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Nell’epoca in cui tutti si offendono, fa effetto vedere candidata tra le migliori serie comedy Emily in Paris, massacrata (soprattutto sui social) per i troppi cliché a tema Francia. Esagerati: i cliché ci sono tutti, ma il disimpegno è dichiarato. Forse, oltre che per la firma di “Mr. Sex and the City” Darren Star, la serie è arrivata fino ai Globe perché i primi a non essersi offesi troppo sono stati proprio i francesi: la classe non è acqua, o quantomeno è Perrier.
Niente nomination per Sophia. A 86 anni, Loren è ancora una diva da esportazione, ma ai Golden Globe non impone il suo primato. Ce la fanno il film (La vita davanti a sé, diretto dal figlio Edoardo Ponti, è nella cinquina degli stranieri) e la canzone (by Laura Pausini): ma l’operazione si regge sul carisma della protagonista, che autocita sé stessa in un ruolo più “Sophia” che mai. Non averlo riconosciuto è abbastanza assurdo.
La sorpresa non è certo vedere Al Pacino nominato. Semmai è vederlo candidato per Hunters, revenge fantasy all’ultimissimo sangue di cui non si è parlato nemmeno troppo e dove il nostro avrebbe dovuto essere più una spalla per il protagonista Logan Lerman. Il personaggio di Al, un ricco sopravvissuto ai campi di concentramento impegnato a dare scacco matto ai nazisti infiltrati ai vertici dell’establishment statunitense negli anni ’70, però spacca a partire dalla prima battuta: «In un mondo di diarrea e costipazione, va bene essere uno stronzo normale».
La stampa estera a Hollywood l’aveva già ignorata lo scorso anno per Euphoria, ma Zendaya si è presa la sua rivincita diventando la più giovane vincitrice di Emmy della storia proprio per la serie di Sam Levinson. E il copione si ripete pure quest’anno. I Globe l’hanno snobbata di nuovo, questa volta per il suo ruolo in Malcolm & Marie il film girato in piena pandemia dallo stesso Levinson, dove Zendaya fa le scarpe pure a John David Washington. È nata definitivamente una star, inutile negarlo. Ora tocca agli Oscar dire la loro.
Foto: Dominic Miller/Netflix
Se il nome di Emerald Fennell vi dice poco, ecco un paio di coordinate. È colei che ha raccolto il testimone dall’amica Phoebe Waller-Brigde come showrunner della seconda stagione di Killing Eve. Ancora niente? È l’interprete (belloccia) di Camilla nella quarta stagione di The Crown. Questa nomination arriva per il suo debutto alla regia in Promising Young Woman, che in tutto di candidature ne ha raccolte quattro; ci sono anche quelle come miglior film, sceneggiatura e attrice drammatica per Carey Mulligan). Va bene che è una storia potente e a uso e consumo del post-MeToo, ma miglior film e miglior regia, ecco, tutto un po’ troppo generoso.
Foto: Dia Dipasupil/Getty Images
Il film più clamorosamente black (Da 5 Bloods – Come fratelli) del regista più clamorosamente black (Spike Lee) del cinema USA era salutato come uno dei concorrenti più temibili della stagione. E invece questa magistrale (e pazzissima) lezione di Storia che unisce la guerra del Vietnam e il dibattito BlackLivesMatter di oggi è (incredibilmente) esclusa dalle nomination. Così come Delroy Lindo, il capobanda che segna un grande ritorno sullo schermo. Vergogna!
Ryan Murphy contento a metà. Se il divertissement The Prom becca la nomination come film musical/comedy, la ben più ambiziosa serie Hollywood resta al palo (a parte una menzione per Jim Parsons). Ma forse sarà stupito quanto noi nel vedere Ratched tra le migliori serie comedy: la origin story dell’infermiera “bitch” di Qualcuno volò sul nido del cuculo (Sarah Paulson, candidata anche lei) è un horror sui generis che non ha convinto quasi nessuno. Ma mettersi contro il re degli showrunner di LA non conviene: pure la stampa straniera lo sa.
Dei due protagonisti del teen drama letterario (in tutti i sensi) tratto da Sally Rooney, è certamente Paul Mescal il colpaccio di casting in termini di caratterizzazione fisica e di performance rispetto al romanzo. E allora fa ancora più strano vedere nominata l’interprete di Marianne Daisy Edgar-Jones e non il Connell televisivo. Perché Mescal ha centrato tutto del personaggio: estrazione sociale modesta, sogni, ormoni, orgoglio maschile e fragilità estrema. È lui la vera star di questa educazione sentimentale intellò. Ma i Globe non se ne sono accorti.
Music makes the people come together. Ehm… non sempre. L’esordio alla regia di Sia è un musical che ha sollevato un polverone prima ancora di uscire: la protagonista è una ragazzina autistica, interpretata però da una giovane attrice (Maddie Ziegler, la ballerina-feticcio della cantautrice) che autistica non è. Apriti cielo. I Globe non se ne curano: candidatura al film e all’altra “lead”, Kate Hudson (chi si rivede!). One, two, three… drink (per affogare le polemiche).
L'attrice con più nomination ai Golden Globe nella storia dei Golden Globe (32!) stavolta gn’aa fa. E dire che Meryl Streep non solo è Meryl Streep, e tanto già basterebbe: è anche la cosa migliore di The Prom, il pasticcio canterino-LGBTQ firmato Ryan Murphy che invece si piazza tra i migliori film e gli attori comedy/musical (James Corden, nonostante le polemiche sul fatto che, etero, interpreti un personaggio übergay). Un solo commento possibile: mamma mia!
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