‘Saltburn’: la recensione del film di Emerald Fennell con Barry Keoghan e Jacob Elordi | Rolling Stone Italia
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‘Saltburn’: sesso, bugie e un Barry Keoghan come mamma l’ha fatto

La satira contro i ricchi al centro dell’opera seconda di Emerald Fennell dopo il premiatissimo esordio ‘Una donna promettente’ non è sempre a fuoco. Ma, accanto a nomi come Jacob Elordi e Carey Mulligan, trova nell’attore degli ‘Spiriti dell’isola’ il suo vero asso nella manica

‘Saltburn’: sesso, bugie e un Barry Keoghan come mamma l’ha fatto

Alison Oliver, Jacob Elordi e Barry Keoghan in ‘Saltburn’ di Emerald Fennell. Foto: Prime Video

In America piace ancora fingere di non vivere più all’interno di un sistema di classi in stile Vecchio Mondo. (Se nell’anno del Signore 2023 doveste continuare a nutrire questa illusione, vi suggeriamo di provare a prendere un volo di linea.) Chiunque può elevarsi al di sopra della propria posizione, un colpo di reni alla volta. L’Inghilterra, tuttavia, non ha mai cercato di nascondere il fatto che c’era, c’è e sempre ci sarà una separazione tra chi ha e chi non ha, governata da un tradizionalismo tossico, da rigidi strati sociali e da elementi di aristocrazia incancreniti.

Suppongo che esista una versione di Saltburn, l’opera seconda della sceneggiatrice e regista Emerald Fennell dopo il suo esordio dai colori pastello del 2020 Una donna promettente, ambientata nei salotti più eleganti e nelle enclave della Ivy League degli Stati Uniti, in cui un lupo travestito da maschio beta si insinua nelle mandrie composte dai Kennedy e dai Rockefeller. Ma la sua dichiarazione di guerra (di classe) ha davvero bisogno di essere ambientata nella terra dei baccanali di Oxford e delle enormi tenute di campagna. L’invidia e il desiderio sono universali. Ma il vocabolario che Fennell usa per lanciare il suo sbiascicato grido di dolore sembra estremamente local: un impero in cui il sole non tramonta mai, a patto di avere le giacche, le cravatte e le zanne giuste.

Il nostro “eroe” si chiama Oliver Quick – Oliver Twist era già stato preso – e, in quello che sembra un vero e proprio colpo di casting, è interpretato da Barry Keoghan. È uno di quei giovani e brillanti attori europei che si vedono in giro da un po’, con gli occhi da divo degli anni Cinquanta e la faccia da caratterista degli anni Trenta. Forse lo ricorderete, l’anno scorso, nel ruolo dell’anima ottusa che pronuncia come se niente fosse “Be’, addio sogno” dopo un rifiuto sentimentale negli Spiriti dell’isola, grazie al quale si è guadagnato una nomination all’Oscar. (Il ragazzo psicotico nel Sacrificio del cervo sacro e il prigioniero misterioso in The Batman? Anche quello è Keoghan.) E a prescindere da ciò che si pensa della satira di Fennell, è ovvio che il film trasforma l’attore trentunenne in una star di prima grandezza anche prima della scena clou. O forse proprio a causa della scena clou, in realtà… ma non corriamo troppo.

Saltburn | Trailer Ufficiale | Prime Video

Oliver ha appena iniziato il suo primo anno a Oxford ed è dolorosamente fuori dal suo elemento. È intelligente, colto, ma socialmente un pesce fuor d’acqua. Perciò, ovviamente, il grande leader del campus, Felix Catton (Jacob Elordi, alias Elvis in Priscilla e il sexy tossico numero 3 in Euphoria), lo seduce all’istante. È ricco, bello come una statua greca, privilegiato, e sembra ottenere tutto ciò che vuole. Un giorno, la bicicletta di Felix si buca. Oliver gli presta la sua. Quella sera, al pub, Catton lo chiama per ringraziarlo e per presentare il timido giovane ai suoi amici. Ben presto, Quick trascorre il suo tempo libero oziando con questo modello delle pubblicità di Abercrombie & Fitch che prende magicamente vita. “Si annoierà di te”, lo avverte un altro studente. Ma una tragedia famigliare fa sì che Oliver venga invitato per le vacanze scolastiche a Saltburn, la stravagante casa di campagna dei Catton. Felix lo fa in un momento di pietà e carità. Il suo ospite lo vede, astutamente, come un’opportunità.

La stessa Fennell ha frequentato Oxford più o meno nello stesso periodo in cui si svolge il film, il 2006, eppure non si ha la sensazione che stia regolando conti personali, né che stia mettendo in campo il suo talento nel frugare dentro le ferite o nel pungolare quella classe apparentemente intoccabile, in queste prime scene di ambientazione universitaria. Tutto questo arriva dopo. Quando Oliver incontra Felix in questa Xanadu pastorale, valuta rapidamente gli altri ospiti della magione: la madre di Felix, Lady Elspeth (Rosamund Pike), è leggermente hippie, totalmente passiva-aggressiva e in grado di distruggerti con un solo commento. Suo padre, Sir James (Richard E. Grant), sembra uscito dalle pagine di un romanzo di P.G. Wodehouse, ma è troppo confuso per ritrovare la sua strada smarrita. La sorella di Felix, Venetia (Alison Oliver), si comporta come una gatta ubriaca che gioca con il topo del momento: “Mi piaci ancora di più di quello dell’anno scorso”, dice. C’è anche un maggiordomo (Paul Rhys) con uno sguardo di ghiaccio, che sembra sospettare di questo sconosciuto fin dal primo momento.

Per quanto riguarda gli altri ospiti – un compagno di studi di nome Farleigh (Archie Madekwe), che è un vecchio amico di famiglia, e Pamela, l’amica goth-kook di Elspeth (Carey Mulligan, che ruba la scena ogni volta che appare sullo schermo) – Oliver osserva come la famiglia possa essere eccessivamente gentile con loro un secondo prima, e improvvisamente crudele un secondo dopo. Il nostro uomo può anche non sapere come funziona la colazione in questa casa, ma è straordinariamente attento quando si tratta di comportamenti umani codificati da secoli. E quando Oliver non passa i pomeriggi in riva al lago o non gioca a tennis in smoking sulle note di Time to Pretend degli MGMT (ehm…), prende un sacco di appunti. Tanto meglio per mimetizzarsi…

È tutto divertente finché qualcuno non lecca l’acqua della vasca da bagno in cui il suo oggetto del desiderio ha appena eiaculato, e una volta che avviene questo momento così trasgressivo, cioè intorno alla metà del film, si sente che Saltburn sta salpando verso territori più taglienti e insieme sfuggenti. Sì, stiamo andando proprio in quella direzione, sembra dirci il film, e quello che segue è una variazione sul tema che ha funzionato a meraviglia nel Talento di Mr. Ripley, in Teorema di Pasolini, e per altre decine di aspiranti personaggi che si sono fatti sistematicamente strada a suon di scopate per arrivare alla vetta della piramide socioeconomico. I personaggi che pensiamo Oliver sedurrà e distruggerà vengono effettivamente sedotti e distrutti; una veglia funebre si protrae abbastanza a lungo da prendere la piega sorprendente che immaginiamo, ma che al contempo speriamo non prenda. I personaggi che inizialmente sembrano delle caricature ricevono quel tanto di umanità che basta per perderla o vederla brutalmente calpestata. La cattiva condotta si presenta in molte forme e dimensioni, destinate a far emergere le bestie che vivono in tutti noi.

Jacob Elordi in una scena del film. Foto: Prime Video

Ed è in quest’ultima parte che si percepiscono le due metà del film, in lotta per il controllo di questo episodio di Downton Abbey capovolto. Fennell ha chiaramente un senso acutissimo per come funziona la satira e, sebbene la guerra di classe non faccia emergere la rabbia del movimento #MeToo che ha alimentato Una donna promettente, si avverte che è un altro argomento corposo da affrontare. Tuttavia, l’autrice sente anche il bisogno di essere provocatoria in un modo che a volte sembra essere provocatorio un po’ troppo gratuitamente, indulgendo nello stesso sensazionalismo fastidioso che ha caratterizzato anche il suo debutto. Ogni volta che Fennell e il suo cast iniziano a trovare un ritmo comico – o comicamente orribile – nel racconto di questi spaventosi abitanti dell’alta borghesia, una scena volutamente controversa o un elemento perverso costruito a tavolino minacciano di far saltare tutto. Troppo spesso, invece di usare un bisturi, si prende una motosega, per passare ai toni più dark.

Il che rende ancora più bravo colui che tiene insieme tutto questo, portandolo avanti grazie al suo carisma, al suo coraggio e alla sua forza d’animo: Barry Keoghan. A rischio di offendere i suoi coprotagonisti (in particolare Grant, che in alcuni momenti sembra strizzare l’occhio al suo vecchio ruolo in Shakespeare a colazione, e Mulligan, che meriterebbe un sequel/spin-off tutto suo), è lui il sole attorno a cui ruotano gli altri pianeti; è lui a rendere credibili alcune delle svolte più tortuose della sceneggiatura e a far sì che le impennate freudiane più stravaganti funzionino. Se prima dicevamo che Keoghan ha la statura delle grandi star del cinema del passato, non stavamo affatto esagerando.

E questo prima del finale, in cui un Barry completamente nudo trasforma un balletto sulle note di Murder on the Dance Floor di Sophie Ellis-Bextor in qualcosa di veramente spettacolare. Venite per la guerra di classe e le occasionali battute sui ricchi che sono diversi da voi e da me. Rimanete per Keoghan che volteggia in cerchio, con nient’altro che i fasci di luce del tardo pomeriggio e ciò che Dio gli ha dato per esprimere la beatitudine di passare da pretendente a predatore.

Da Rolling Stone US