Ci vuole un uomo coraggioso per mettersi nei panni di Leslie Nielsen, ex divo di Hollywood (basta vedere quanto fosse eroico e galante nel Pianeta proibito del 1956!) e genio della commedia nella sua fase più matura. Dobbiamo ringraziare Dio – o meglio, la santa trinità formata da David Zucker, Jim Abrahams e Jerry Zucker – per la reinvenzione di Nielsen come custode della fiamma del grande schermo dedicata all’idiota carismatico. Anche all’interno del cast dell’Aereo più pazzo del mondo, composto da attori precedentemente noti per il loro impegno, Nielsen si rivelò un fessacchiotto di prim’ordine. Il suo umorismo glaciale era letale. Era quindi naturale sceglierlo per interpretare la parodia di ogni detective televisivo serioso in Quelli della pallottola spuntata, la serie ABC che poi diede vita alla trilogia di Una pallottola spuntata, che a sua volta ci regalò il tenente Frank Drebin infilato in un preservativo a grandezza naturale. Una stella era rinata.
Quindi, sì, mettersi nei panni di Nielsen era un’impresa ardua, ma Liam Neeson ha le spalle giuste per farlo. Se ricordate la dichiarazione dell’attore candidato all’Oscar quando annunciò in Extras di volersi reinventare come comico, sapete che ha un tempismo perfetto e un ottimo senso dell’autoironia ad accompagnare quella voce baritonale capace di far tremare le viscere. Il fatto che la vita ora imiti l’arte è solo un’altra strizzatina d’occhio. Seriamente, dopo aver liberato kraken, salvato jedi, ucciso centinaia di cattivi con le sue abilità e recitato in Schindler’s List, cos’altro resta se non la commedia sfrenata – ma proprio sfrenata – senza pudori? Inoltre, ha le stesse iniziali di Leslie Nielsen. Insomma, era inevitabile!
Per la prima mezz’ora, il reboot di Una pallottola spuntata con Liam Neeson è una delle cose più esilaranti arrivate nelle sale da anni. La chiave dei film del trio Zucker-Abrahams-Zucker era una combinazione di velocità e spietatezza, un bombardamento di gag visive, doppi sensi e cliché parodiati a velocità supersonica. Raddoppiate il ritmo abituale del loro lavoro, moltiplicate per 10 la comicità slapstick e avrete la normale velocità di crociera dei film di Una pallottola spuntata: a malapena riuscivi a riprendere fiato prima che Drebin dicesse «Bel castoro» a una donna su una scala, lei tirasse fuori un castoro impagliato, e tu ricominciassi a ridere istericamente.
Akiva Schaffer, regista e terzo membro (il più nerd, ed è un complimento: i fan dei podcast sanno che la concorrenza è agguerrita) dei Lonely Island, lo ha capito. Non è solo una scelta intelligente per un progetto del genere, è anche chiaramente un fan e mostra un enorme rispetto per l’irriverenza a raffica tipica dei ZAZ. Insieme ai suoi co-sceneggiatori Doug Mand e Dan Gregor, Schaffer ha caricato un arsenale di battute rapide e furiose che ti sfrecciano davanti. Il rapporto tra gag riuscite e quelle meno in quei primi 30 minuti è davvero impressionante.
Così come è irresistibile l’interpretazione di Neeson nei panni dell’erede designato e “gran pezzo grosso” – sì, aspettatevi di prendere questa espressione alla lettera – della Police Squad. Il fatto che abbia interpretato esattamente questo tipo di ruolo in una marea di drammi serissimi rende ancora più divertente la sua performance, impassibile nel mostrare l’assoluta inettitudine del tenente Frank Drebin Jr. e il suo draconiano senso della legge. Lo stesso vale per Pamela Anderson, perfetta nei panni della sinuosa femme fatale (e donna in pericolo) Beth Davenport, sorella di un uomo trovato morto in un incidente d’auto archiviato come suicidio e che ha deciso di fare un po’ di indagini per conto suo.
Anderson valorizza alla perfezione il lato ridicolo del suo protagonista (c’è una scena in un jazz club in cui improvvisa uno scat che dimostra quanto sia disposta a rendersi completamente ridicola). Stesso discorso per Danny Huston nei panni di un cattivo “tech-bro” che ama i Black Eyed Peas, Paul Walter Hauser nel ruolo del vice di Drebin Jr., Ed Hocken Jr., e CCH Pounder, capa stressata della squadra. «Non puoi combattere il municipio!», urla al suo agente più imprevedibile. «No, non puoi», risponde Drebin Jr. con calma. «È un edificio».
Le commedie sono maratone, però, non solo una serie di sprint. Schaffer e i suoi collaboratori sembrano rendersi conto che non possono mantenere il ritmo forsennato del primo atto stellare del film per quasi 90 minuti. Così rallentano, permettendo agli spettatori di gustarsi una gag prolungata in cui Neeson e Anderson vengono spiati da un teppista tramite un binocolo a ricerca termica durante un appuntamento. E pure un montaggio sull’innamoramento che si trasforma in un segmento a sé stante con pupazzi di neve magici, ménage à trois e horror slasher. Ancora una volta ci ricordano che Schaffer è in parte responsabile degli assurdi digital short del Saturday Night Live, e che è al 100% il regista di Hot Rod – Uno svitato in moto.
E poi le cose iniziano a rallentare ancora di più, e ancora di più, e ancora di più. È quasi come se ci fosse la paura di sfinire gli spettatori con troppa ilarità, al punto da rischiare di far arenare completamente il film. Quando si arriva al grande climax durante un incontro di UFC (Ultimate Fighting Championship), si teme che una sorta di letargia comica – quella che si associa a tante commedie mediocri degli ultimi 25 anni – si sia ormai radicata. Gag brillanti spuntano qua e là, eppure gli ultimi due terzi di questo nuovo Una pallottola spuntata sembrano zoppicare in modo esponenziale verso il traguardo.
Se questo doveva essere un test per dimostrare che Neeson può passare da colosso del dramma ad action hero in età senile fino a diventare un comico a tutto tondo, allora sì, il bersaglio è stato centrato. Ma se questo reboot voleva davvero rivitalizzare l’amata saga degli anni Novanta, e con essa un tipo di commedia demenziale ormai scomparsa, allora sta sparando a salve.
