‘Scomode verità’: la recensione del film di Mike Leigh con Marianne Jean-Baptiste | Rolling Stone Italia
Segreti e bugie

‘Scomode verità’ è un altro capolavoro di Mike Leigh – e la prova della grandezza di Marianne Jean-Baptiste

Il maestro britannico ritrova la protagonista di ‘Segreti e bugie’ in un altro “character study” su una donna che usa le sue ferite per odiare il mondo. Ma con cui non si può non empatizzare

‘Scomode verità’ è un altro capolavoro di Mike Leigh – e la prova della grandezza di Marianne Jean-Baptiste

Marianne Jean-Baptiste e Michele Austin in ‘Scomode verità’ di Mike Leigh

Foto: Simon Mein/Thin Man Films LTD.

Ognuno di noi ha una Pansy Deacon nella propria vita, o almeno ha incontrato qualcuno di molto simile a lei al lavoro, o semplicemente mentre quel qualcuno inveiva contro qualcosa in un luogo pubblico. È il tipo di persona che vede un’ombra di tempesta dietro ogni lato positivo, che vede in ogni bicchiere d’acqua mezzo pieno una gran quantità di batteri nocivi. Quando scatena uno tsunami di accuse e insulti verbali contro qualsiasi sia il suo bersaglio – la sua famiglia, un commesso, uno sfortunato in coda dietro di lui/lei al supermercato – il massimo che si può fare è evitare di trovarsi direttamente nel raggio d’azione della sua esplosione. Pansy è il sole (o, per meglio dire, il buco nero) attorno al quale orbita ogni altro personaggio di Scomode verità di Mike Leigh (nelle sale dal 29 maggio con Lucky Red, ndt), capace di risucchiare ogni goccia di ossigeno da ogni stanza in cui entra. La prima volta che assisti al suo sarcasmo, l’istinto è di correre nella direzione opposta senza mai voltarsi indietro. Alla fine del film, vorrai invece dirle che le vuoi bene.

Non che Pansy ne voglia – l’ultima cosa che cerca è un affetto sincero, soprattutto da parte di uno sconosciuto come te. Ma è merito di Leigh e della sua splendida protagonista Marianne Jean-Baptiste se provi davvero compassione per questa donna anche se ti ripugna, e se ti vuoi avvicinare per capirla, anche se rimarrà un enigma irrisolvibile anche per sé stessa. Il leggendario regista britannico è famoso per aver fatto lavorare i suoi cast nelle situazioni più diverse, trovando i personaggi e la forma del film attraverso le prove prima di consolidare il tutto in una sceneggiatura. Ha già lavorato con Jean-Baptiste, a teatro (in It’s a Great Big Shame! nel 1993), sullo schermo (in Segreti e bugie del 1996, che le è valso una nomination all’Oscar) e persino dietro la macchina da presa (Jean-Baptiste ha composto la colonna sonora per il suo film del 1997 Ragazze). Non è esagerato affermare che quest’ultimo progetto segna non solo un punto culminante nelle loro collaborazioni, ma anche nel lavoro di Leigh, sempre aperto alla scoperta anche con gli attori più fidati e nel suo tentativo, durato tutta la sua carriera, di catturare l’umanità in tutta la sua cruda e sguaiata verità. Entrambi gli artisti si impegnano a restituire il ritratto di una persona distrutta. Ma esigono che venga vista prima di tutto come una persona, e non come un archetipo.

“La gente allegra e sorridente… non la sopporto”, si lamenta Pansy con il marito Curtley (David Webber), un uomo che si è lentamente spento accanto a quella donna, e con il figlio ormai adulto Moses (Tuwaine Barrett). Lascia cadere questa dichiarazione nel bel mezzo di una sfuriata su un vicino che ha messo un cappottino al suo cane e un vestitino pieno di tasche a un neonato. “A cosa servono le tasche a un neonato?”, chiede lei. “Cosa ci metterà dentro? Un coltello?”. Scomode verità è, tra le sue innumerevoli virtù, esilarante ogni volta che offre a Pansy un palcoscenico su cui infuriarsi con furia e sfacciataggine, e Jean-Baptiste ha il talento di trasformare questi torrenti incessanti di parole in tornado comici, lasciando dietro di sé solo macerie. Alcuni di coloro che finiscono nel suo mirino osano replicare, il che non fa che gettare benzina sul fuoco. Il modo in cui i suoi cari ammutoliscono di fronte a lei, tuttavia, la dice lunga. Sono ormai sottomessi dopo anni da vittime delle sue violenze. Sono il danno collaterale della campagna solitaria di Pansy contro il mondo.

Scomode verità di Mike Leigh | Trailer ITA HD

Se Leigh e Jean-Baptiste fossero semplicemente interessati a mostrare qualcuno che rispondesse a ogni interazione sociale con un’ottima dose di aggressività senza filtri, il film sarebbe comunque una commedia che soffoca nella sua amarezza. Le scene ambientate in una sala visite medica, in uno studio dentistico e in un negozio di alimentari all’angolo potrebbero essere state prese da un’edizione britannica di Curb Your Enthusiasm. Ma c’è qualcosa di molto più profondo che stanno esplorando qui. Pansy ci viene presentata mentre si sveglia improvvisamente da un sonno profondo, urlando di terrore. Una volta alzata dal letto, guarda fuori dalle finestre, cercando minacce; il gracchiare di un uccello nel suo giardino la manda nel panico. Poi pulisce meticolosamente il divano. Quando gli altri si aggirano nel suo perimetro, o lei si avventura riluttante in un negozio di mobili o a un appuntamento dal medico, entra in modalità aggressiva. Ma si inizia ad avere la sensazione che la rabbia mascheri depressione, dolore e ansia. Questa è una donna consumata dalla paura. Quelle invettive sono attacchi preventivi.

Poi Leigh introduce un altro personaggio. Il suo nome è Chantelle (Michele Austin), una parrucchiera che irradia solarità, simpatia e vibrazioni positive. È anche la sorella minore di Pansy, lo yang rispetto allo yin della sua famiglia. Il contrasto tra lei e la sorella è impressionante, così come lo è la differenza tra il buonumore tra Chantelle e le sue figlie – Aleisha (Sophia Brown), un’assistente legale, e Kayla (Ani Nelson), che lavora per un’azienda di prodotti per la cura della pelle – e l’atmosfera da campo minato che si respira in casa di Pansy. Eppure è anche rivelatore. Attraverso Chantelle, possiamo vedere emergere in superficie un lato leggermente diverso della nostra protagonista, facilmente soggetta alle ferite. “Perché non riesci a goderti la vita?”, chiede sua sorella con sincera preoccupazione. “Non lo so”, risponde Pansy, e il modo in cui lei stessa sembra confusa dall’infinita riserva di bile sempre a portata di mano suggerisce che invidia quelle persone allegre e sorridenti tanto quanto le detesta. Chantelle vuole aiutare sua sorella. Pansy non sa come accettare simili gentilezze. Ed è qui che sta tutta la sua tragedia.

Scomode verità riporta occasionalmente alla luce frammenti della loro vita passata: la loro defunta madre apparentemente ha affidato l’educazione di Chantelle a Pansy; e accenni di traumi intergenerazionali vengono sparsi qua e là. Eppure non ci sono spiegazioni facili o scorciatoie freudiane in mostra: ci sono solo le conseguenze che risuonano nel presente. Leigh ci ha già regalato personaggi che mettono a dura prova i nostri livelli di tolleranza, in particolare il malfattore chiacchierone interpretato da David Thewlis in Naked – Nudo (1993). E più di qualcuno ha notato come Pansy praticamente fa da negativo a Poppy, l’eroina instancabilmente e quasi fastidiosamente ottimista del character study di Leigh del 2008 La felicità porta fortuna – Happy-Go-Lucky. Ma questa povera donna, intrappolata in una prigione che potrebbe o meno essere stata creata da lei stessa, è una creazione davvero unica. Ecco perché, quando le due famiglie si riuniscono per un brunch domenicale, Pansy non sembra la solita guastafeste. A questo punto, si riesce a vedere il danno in lei in modo totalmente chiaro, e assolutamente doloroso. È sia inflitto agli altri che autoinflitto. Eppure, si desidera entrare in contatto con lei. Raramente la massima sui film come “macchine dell’empatia” si è rivelata così vera, o si è avuto la fortuna di avere ambasciatori così esperti in materia.

Leigh e tutto il suo cast sono qui così precisi, così dediti a infondere vita in queste persone comuni, che ogni volta che stacca da Pansy e ci concede scorci delle loro vite al di fuori della sua sfera d’influenza, verrebbe voglia che ognuna di loro avesse un film tutto per sé. Eppure, nel creare un personaggio così ricco e articolato che ti costringe a impegnarti a fondo per perdonare i suoi errori, è Marianne Jean-Baptiste a reggere il peso del film. Molte attrici avrebbero potuto interpretare alla perfezione quelle pagine di invettive piene di rabbia; ma solo lei avrebbe potuto mostrarti la persona spaventata, vulnerabile e disorientata dietro quegli attacchi frontali rendendola detestabile ma facendoti al contempo simpatizzare per lei. È una dimostrazione virtuosa di cuore e rabbia in egual misura. E ci sono momenti in cui, tra risate e lacrime, ti ritrovi a desiderare di poter dire a questa persona immaginaria che sembra fin troppo reale: “Va tutto bene”. L’attrice ti fa dimenticare il confine tra recitazione e osservazione. Sembra tutto così vero, nel senso migliore del termine.

Da Rolling Stone US