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Solo i francesi possono rendere appassionante una storia su una grande opera pubblica

‘Lo sconosciuto del Grande Arco’ di Stéphane Demoustier ripercorre la nascita del quartiere del “Cubo” Défense. Ma è soprattutto un ritratto di uomini (di quelli che noi non sappiamo fare)

Foto: Movies Inspired

Mentre gli umarell milanesi vedono sorgere arene e palazzi olimpici apparentemente senza criterio urbanistico a parte il presto-e-(speriamo)-bene, arriva in sala il 1° gennaio un film che vedranno in pochissimi, a differenza dello spettacolo dei cantieri. Arriva ovviamente dalla Francia, terra in cui le progettazioni di città, se non ideali, quantomeno possibili è in rubrica da decenni – e difatti le loro città sono quello che sono, e riescono perfino ad aggiornarsi ai tempi sostenibili e alla nuova mobilità richiesta oggi.

Lo sconosciuto del Grande Arco di Stéphane Demoustier, tratto dal libro La Grande Arche di Laurence Cossé e presentato allo scorso Cannes nella sezione Un certain regard, è un film che appunto solo in Francia potrebbero fare. Per corrispondenza con quel che succede in città, e perché solo i francesi possono rendere appassionante una storia su una grande opera pubblica. Che poi solo quello non è, ma ci arriviamo fra poco.

È il 1983, il presidente Mitterrand ha indetto un concorso anonimo per la realizzazione del grande quartiere della Défense, che dovrà essere il nuovo centro della comunicazione. Fa sempre tenerezza vedere queste storie di (quasi) fine secolo che si proiettavano nella modernità del nuovo millennio che poi non è stata – non sempre come si credeva, almeno.

Dunque, a Mitterrand piace molto questo Cubo che dialoga prospetticamente con l’Arco del trionfo napoleonico, ma che è anche un oggetto bizzarro per Parigi. (Dirà più tardi l’architetto vincitore che i simboli di Parigi, dall’Arc de Triomphe alla Tour Eiffel, non c’entravano niente con Parigi, eppure hanno creato l’immagine di Parigi).

Il presidente apre la busta col nome del vincitore e legge, nello sconcerto generale, il nome Johann Otto von Spreckelsen, illustre sconosciuto danese che, dirà poi lui stesso nella prima conferenza stampa, fino a quel momento aveva disegnato solo «casa mia e quattro chiese: due cattoliche e due protestanti». Ne esce un confronto che durerà anni tra cosa pubblica e intimi, marmo di Carrara più riflettente (il presidente vuole che l’arco sia rosa, alla luce del tramonto) contro granito più resistente alle piogge, città-idealismi rinascimentali e ricerca di finanziamenti attuali, coi privati che progressivamente si comprano le città – vi ricorda qualcosa?

Le chiese, diceva von Spreckelsen. Non si può naturalmente non pensare che Lo sconosciuto del Grande Arco sia un The Brutalist in real life, e difatti anche in questa storia vera è più il destino a determinare il corso del singolo (e dei luoghi collettivi) che le grandi ambizioni. Otto, se mai, preferirebbe stare nei suoi fiordi a pescare, che contaminarsi e corrompersi col potere.

Non è, questa, una storia di destra o di sinistra, ma certo di visione, di un (fine) secolo che ancora cercava di immaginare un futuro urbanistico migliore di quello che avrebbe lasciato. È, dicevo, soprattutto una storia di uomini che in fondo si comprendono, nella frustrazione di dover occuparsi di grandi opere per lasciarle, in fondo, a chi.

Swann Arlaud, Xavier Dolan e Claes Bang in una scena del film. Foto: Movies Inspired

Conta molto il cast, in questi casi. Il bravissimo Claes Bang, “quello di The Square”, uno di quei belli che riescono a passare per uomini normali un po’ alla Ralph Fiennes, è l’architetto con sempre lo stesso vestito grigio e i sandaletti con le calze (da copiare subito!). Sidse Babett Knudsen (Borgen per la Tv danese e tanto cinema francese) è la moglie – fittizia rispetto alle cronache reali, avvisano i cartelli all’inizio – che si fa sedurre più facilmente dai soldi e dallo champagne. Xavier Dolan è l’assistente del presidente che ha in carico lo sviluppo del progetto Défense, e da attore sa egregiamente scomparire restando sempre vivo. Swann Arland, “quello di Anatomia di una caduta“, l’architetto rivale che rivale non è. E poi tutte le altre facce e faccine che compongono sempre queste commedie umane francesi.

C’è un finale struggente che non vi dirò, e un’altra breve storia struggente. Lo sconosciuto del Grande Arco, un film che parla sostanzialmente di edilizia pubblica, ha fatto, in Francia, più di 250mila spettatori, che vuol dire più o meno 3 milioni di euro. Pensate a una cosa del genere da noi – i cantieri, però, sono pieni di spettatori.

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