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Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti

Soprattutto, ha inventato la star moderna, il divo bello e impegnato, l’attore ambientalista e regista, il militante del cinema che crede nel futuro. Forse non lascia eredi, ma è giusto così

Foto: Universal Pictures

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, anche morire praticamente senza preavviso, ma dove siamo, in Butch Cassidy, che finisce così, nel pieno della battaglia e della figaggine? Certo, aveva 89 anni, ma si poteva davvero attribuire un’età all’uomo che sussurrava ai grandi autori, alle grandi cause, ai grandi cambiamenti del cinema e del mondo, in qualunque momento della sua giovane storia (quella del cinema, dunque anche la sua), e che restava sempre e nonostante tutto un uomo del suo tempo, anche quando il suo tempo doveva teoricamente essere passato?

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, intanto essere canonicamente bello, canonicamente biondo, canonicamente tutto, e diventare il divo più impegnato negli anni della nuova Hollywood impegnata. E poi confrontarsi con tutti i generi, con tutti gli stereotipi, con tutti gli archetipi della cultura americana, che fossero il piccolo Kid o il grande Gatsby. Essere il divo mainstream e l’uomo di sinistra. Il macho di riferimento e il maschio fragile.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, ma più di tutto ha fatto una cosa: ha inventato la star moderna. Nessuno, prima di lui, aveva saputo aggiornare la l’essere divo del cinema popolare come lo si intendeva e figurava prima (dunque i Gary Cooper, i John Wayne, eccetera) all’agenda del nuovo friccicore engagé. Certo, c’era Paul Newman, compare, mai rivale, anzi fratello gemello. Anche lui divo dentro il suo tempo, prima del suo tempo, turbo e biodinamico, corse in macchina e salse per i maccheroni. Ma ancora con un piede nella classicità.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, e quella classicità l’ha infranta pur restando, dicevo, il metro dei classici, dai capelli fonati ai giacchini di cammello. È stato il divo degli instant classics di un tempo nuovo (La stangata, Come eravamo, I tre giorni del Condor, Tutti gli uomini del presidente, La mia Africa: devo dirne ancora?) che si è messo a fare il regista, come poi avrebbero fatto tutti i divi e le dive, e con il primo film (Gente comune) c’avrebbe pure vinto gli Oscar che non gli avevano e non gli avrebbero mai dato come attore – troppo canonicamente bello, canonicamente biondo, canonicamente tutto.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, e dunque con lui sono arrivati l’ambientalismo spiegato facile, la salvaguardia del cinema indie, la gentrificazione della provincia che sarebbe diventata l’avamposto cinéphile di un altro futuro che – quello sì – sembra già passato, la creazione di nuovi festival, nuovi premi, nuove piattaforme prima che arrivassero le altre piattaforme.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, anche amare – sullo schermo – le donne che imponevano un nuovo modello femminile, le Jane Fonda e le Barbra Streisand, e di fianco a loro lui – così canonicamente bello, canonicamente biondo, canonicamente tutto – scompariva senza scomparire mai. Come a dire: tocca a voi.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, anche lasciare qualche erede (Brad Pitt?) ma di certo non imitatori, perché come si fa, siamo seri.

Robert Redford ha fatto tutto prima di tutti, ci ha detto come eravamo e come saremmo stati, non belli e biondi e tutto come lui, ma pronti a rispondere sempre alla sua proposta indecente: che il cinema potesse essere un posto bello, felice, di e per tutti, che potesse essere davvero il posto del futuro.

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