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The Jim Carrey Show: il romanzo della sua vita è assurdo come i suoi film

Arriva nelle librerie ‘Ricordi e bugie’, il ‘falso’ memoir che unisce la parabola di un divo di Hollywood a una folle distopia. E che, come tutti i ruoli cult dell’attore, funziona proprio per il suo nonsense

Foto: La Nave di Teseo

Non è una e vera e propria autobiografia, ma nemmeno semplice fiction. In uscita il 25 febbraio per La Nave di Teseo, Ricordi e bugie di Jim Carrey e Dana Vachon è un curioso mix di finzione e realtà venuto alla luce dopo otto anni di conversazioni tra i due autori: da un lato, il 59enne Carrey, l’attore canadese noto per i ruoli comico-demenziali in film come Ace Ventura, The Mask e Scemo & + scemo, ma anche per aver interpretato Il Grinch e averci fatto commuovere in titoli cult come The Truman Show e Se mi lasci ti cancello; dall’altro, lo scrittore e giornalista di Brooklyn Dana Vachon, all’attivo un romanzo, Mergers and Acquisitions, e collaborazioni con varie testate, dal New York Times a Vanity Fair. Pare che i due si siano conosciuti tramite un manager, di sicuro devono aver scovato delle affinità elettive per riuscire a portare avanti un progetto così a lungo. E devono pure essersi divertiti parecchio, mentre pensavano a come scrivere un memoir in cui «niente è reale e tutto è vero», come ha osservato lo stesso Carrey.

Già, perché Ricordi e bugie, in originale Memoirs and Misinformation, è questo: un libro spassoso, benché le risate che provoca siano spesso amare, che intreccia la vera vita di Jim Carrey – un attore famoso, ricco e privilegiato, ma che a un certo punto della sua carriera ha confessato di essere costantemente in lotta con la propria insoddisfazione – con lo scenario distopico, ma non privo di punti di contatto con la realtà, di un mondo sull’orlo dell’apocalisse, dove non si sa bene se la minaccia più grande sia il pericolo di incendi così estesi da ridurre in cenere l’intero pianeta o l’arrivo degli alieni.

Va detto che, quanto ad ambientazione, siamo in epoca pre-Trump: l’ex presidente degli Stati Uniti non è citato, ma è facile intuire chi sia quel «magnate dei casinò miliardario» che «si stava candidando alla presidenza» e la cui «campagna era una collezione volgare di smorfie e insulti da cortile per la ricreazione». Questo dettaglio, però, non inficia l’attualità di un racconto che, pur con un linguaggio spiccatamente surreale, bypassa l’odierna smania di politicamente corretto per sbeffeggiare vizi e peccati della dorata industria di Hollywood e, più in generale, la miseria di un’umanità persa in una triste rincorsa egoriferita ai like sui social, visti come chiave di accesso a denaro e popolarità. Non che Jim Carrey mostri il suo alter ego romanzato come estraneo a tali dinamiche, anzi, sono proprio quelle ad averlo gettato nello stato indecoroso in cui si trova all’inizio di questo memoir/non-memoir, lontano anni luce dalla forma fisica dei tempi migliori, imbolsito, trascurato, annoiato, praticamente esaurito, mentre trascorre le giornate abbuffandosi di serie tv e documentari sulla distruzione di Pompei. Ma il suo sguardo è rivelatore di qualcosa che incatena ciascuno di noi: «A comandare adesso erano i soldi. I soldi li avevano trasformati tutti in sognatori sotto contratto», si legge a pagina 17.

Da lì è tutto un susseguirsi di (dis)avventure che vede il nostro (anti)eroe infatuarsi della sensuale collega Georgie e intravedere in lei l’anima gemella che, tra le altre cose, lo aiuterà a dimenticare il più grande amore della sua vita – parole testuali – Renée Zellweger. E che lo vede accettare di vestire i panni di Mao Zedong alias Mao Tse-tung in un film scritto da Charlie Kaufman – proprio lui, lo sceneggiatore di Eternal Sunshine of the Spotless Mind – nella speranza che con quel ruolo riuscirà finalmente a portarsi a casa un Oscar. È pura autoironia, visto che la mancata statuetta agli Academy Award è stata notoriamente un cruccio per il vero Carrey, vincitore “solo” di due Golden Globe. Ma è un’autoironia pronta a tradursi in sarcasmo feroce quando il Jim del libro, ormai ingrassato a dismisura dopo mesi di abbuffate ad hoc e trasformatosi quindi in Mao fino a cancellare se stesso, si prodiga, durante un party gremito di star e starlette del cinema, registi e produttori, in un irriverente discorso sull’America in quanto «schema Ponzi fascista destinato a fallire». Vale a dire una truffa dai risvolti totalitaristici: un Paese che «non si prende cura dei suoi malati, se ne frega dei suoi poveri», che liquida ogni problema a colpi di «propositi ottimistici» e in cui gli artisti «diventati intrattenimento» si compromettono «in nome della fama, del benessere e dell’approvazione da parte di sconosciuti», senza ottenere altro risultato che di «distrarre la gente dagli ingranaggi distruttivi di una macchina capitalista che non ha altri ideali a parte l’avidità e la violenza».

Jim Carrey nei panni di Andy Kaufman in ‘Man on the Moon’ di Miloš Forman

​Siamo «complici del regime» che ha tramutato il cittadino americano in «un maiale da allevamento industriale» sotterrato da «debiti che non potrà mai ripagare» e che mai potrà essere libero, perché quella in cui vive è «una terra di recinzioni invisibili», avverte il Carrey/Mao di Ricordi e bugie, e di fronte a quello sdoppiamento è naturale pensare al Jim Carrey che negli scorsi anni ha confidato di aver più volte smarrito se stesso recitando (il bel documentario Jim & Andy: The Great Beyond mostra bene come sul set di Man on the Moon l’attore avesse messo follemente in pausa la propria esistenza per addentrarsi in quella del comico Andy Kaufman, morto nel 1984). Allo stesso modo, ritorna in mente il Carrey che, dopo una carriera di alti e bassi, ha fatto sapere di aver sofferto di depressione arrivando a dire: «Vorrei che tutti fossero ricchi e famosi per capire che non è questa la risposta alla ricerca della felicità». Si ha l’impressione che, complice Vachon, l’attore abbia voluto incrociare nella narrazione, non casualmente in terza persona, le sue molteplici personalità, amalgamando il tutto con la voglia di togliersi qualche sassolino dalle scarpe e il desiderio di strappare risate che non lo ha mai abbandonato sin da quando, da bambino, con le sue imitazioni, cercava di divertire la madre dipendente da antidolorifici.

Sarebbe diventato famoso molto più tardi, negli anni ’90, con un percorso che in Ricordi e bugie viene evocato, sì, ma sempre confondendo realtà e finzione. Del resto, quel tenersi in bilico tra vero e falso, tra finto e reale, è lo stratagemma che permette al Carrey scrittore di regalarci esilaranti caricature di stelle hollywoodiane quali Gwyneth Paltrow, Sean Penn, Nicolas Cage, Anthony Hopkins e Tom Cruise, l’unico – quest’ultimo – di cui «per ragioni legali» non si cita il nome all’anagrafe, ma solo il soprannome: Raggio Laser Jack. È satira, è parodia, è il ritratto grottesco di un universo patinato sotto i cui lustrini si combattono guerre pregne di invidia e si celano le fragilità di uomini e donne divorati dal terrore di invecchiare ed essere dimenticati al punto da affidarsi a improbabili guru, diete assurde, seminari esoterici, sessioni di ayahuasca, punturine perfette per sfigurare i loro visi un tempo giovani. Man mano che si prosegue nella lettura sembra quasi di esplorare la mente di Carrey: con i suoi pensieri caustici e i ricordi dal passato (la povertà sofferta durante l’infanzia, il legame con il padre, il lavoro alla Titan Wheels Factory fuori Toronto, la fame di riscatto, la gavetta nella stand-up comedy); con il gusto per l’autoanalisi che si fa confessione, il politically correct escluso dai giochi e un finale esplosivo che sa di cattivo presagio, se non di monito.

Nella realtà il Jim in carne e ossa ha affermato di non credere più nella fama promessa da Hollywood. Nel 2016, dopo il suicidio dell’ex fidanzata Cathriona White, truccatrice irlandese, era stato trascinato in tribunale dalla famiglia di lei con l’accusa di aver istigato la ragazza ad ammazzarsi, ma due anni dopo i giudici lo hanno scagionato e la causa è stata archiviata. In seguito lo abbiamo visto nella comedy Kidding e nel film Sonic. La sua parodia di Joe Biden che dibatte con Alec Baldwin/Trump ha fatto il giro del web, salvo poi essere stroncata dalla critica. Le giornate le trascorre disegnando vignette satiriche che condivide su Twitter (una ha fatto arrabbiare Alessandra Mussolini, che gli ha dato del “bastardo”) e immerso in quella che ha definito la sua più grande passione del momento, la pittura. In alcune interviste Vachon ha dichiarato che l’idea di un libro con Carrey è nata guardando un suo dipinto raffigurante Malibu in fiamme. Forse un giorno lo vedremo nei panni di Mao Tse-tung? Ricordi e bugie di certo costringe a immaginarselo, e al tempo stesso evidenzia le contraddizioni di un’industria cinematografica dove, se decidi di interpretare un ruolo gay come ha fatto Carrey nel 2009 con Colpo di fulmine – Il mago della truffa, devi prepararti a sentirti dire dai tuoi manager che la tua mossa «genera confusione» e che subito dopo dovresti partecipare a un film mediocre per famiglie in modo da «riaffermare il brand». Poi verso l’epilogo compare persino Kanye West, ma rischieremmo di spoilerare. Vale quanto detto dallo stesso Jim: «È la fine del mondo e abbiamo il libro perfetto per questo». Una semi-autobiografia fantascientifica che fa ridere, ma che sfocia anche in una riflessione sull’egocentrismo, sulla vanità, sul narcisismo. E, in ultima istanza, sulla mortalità.

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