Alle 2:17 del mattino, come rispondendo al richiamo di un pifferaio magico, 17 bambini scappano di casa. Si alzano dai letti, lasciano le loro abitazioni e, con le braccia tese in avanti, si lanciano nella notte. Nessuno ha la minima idea di dove siano andati. L’unico collegamento è che facevano tutti parte della stessa classe di terza elementare. “Questa è una storia vera… è accaduta nella mia città natale”, dice la voce narrante di un bambino senza nome.. (Gli appassionati di cultura pop noteranno che la voce fuori ricorda stranamente quella che apre il classico di exploitation del 1980 Shogun il giustiziere e che è campionata in Liquid Swords di GZA.) Poi arriva la stoccata: «Un sacco di gente muore in modi molto strani». Non avete idea di quanto questa frase si rivelerà un eufemismo.
Questo è uno dei pochi punti della trama di Weapons, il nuovo film scritto e diretto da Zach Cregger dopo il successo di Barbarian nel 2022, di cui si può parlare senza timore di rovinare i numerosi colpi di scena. È il cardine della criptica campagna di marketing del film e il catalizzatore del suo mistero, che finirà per essere riavvolto, rivisto e riformulato da una varietà di punti di vista diversi prima che tutto venga rivelato. Eppure, queste macabre scene di bambini di otto e nove anni che corrono nell’oscurità, sulle note di Beware of Darkness di George Harrison, sono così poeticamente inquietanti che vi faranno venire i brividi anche solo a ricordarle. Le immagini continueranno a perseguitarvi a lungo anche dopo aver inserito l’ultimo tassello del puzzle . E se il film precedente di Cregger dimostrava che sapeva usare la sottrazione di informazioni e il lento serrare della tensione per generare terrore, questo ambizioso thriller a più fili dimostra una padronanza assoluta nel toccare direttamente quella parte della coscienza in cui risiedono gli incubi. Ha mantenuto la promessa lasciata intravedere con quell’horror da Airbnb. Questo tipo è roba seria.
Un mese dopo la scomparsa senza traccia dei bambini, la piccola cittadina di Maybrook è ancora in preda al panico e alla paranoia. I genitori trasformano le riunioni dell’associazione genitori-insegnanti in potenziali polveriere. Né la polizia né il preside della scuola (Benedict Wong) hanno risposte. Gran parte della rabbia della comunità concentra su Justine Gandy (Julia Garner). Relativamente nuova a Maybrook, la signorina Gandy è l’insegnante che un giorno entrò nella sua classe e scoprì inspiegabilmente la sparizione di 17 dei suoi studenti; l’idea che sia l’unico collegamento tra i bambini scomparsi la rende la principale sospettata. Solo uno dei suoi alunni di terza elementare, un bambino tranquillo di nome Alex (Cary Christopher), si presentò la mattina dopo l’incidente. Nessuno sa perché lui sembri essere stato risparmiato.
Data la situazione esplosiva – e un atto vandalico: qualcuno le ha scritto “strega” sulla fiancata dell’auto – a Justine viene chiesto di prendersi un periodo di aspettativa per la propria sicurezza. Le viene anche detto di non avere contatti con Alex, nonostante pensi che lui sappia qualcosa di cioè che è’accaduto. Nel frattempo, un imprenditore edile di nome Archer Graff (Josh Brolin), il cui figlio è tra i dispersi, conduce un’indagine tutta sua. Dopo aver esaminato i filmati delle telecamere di sorveglianza della notte della Grande Scomparsa di Maybrook delle 2:17, riesce a triangolare una possibile destinazione finale dei ragazzi in fuga. Casualmente, il luogo si trova nello stesso quartiere di una casa che Justine aveva visitato qualche giorno prima, una casa con giornali che coprivano tutte le finestre…
Vista la situazione esplosiva — e dopo un atto di vandalismo che ha lasciato la scritta “Strega” sul fianco della sua auto — a Justine viene chiesto di prendersi un congedo per la propria sicurezza. Le viene anche detto di non avere contatti con Alex, nonostante sia convinta che lui sappia qualcosa di ciò che è accaduto. Nel frattempo, un imprenditore edile di nome Archer Graff (Josh Brolin), il cui figlio è tra i dispersi, conduce un’indagine tutta sua. Dopo aver visionato le riprese delle telecamere di sicurezza della notte della Grande Scomparsa delle 2:17 di Maybrook, riesce a triangolare una possibile destinazione finale dei ragazzi in fuga. Per coincidenza, il luogo si trova nello stesso quartiere di una casa che Justine aveva visitato pochi giorni prima, una casa con i vetri coperti da fogli di giornale…
Appena lo spettatore crede di aver finalmente capito il chi, il cosa, il dove e — sacro Graal — il perché della tragedia di Weapons, Cregger mette tutto in pausa in un momento cruciale, cambia angolazione e preme il tasto reset. Assistiamo così agli eventi dal punto di vista rispettivo di Justine e Archer, che a poco a poco si intrecciano. Il regista aggiunge anche sottotrame che seguono Andrew, il preside sotto pressione; Paul (Alden Ehrenreich), un poliziotto alcolista in via di recupero con un passato legato a Justine; Anthony (Austin Abrams), un vagabondo tossicodipendente di passaggio; e Alex. Ogni capitolo si chiude con un cliffhanger, lasciandoci a chiederci chi siano quelle misteriose figure sonnambule, perché un personaggio corra a perdifiato per attaccarne un altro (con le braccia tese… dove l’abbiamo già visto?), e come mai una presenza marginale truccata da clown continui ad apparire nei sogni della gente.
Josh Brolin in ‘Weapons’. Foto: Warner Bros.
Probabilmente qualcuno penserà che questo approccio, che Cregger ha detto di essersi in parte ispirato alla struttura di Magnolia di Paul Thomas Anderson – richieda troppa fatica. O che, come Barbarian, privilegi lo shock e l’ampiezza rispetto alla profondità. O che il continuo cambio di punto di vista rallenti il ritmo. Ma a questo si può rispondere che le montagne russe sono lente nella salita proprio per aumentare la tensione, l’ansia e il brivido di ciò che verrà. Poi il vagone supera la prima cresta, e giù in picchiata. Senza fare spoiler, possiamo dire che la costruzione minuziosa viene ampiamente ripagata da un climax con una serie di sequenze finali che ricompensano la pazienza. Il “what the fuck?!” che ricorre più volte tra i personaggi del film sarà condiviso da più di uno spettatore negli ultimi dieci minuti.
Ancora più importante, però, è che Cregger non lascia mai che la trama complessa e in continua mutazione si aggrovigli su se stessa, anche quando prende deviazioni inattese. È un racconto costruito con cura tanto quanto narrato, con indizi nascosti in bella vista e tocchi surreali che aggiungono atmosfera più che slancio, ma senza mai dare la sensazione che il regista non sappia esattamente cosa sta facendo. Grazie alla fotografia di Larkin Seiple, capace di bilanciare visivamente il banale e il bizzarro (ha firmato anche Everything Everywhere All at Once e Swiss Army Man), e a un cast tutto sulla stessa lunghezza d’onda del weird (menzione speciale a Christopher, che dona alla storia di Alex una sottile corrente di dolore), l’orrore mantiene una sua coerenza. Weapons non vuole fare altro che scuotervi dal torpore, ricordarvi che esistono forze manipolatrici e che nemmeno le spiegazioni più semplici possono cancellare il concetto di caos che aleggia appena fuori dall’inquadratura. In questo senso, il suo obiettivo è perfettamente centrato.
