Nel 1982 il Tron di Steven Lisberger e Bonnie MacBird poteva puntare sull’essere pioniere di un genere, Tron: Legacy di Joseph Kosinski (2010) aveva dalla sua nuovi scintillanti effetti speciali ma, nel 2025, l’effetto già visto è dietro l’angolo. È davvero possibile fare un blockbuster sci-fi oggi e renderlo un cult? Una sfida ostica, con cui Disney si è voluta cimentare dando vita a Tron: Ares con l’aiuto di Joachim Rønning, regista esperto di sequel che vanta nel curriculum film come Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar e Maleficent – Signora del male. Il terzo capitolo di Tron, che punta a essere il trampolino di lancio per l’inizio di un franchise in stile Marvel Cinematic Universe, arriva nelle sale italiane il 9 ottobre, con una trama attualizzata e un cast ben scelto: Jared Leto, Greta Lee, Evan Peters, Jodie Turner-Smith, Hasan Minhaj, Arturo Castro e Cameron Monaghan, con partecipazioni di Gillian Anderson e Jeff Bridges.
Se nel Tron originale i programmatori informatici entrano nel mondo da loro creato, in Tron: Ares le premesse si invertono ed è la tecnologia a entrare nel mondo umano, con un’evoluzione in linea con i tempi. In una realtà, effettivamente, sempre più integrata con l’intelligenza artificiale, la trama di Tron: Ares suona piuttosto plausibile. La società Encom fondata da Kevin Flynn, attualmente diretta da Eve Kim (Greta Lee), e la Dillinger Systems di Ed Dillinger, il cui CEO è Julian Dillinger (Evan Peters), hanno la possibilità di trasferire i programmi del Grid nel mondo reale attraverso un’innovativa tecnologia di stampa 3D, ma due visioni completamente opposte nello scopo. Se la prima sogna progressi medici, ambientali e umanitari, il secondo punta a armi imbattibili e soldati perfetti. C’è un ulteriore problema: la tecnologia permette di importare i software del Grid nel mondo reale per un massimo di 29 minuti. La soluzione per implementare la loro durata è il codice di permanenza ideato da Kevin Flynn anni prima e per cui Eve Kim e Julian Dillinger lotteranno per tutta la durata del film. Chiave di volta è Ares, interpretato da Jared Leto, il programma di sicurezza ideato dalla Dillinger System che a un certo punto, come nella migliore tradizione futurista, scopre di essere talmente intelligente da provare emozioni e sentimenti. È un po’ come se ChatGPT prendesse vita fuori dal nostro pc, nei panni di un attore da Oscar.
Effettivamente il personaggio di Jared Leto si muove sulla falsa riga di quella che potrebbe essere una nostra quotidiana interazione con il servizio di IA: è cortese e analitico, di conoscenza vastissima, ma non è in grado di cogliere l’ironia, né di provare emozioni. Ma dato che siamo nell’ambito sci-fi, Ares si ribella alla fame di distruzione del suo creatore, Dillinger, e aderisce alla causa benefica della Encom, capitanata da Kim. Decide quindi di stringere un patto con la CEO: lui l’aiuterà a ritrovare il codice se Kim prometterà di trasformarlo in un corpo permanente, un umano.
Nella sceneggiatura scritta di Jesse Wigutow alle sequenze d’azione con sfoggio di effetti speciali decisamente ben riusciti, c’è un po’ di sottotrama d’amore e amicizia, ci sono riflessioni sulla caducità della vita e sull’assurda richiesta di una macchina immortale di trasformarsi in umana, solo per provare sentimenti e sensazioni, come la pioggia sulle dita. L’acqua è tramite tra i due mondi: la reazione spaesata e affascinata è uguale e contraria quando Ares e la sua vice nel Grid Athena (Jodie Turner-Smith) vengono a contatto con l’umidità che si condensa e ricade nel mondo umano, così come Eve rimane incantata nel toccare un mare fatto di piccole particelle di dati, nel software della Dillinger.
Alcuni affezionati di Tron e Tron: Legacy potrebbero obbiettare che in Ares l’azione è ambientata poco nell’etere e troppo nel mondo reale, e che sia effettivamente il primo film della serie senza il personaggio di Tron. Ma gli omaggi all’universo originale non mancano. A partire dalle moto, che qui si evolvono nei mezzi di trasporto più disparati, dai carri armati alle tute alari, fino a un’imponente Morte Nera. C’è un omaggio al mondo in 8 bit del primo Tron, in cui Ares si cala per trovare il codice permanence e in cui incontrerà anche Kevin Flynn (Jeff Bridges), che appare sullo schermo per un cameo breve ma intenso. Tornano poi i personaggi di Sam Flynn e Quorra, seppur solo attraverso una breve citazione, che basta però per far intendere l’intenzione di produrre un nuovo capitolo di Tron, in tempi più brevi rispetto ai 15 anni intercorsi tra Legacy e Ares.
Il cameo di Jeff Bridges in ‘Tron: Ares’. Foto: Leah Gallo/Disney
Il tentativo di trasformare Tron in un franchise è quindi solo un esercizio di nostalgia? Sì e no. Probabilmente più che un film per adolescenti moderni, Tron: Ares strizza l’occhio a chi ormai si aggira tra i 30 e i 40 anni, a chi nel film può cogliere le citazioni ai Depeche Mode e all’estetica anni ’80. A chi si ricorda della precedente colonna sonora realizzata dai Daft Punk e apprezza lo sforzo di mantenere importante la musicalità della pellicola con una nuova soundtrack curata dai Nine Inch Nails. Ed effettivamente, come molti hanno già detto, la loro vena techno-industrial si combina perfettamente alle scene d’azione, creando un’immersione ancora più profonda.
In Tron: Ares ricorre più volte la battuta “È un classico”, come commento a modelli di auto, atteggiamenti e situazioni. È un po’ come se Rønning, facendolo ripetere in stile mantra ai suoi personaggi, provasse a convincere anche lo spettatore: Tron è un classico. E sì, lo è, o almeno sta provando a diventarlo, in un delicato equilibrio tra passato e svecchiamento. Una delle scelte meglio riuscite del film è quella di togliere un velo di stucchevolezza in cui il Tron di Kosinski era rimasto impigliato nel capitolo precedente. Via una parte di retorica e un briciolo di stereotipi. In fatto di rappresentazione, c’è un interessante passo avanti, che passa anche attraverso i ruoli di Eve, CEO della tech company più importante al mondo, e Athena, potentissima antagonista. Rispetto a Tron: Legacy e il suo antecedente, qui si nota la volontà sacrosanta di uscire da un’ottica maschile adolescenziale per provare a rendere l’immedesimazione possibile per più persone. Un ottimo contributo arriva anche dall’interpretazione di Jodie Turner-Smith, forse la più notevole del film, che inserisce sfumature di quella spietatezza psicologica tipica di chi, umano o macchina che sia, agisce semplicemente eseguendo gli ordini.
Jodie Turner-Smith alias Athena. Foto: Leah Gallo/Disney
È chiaro che, nel 2025 la sfida per fare un buon blockbuster è quella di fare un film d’azione con strabilianti effetti CGI, una trama d’azione immersiva, ma che porti anche un messaggio (sociale, politico, ideologico? Fate voi). Se questi sono gli elementi per la buona riuscita – incarnati da pellicole come Una battaglia dopo l’altra di Paul Tomas Anderson, uscito al cinema praticamente in contemporanea – allora Tron: Ares ha contrassegnato ogni casella. L’ha fatto in un modo concettualmente semplice e digeribile, con un prodotto che magari non cambierà il vostro rapporto con la tecnologia o amplierà la visione di un futuro in armonia con l’intelligenza artificiale. Ma vi farà decisamente passare due ore di divertimento.
