatici di Broadway. E tutto il mondo si è accorto di Lin-Manuel Miranda e degli altri protagonisti pazzeschi. Se volessimo stare alla definizione della categoria, Borat – Seguito di film cinema sarebbe la scelta giusta, ma il musical hip hop che racconta (e cambia) la Storia degli USA è lo show più importante del nuovo millennio. Dopo 11 Tony, un Grammy e il Pulitzer per la drammaturgia, avanti col Golden Globe.
Una regista donna premiata i Globe la vantavano ben prima degli Oscar: Barbra Streisand per Yentl, era il 1984. Ma sono passati troppi anni. E potrebbe arrivare (anzi: arriverà) la prima asiatica: la cinese Chloé Zhao. Che con Nomadland definisce il suo cinema indie di Frontiera. Prima di entrare nel MCU con Eternals. A Hollywood, è il nome su cui tutti puntano.
È difficile guardare Ma Rainey’s Black Bottom senza pensare che è l’ultimo film di Chadwick Boseman, un po’ perché fa un gran lavoro nei panni di un ambizioso e tormentato musicista al fianco di Viola Davis in quelli della madre del blues. E un po’ perché ci si chiede quanto altro avrebbe potuto dare al cinema dopo aver cambiato la rappresentazione nel mondo del cinecomic. Più che a questa performance, è un Oscar all’icona che ha rappresentato Chadwick, un po’ come lo era stato quello a Heath Ledger. Peccato che ce ne accorgiamo sempre troppo tardi.
La dramedy perfetta per l’epoca MeToo. La consacrazione definitiva dopo titoli come Ad Education, che l’ha lanciata, e Il grande Gatsby, che (seppur con minore fortuna) l’ha certificata star della Serie A. È l’anno di Carey Mulligan e della sua “badass” che fa giustizia tra i maschi stronzi. Si attende lo speech di ringraziamento femminista.
La verità è che Sacha Baron Cohen dovrebbero farlo presidente: chi sa leggere la realtà, profetizzarla persino, e ha il coraggio di restiturcela sotto forma di satira estrema meglio di lui? Basti la sequenza su Rudy Giuliani per credere. È chiaro che il genio di Sacha va ben oltre l’interpretazione di Borat e la mission di intrattenere, ma questo è il suo anno (la sua performance nel Processo ai Chicago 7 è altrettanto clamorosa): vogliamo iniziare a dargli almeno un Globe? Grazie.
Il vero dark horse della stagione è lei: la bulgara Maria Bakalova, che ruba la scena nei panni della figlia di Borat, tra “blood moon dance” (chi ha visto sa) e scene imbarazzanti (per lui) con Rudy Giuliani. A contenderle la statuetta c’è solo Anya Taylor-Joy con Emma., ma il premio dovrebbe arrivare altrove (vedi più avanti).
Non parliamo certo di un capolavoro al pari Coco o Inside Out, di cui segue lo stesso approccio pop alla psicologia, ma è un film formato famiglia che ci fa porre più di una domanda su noi stessi (e quello che potremmo essere). Mettiamoci il fatto che ci sia il primo protagonista afroamericano in un film Pixar (doppiato da Jamie Foxx), che sia stato scritto e co-diretto dal drammaturgo Kemp Powers (lo stesso di One Night in Miami…, diventato un film di Regina King) e che affronti temi della cultura e della borghesia black. E il Globe è servitissimo. Anche perché praticamente la concorrenza non esiste.
Un altro giro di Thomas Vinterberg sembrava il contender imbattibile. E invece è arrivato Minari, dramma “asiatico” prodotto dal new favourite dell’industria Bong Joon-ho che ha sollevato l’immancabile polemica: meritava il posto nella cinquina dei migliori film, punto. Anche per questo il Globe internazionale pare scontato.
Se la terza stagione non aveva convinto tutti, The Crown 4 torna ad essere lo spettacolo della Storia al suo meglio. E forse è il capitolo migliore in assoluto. Merito, soprattutto, dell’ingresso in scena di Lady D (la instant star Emma Corrin) e del ritratto che ne danno Peter Morgan e soci. Qualche bookmaker dice che Ratched potrebbe darle filo da torcere: siamo seri?
In molti parlano di Ted Lasso, ma la sitcom canadese che ha sbancato gli Emmy con ben nove statuette record (e detiene il maggior numero di nomination ai Globe, cinque) sembra essere ancora il titolo da battere. Resta solo da capire se la stampa straniera non preferisca premiare Eugene Levy e Catherine O’Hara nelle rispettive categorie. In ogni caso, per noi, se dev’essere Schitt’s Creek bene, altrimenti viva The Great (vedi più avanti).
Una volta sarebbe stato un bel film di due ore, in quest’epoca “binge” diventa una miniserie con qualche lungaggine di troppo, ma con quello spirito old style che ha conquistato una platea vasta. Anzi, vastissima: è questa la vera sorpresa dell’anno pandemico, capace di rilanciare una disciplina démodé (gli scacchi) e lanciare per sempre una stella (Anya Taylor-Joy). La partita pare già vinta.
Che Josh O’Connor fosse un principe di Galles più vero del vero ce n’eravamo già accorti nella stagione 3. Ma è nel quarto capitolo del royal-romanzo (e romance) che l’attore dà il meglio di sé. Orchestrando con un equilibrio da funambolo un mix perfetto tra tenerezza e inadeguatezza. Il vero Carlo chissà quando regnerà, intanto sullo schermo è nato un re.
È stata la scelta di casting più fulminante della stagione televisiva, anzi, probabilmente delle ultime dieci. Già dall’entrée meravigliosa, la Diana di Emma Corrin si prende tutta la scena, lasciando Olivia Colman e compagnia regnante sullo sfondo e azzeccando tutto della ‘principessa del popolo’, persino come inclina la testa. E in bocca al lupo a Kristen Stewart, che deve interpretare Lady D nel nuovo film di Pablo Larraín. Il precedente clamoroso di Corrin non aiuta.
Molti danno per favorito il Jason Sudeikis dell’outsider Ted Lasso, che ha verve da vendere. Ma noi tifiamo per Nicholas Hoult, che con The Great finalmente ti fa dire: «Ma guarda un po’ che bravo!». Il suo Pietro di Russia è un bambolotto nelle mani di burocrati e ruffiani. E di una moglie (Elle Fanning, vedi più avanti) che vale più di mille tirate MeToo. Huzzah!
C’è una nuova reginetta della black comedy a Hollywood, e si chiama Elle Fanning. La sorellina di Dakota (che al momento però spacca più di lei) è sensazionale nel cogliere ogni sfumatura tragica e comica di Caterina (non ancora) La Grande, approdata appena sedicenne in una corte russa che pare Animal House: le basta inarcare un sopracciglio per ‘fare’ la scena. I boomaker parlano di Kaley Cuoco, altrettanto brava in The Flight Attendant, ma per noi è Elle all the way. Anche se il ‘politically scorrect’ della serie potrebbe non giocare a suo favore. E sarebbe assurdo.
Hugh Grant è bravissimo: ma dai. Condizionato dai ruoli rom-com prima e dalle parti da spalla gigiona poi, in tanti però se ne sono accorti solo ora. Grazie al thriller tamarro ma efficace di Susanne Bier. Nicole Kidman ci mette i cappottini, lui il broncio stropicciato. E l’ambiguità che fino alla fine (non) ti fa dubitare di lui. Forse Mark Ruffalo, in versione gemellare in Due volti, un destino, potrebbe soffiargli il trofeo. Ma Hugh ha già vinto.
Da volto dell'horror contemporaneo (The Witch) a preferita della commedia di costume intellò (Emma.), ma è con La regina degli scacchi che Anya Taylor-Joy è diventata, a soli 24 anni, un’icona. Perché la serie sull’enfant terrible Beth Harmon è stata – senza se e senza ma – l’evento dell’anno. Gli occhi grandissimi di Anya hanno perseguitato tutti come gli scacchi ossessionano la sua protagonista. E il segreto del successo dietro un prodotto già di per sé ben scritto e girato è ovviamente Taylor-Joy, la versione Peak Tv di un ritratto fiammingo. Mai Golden Globe è stato più annunciato.
Restiamo
in contatto
Ti promettiamo uno sguardo curioso e attento sul mondo della musica e dell'intrattenimento, incursioni di politica e attualità, sicuramente niente spam.