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‘Tatami’, c’è ancora domani per le donne iraniane

Girato in bianco e nero (come l'esordio di Paola Cortellesi), il primo, storico titolo co-diretto da un'iraniana (la protagonista di 'Holy Spider') e un israeliano è un film sportivo che diventa thriller politico. Perché "forse un giorno la vita delle iraniane sarà di nuovo a colori”

Foto: Juda Khatia Psuturi

Io non so se avete visto Holy Spider, il film di Ali Abbasi sul serial killer iraniano che (la faccio semplice) di giorno è un operaio padre di famiglia e di notte strangola prostitute con il loro stesso velo perché le considera peccatrici dalle quali liberare la città santa di Mashhad. E non so se avete presente Zahra Amir Ebrahimi, l’attrice iraniana premiata a Cannes 2022 proprio grazie all’interpretazione (pazzesca) della giornalista che su quell’assassino indaga, tra sessismo e mille pregiudizi. Ecco, Amir Ebrahimi vive in esilio a Parigi dal 2008 come risultato della sua lotta contro il regime, ha sostenuto la protesta delle donne iraniane nel 2022 dopo la morte di Mahsa Amini e adesso ha girato (non da sola, e pure questo è clamoroso: ci arriviamo) un film che è importante, rilevante, necessario, ditelo come volete. Ancora di più (se possibile) sullo sfondo di quello che sta succedendo a Gaza.

Si chiama Tatami (applaudissimo in Orizzonti a Venezia 80, in anteprima l’8 marzo e al cinema dal 4 aprile con BIM distribuzione) e ricostruisce – basandosi su storie vere di diverse atlete – la giornata di una giovane campionessa iraniana di nome Leila (Arienne Mandi, praticamente la doppelgänger della nostra Serena Rossi), che sta facendo faville ai campionati mondiali di judo. Le sue vittorie, avversaria dopo avversaria, però sono un problema per la Repubblica Islamica, perché a un certo potrebbero (e sottolineo: “potrebbero”, siamo nell’universo del “forse”) portarla ad affrontare la collega israeliana. Ma il regime considera umiliante per l’Iran la possibilità di perdere contro Israele, “gli occupanti” come vengono definiti in una delle tante telefonate che le ordinano di fingere un infortunio e perdere per scongiurare l’eventualità. Chiamate che da vagamente intimidatorie passano a essere vere e proprie minacce per lei, la sua allenatrice Maryam (interpretata dalla stessa Zahra Amir Ebrahimi) e i loro cari.

Foto: Juda Khatia Psuturi

C’è di più, dicevamo: Amir Ebrahimi ha diretto il film insieme al regista israeliano Guy Nattiv (autore del biopic su Golda Meir con Helen Mirren e Oscar nel 2019 per il corto Skin). Anzi, lui ha avuto l’idea, ha contattato la sceneggiatrice iraniana Elham Erfani e chiesto ad Amir Ebrahimi di collaborare davanti e dietro la macchina da presa. E parliamo di un fatto storico, perché in Iran è un crimine interagire con un israeliano, figuriamoci co-dirigerci un film: “Mi sono presa un po’ di tempo, perché è un progetto molto rischioso per me, anche come artista in esilio”, ha spiegato Zahra a The Hollywood Reporter. “Ma a un certo punto ho pensato: ‘Non ci devo nemmeno riflettere, devo farlo e basta’”. Lo hanno girato nella capitale georgiana, Tbilisi, a poco più di due ore da entrambi i confini: “Per tutti la produzione è stata molto di più che semplicemente fare un film”, ha affermato Nattiv. Era la prima volta che cineasti iraniani e israeliani lavoravano insieme. E hanno fatto la Storia.

Zahra Amir Ebrahimi, Guy Nattiv e Arienne Mandi sul set. Foto: Juda Khatia Psuturi

Ma hanno anche fatto un bel film: Tatami è ovviamente una storia di sport, che funzionerebbe già benissimo così, in purezza. C’è l’archetipo della figura dell’allenatore che avrebbe potuto raggiungere grandi traguardi a suo tempo ma non ce l’ha fatta mai (e non diciamo di più), ci sono i picchi di adrenalina, i blocchi psicologici, il sudore, il dilemma sul ritirarsi o meno dall’ultimo scontro. Ma ecco che, sbam, la questione di vita o di morte (perché di questo parliamo), il dramma sociale che vede protagoniste Leila e Maryam aggiunge un carico emozionale pesantissimo e potentissimo, anche perché gestito come un thriller politico con tutti gli espedienti di suspense del caso. È l’eroina contro un sistema assurdo. E questo si rispecchia anche nelle scelte musicali: dentro alle cuffie di Leila si sentono tre brani di Justina, rapper i cui testi sono incentrati su diritti umani e discriminazione contro le donne e le minoranze sessuali. È stata arrestata e tenuta in detenzione in Iran per tre giorni per la sua produzione artistica perché alle donne in Iran è ancora vietato cantare come soliste, e per questo poi ha lasciato il Paese.

Il film è girato in bianco e nero come C’è ancora domani, e proprio come – e necessariamente ancora di più, per ovvi motivi – l’esordio di Paola Cortellesi, che sta uscendo in tutto il mondo e si è appena portato a casa 19 nomination ai David di Donatello (record per un’opera prima), Tatami è un film-manifesto a tantissimi livelli, una storia di donne che decidono di combattere per la propria libertà. Qui in un contesto nel quale però la libertà non è contemplata, non esiste, non ci si può nemmeno far sfuggire una ciocca di capelli dal velo, figuriamoci sfidare direttamente e apertamente il regime in territorio internazionale. E per Amir Ebrahimi, come ha detto a Variety, quel bianco e nero, che ora è quasi riconducibile a un filone femminista, riflette la realtà attuale delle donne iraniane: “Forse un giorno la loro vita sarà di nuovo a colori”.

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