Short Culture Cuts #1: Confessioni di un hater di corti (quasi) pentito | Rolling Stone Italia
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Short Culture Cuts #1: Confessioni di un hater di corti (quasi) pentito

Rolling (feat. il milanese MAX3MIN: Very Short Film Festival) inaugura una serie di ‘incontri’ sulla cultura del corto. Che oggi è tutto, non solo i film. Quelli su cui ancora in tanti (noi compresi) abbiamo più di un pregiudizio. Che è bene sfatare, o forse anche no

Short Culture Cuts #1: Confessioni di un hater di corti (quasi) pentito

Foto: Gabriel Mihalcea/Unsplash

Avete presente quando al cinema, prima del film che siete andati a vedere, parte “il corto a caso”, a volte piazzato lì per far piacere a qualcuno (a chi?) e di cui in realtà non vi frega niente? Ecco, anch’io uguale. Avete in mente, se avete bazzicato i festivaloni o festivalini di cinema, quando l’unica proiezione che riuscite a infilare (o, se non siete degli accreditati di lusso come me, l’unica di cui riuscite ad agguantare i biglietti) è quella dei cortometraggi del concorso di cortometraggi che nessuno si fila mai? Vi sono vicino. Avete idea di quando vi dicono “Anche Martin Scorsese ha iniziato dai corti, e pure Paul Thomas Anderson, e Sofia Coppola, e Pinco, e Pallo” e voi vorreste solo replicare “Sì, va bene, ma che mi frega, io voglio vedere Quei bravi ragazzi, e Il filo nascosto, e Lost in Translation, mica i filmini degli inizi”? Me too.

Questo per dire che tutti – e per tutti intendo “tutti”: anche i cinefili più duri e puri, anche i festivalieri più ortodossi, anche i nerd indefessi – abbiamo un pregiudizio relativo ai cortometraggi. Poi però mi hanno chiesto di prendere parte alla selezione di un festival di cortometraggi. In realtà era successo già vent’anni fa, o poco meno. Giurato in un concorsino di corti della provincia di Milano. Un’amica mi tirò in mezzo, accettai solo perché c’era un tipo assai caruccio (che non mi cagò di striscio: i corti portano malissimo, visto?). Ora c’ho quarant’anni, mi son detto: fallo, sei grande, prova a pacificarti coi cortometraggi una volta per tutte.

Il lato positivo è che a questo nuovo festival – il milanese MAX3MIN: Very Short Film Festival, di cui Rolling Stone è compagno di viaggio a cominciare dalla primissima edizione, nel 2021 – partecipano solo corti di, appunto, massimo 3 minuti. Se un corto è bruttissimo (la maggior parte di quelli inviati per la selezione), almeno finisce in fretta. Ma, udite udite!, ce ne sono anche di meravigliosi, per cui 3 minuti a volte sembrano pochissimi, ne vorresti di più. E lo dico fuor di autopromozione: c’è un mondo, là fuori, che è cortissimo e bellissimo.

Tranquilli: non sarò mai quello che dirà “corto è bello”. Resterò quello che sbuffa per il corto prima del film, per i corti come tassa obbligatoria da pagare ai festival, per i corti d’autore celebrati come tesori imperdibili. Però, in questa nuova e inaspettata veste, ho capito una cosa: che “corto è tutto”. Lo possono essere i film, ovviamente. Ma lo sono i videoclip (il che non è certo una scoperta, non certo su queste pagine), e tutta la cultura d’oggigiorno. È “corta” la nostra vita digitale, i nostri reel, la nostra attenzione per qualsiasi cosa ci passi davanti, la visione, la lettura, everything, everywhere, all at once. È corto un balletto di TikTok e una diretta per imparare a fare la pizza. È corto tutto, e dunque sulla short culture è forse il caso di soffermarsi, almeno un po’ (il buono è che il tempo da spenderci è davvero poco).

Perciò su Rolling, feat. MAX3MIN, inizieremo questa serie di incontri ideali sulla short culture, che punta ad abbracciare tutti i campi, tutto quello che è corto. E sì, parleremo anche di cortometraggi. Che barba, che bello.