Tira più un pelo di Jada Pinkett Smith che un carro di cazzotti | Rolling Stone Italia
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Tira più un pelo di Jada Pinkett Smith che un carro di cazzotti

Will Smith, Chris Rock, quello che si può (e non si può) dire, il dibattito femminista esploso sui social. Proviamo a fare ordine

Tira più un pelo di Jada Pinkett Smith che un carro di cazzotti

Will Smith e la moglie Jada Pinkett Smith agli Oscar 2022

Foto: Robert Gauthier/Los Angeles Times via Getty Images

Scema io. Sì, è così, scema io che pensavo che la battuta di Chris Rock sul fatto che Jada Pinkett Smith potesse entrare nel cast di G.I. Jane 2 (ovvero un ipotetico sequel di Soldato Jane starring Demi Moore), e il conseguente cazzotto beccatosi dal comico dal di lei marito Will Smith, fosse riconducibile all’annosa questione del: «Cosa si può dire, di cosa si può ridere». Scema io che ho passato la mattinata, a chiunque commentasse le mie storie su Instagram, a ripetere «Raga, stiamo calmi: o si ride di tutto, o non si ride di nulla. Perché l’alopecia no e gli ebrei sì? Perché i ritardati no e Maometto sì? Perché le prostitute no e l’uomo col micro pene sì?».

Scema io, che mi sono illusa avesse centrato il punto Ester Viola su Twitter («Si conferma la mia linea di pensiero. Non è vero che non si può dire più niente, si può dire tutto, solo che poi ti menano»), come anche Richard Marx, sempre su Twitter («Physically assault someone over a hair joke? A fuckin’ HAIR JOKE???? I’d be in my 37th year in prison», letteralmente: «Aggredire fisicamente qualcuno per una battuta sui capelli? Una fottuta battuta sui capelli???? Io sarei al mio trentasettesimo anno in galera»).

Scema io, insomma, a credere che l’imbecillità collettiva avesse un limite, che esistesse una linea netta di demarcazione della puttanata, e che le persone conservassero quel minimo sindacale di dignità e decenza per non oltrepassarla. Non me ne abbiano le singole autrici, però il mio è un atto caritatevole: vi chiamerò col generico “femministe engagé” (che non è una mia definizione, purtroppo, bensì di Guia Soncini) per risparmiarvi di leggere i vostri nomi associati a tali pensierini. Cito a casaccio, in ordine sparso: «Ma solo io vedo la questione [femminista] di Will Smith e Jada Pinkett (che ha un nome) che era lì presente? Probabilmente è normale anche ad Hollywood (abbiamo un problema con le d eufoniche, nda) nel 2022 che un marito prenda la parola al posto tuo». «No, non sei solo tu, è surreale che siamo così in poche. Sarebbe stato sbagliato anche se il ceffone gliel’avesse dato lei, ma almeno sarebbe stato il suo ceffone, la sua offesa sul suo corpo, non una difesa che ti fa sembrare un oggetto di proprietà».

E ancora: «In tutto questo trambusto fallocentrico (da un lato un uomo che si sente titolato a fare body shaming a una donna, dall’altro il marito che la “difende” con violenza), indovinate chi non ha voce in capitolo? Esatto, Jada Pinkett Smith. Cancellata prima dall’abilismo, poi dal gesto violento del marito». «L’onore delle donne qui non c’entrano niente (addio alle concordanze, nda): Will Smith non l’ha fatto per difendere la moglie – che sa benissimo difendersi da sola – ma dare sfoggio di sé stesso». «Violenza e violenza su un corpo che non ha spazio per autodeterminarsi perché non ha voce, non ha identità propria». Ora mi fermo ché mi sta esplodendo il cervello ed è soltanto lunedì pomeriggio, ma se siete veloci, fortunati e incappate nel filone giusto su Twitter o Instagram, leggerete cose che voi umani non potreste immaginarvi.

Parto da un presupposto: in una società ideale – o per lo meno, nella società che vorrei – si può ridere di tutto. Poi certo, è possibile stabilire se una battuta è riuscita meglio o peggio, ma di base eviterei di scivolare lungo la pericolosissima china dello stabilire a priori chi o cosa può essere oggetto di comicità. Ciò premesso, passiamo a Will Smith: rimango convinta che il cazzotto fosse staged, ossia organizzato, ma comunque non è che cambiando l’ordine degli addendi il risultato sia destinato a cambiare. Tradotto: se Will Smith non avesse mosso un dito gli avrebbero dato addosso («Merda! Manco si alza per difendere la moglie!»); se avesse replicato verbalmente idem («Merda! Cos’è, Jada Pinkett Smith non ce l’ha, una voce?»); se – come ha fatto – avesse optato per un ceffone figurati (vedi sopra). Il problema, temo, sta a monte: era una battuta. Non su una persona che ha un tumore incurabile al pancreas e a cui restano due settimane di vita (che chissà, forse vorrebbe pure trascorrerle a riderci sopra), ma su una persona che ha l’alopecia. E se di fronte a una battuta sull’alopecia (per altro manco tua, di tua moglie) perdi la brocca, il problema non è di chi ha fatto quella battuta, il problema è tuo (libera interpretazione di un Ricky Gervais d’annata: «Solo perché t’offendi, non significa che tu abbia ragione»).

Aggiungo il pezzetto mancante, in quanto donna: l’ultima volta che mi sono offesa per una battuta nei miei confronti ero in seconda media (un compagno di classe si rivolse a me causando l’ilarità generale, chiamandomi «faccia da bulldog»); quando avevo diciassette anni ebbi una relazione con un ragazzo che non dico fosse violento, ma era a tanto così dal poterlo diventare, e lo piantai non appena m’accorsi del potenziale squilibrio. Da allora me ne sono sempre tenuta alla larga (non che ne abbia conosciuti o che mi sia mai sentita attratta da quella tipologia di maschio), ben inteso che, se un venerdì sera un mascalzone mi dovesse scippare, sarei contentissima se il mio uomo lo inseguisse, gli mollasse un destro e recuperasse la mia borsetta.

Will Smith è stato doppiamente pirla, perché non verrà mai più ricordato per l’Oscar ricevuto come migliore attore per Una famiglia vincente – King Richard, bensì come colui che ha menato irragionevolmente Chris Rock durante la cerimonia. Se domani andassi a bere un caffè con Jada Pinkett Smith, mentre sorseggia il suo cappuccino le metterei una mano sul braccio, la fisserei negli occhi e le sussurrerei: «Jada, hai i miliardi da far schifo, era una battuta probabilmente non riuscitissima, la chiudiamo qui?». Lei mi guarderebbe, abbasserebbe gli occhi e annuirebbe, al che rincarerei la dose: «Sei figa, sei famosa, i soldi non ti mancano, hai due figli bellissimi, davvero vuoi stare con quel coglione psicolabile dal pugno facile? Non pensi che, forse, è più empowering mollarlo anziché lasciare che estranei rivendichino il tuo diritto a offenderti per un’innocua spiritosaggine?».

Al che con una telefonata lei scatenerebbe un pool di avvocati divorzisti parecchio agguerriti, andremmo a fare shopping in Monte Napoleone e fuori da Prada la sorprenderei riportandole il tweet di Fabio Vassallo: «Vedi Jada, anni a lamentarti che gli Oscar erano troppo bianchi, e che non premiavano mai tuo marito. Che karma, ragazzi». Che ridere che ci faremmo, accidenti.