Rob Reiner non ha solo fatto film. Ha creato momenti | Rolling Stone Italia
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Rob Reiner non ha solo fatto film. Ha creato momenti

Il regista (nato attore) morto tragicamente a 78 anni insieme alla moglie ha scritto la nostra storia. Da ‘Stand by Me’ a ‘Harry, ti presento Sally…’, ecco che cosa ci lascia

Rob Reiner non ha solo fatto film. Ha creato momenti

Rob Reiner nel 1987

Foto: George Rose/Getty Images

Per alcuni era il volto della controcultura che difendeva l’ideologia degli anni ’60 contro le invettive della maggioranza silenziosa di Archie Bunker. Per altri era la celebrità hollywoodiana che si batteva instancabilmente per cause progressiste anche quando (soprattutto quando) non era di moda farlo. La generazione più anziana spesso pensava a Rob Reiner come all’erede di Carl, il “figlio di” entrato nell’azienda di famiglia facendo ridere la gente interpretando il ruolo dell’uomo serio. Diverse generazioni di amanti del cinema lo consideravano il tipo di regista versatile in grado di prendere un buon materiale e renderlo eccezionale, e di prendere un materiale eccezionale – una fantasia vecchio stile su spadaccini e principesse, un romanzo di Stephen King, un’opera teatrale su un processo militare – e trasformarlo in quel tipo di classico da rivedere quando si ha bisogno di ridere, o piangere, o fare entrambe le cose allo stesso tempo.

I dettagli di quello che la polizia definisce un omicidio che coinvolge Reiner, 78 anni, e sua moglie, la fotografa e produttrice Michele Singer Reiner, 70 anni, oscureranno temporaneamente la straordinaria carriera che l’attore diventato regista lascia dietro di sé. Ma quando si guarda indietro alla filmografia di Reiner, i momenti salienti parlano da soli. “Questo arriva a 11”. “In-con-cepibile!”. “Non ho mai avuto amici migliori di quelli che avevo quando avevo 12 anni”. “Quello che ha preso la signorina”. “Sono il tuo fan numero uno”. “Non puoi sopportare la verità!”. Molte di queste non erano solo battute citabili all’infinito. Sono diventate parte del lessico culturale.

Reiner è cresciuto guardando suo padre Carl Reiner fare da pioniere nella commedia televisiva insieme a Sid Caesar in Your Show of Shows e creare una delle più grandi sitcom degli anni ’60, The Dick Van Dyke Show. Poi, poco più che ventenne, Rob è stato scritturato in una delle sitcom più innovative degli anni ’70. Dal momento in cui Arcibaldo andò in onda, suscitò grande scalpore portando le accese discussioni dell’era del divario generazionale che avvenivano nelle case della gente direttamente nei salotti degli spettatori. Da una parte c’era Archie Bunker, interpretato da Carroll O’Connor, un caposquadra reazionario che non vedeva di buon occhio tutte queste nuove libertà che stavano cambiando la sua America. Dall’altra parte c’era Mike Stivic, interpretato da Reiner, uno studente universitario che rappresentava il movimento giovanile che scendeva in piazza. Ogni settimana, i due si scontravano su argomenti scottanti che andavano dal razzismo alla religione alla liberazione delle donne; anche se Stivic raramente riusciva a mettere KO il protagonista, Bunker finiva per perdere i combattimenti per punti tecnici e l’arco della storia si piegava verso la giustizia. Il ruolo valse a Reiner due Emmy e un soprannome, gentilmente offerto dal suo irascibile avversario: “Testone” (in originale “Meathead”, ndt).

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Quel soprannome rimase a Reiner anche quando passò dietro la macchina da presa, e inevitabilmente ci furono commenti del tipo “Oh, guarda, ora Testone è un regista!” nei primi servizi giornalistici su questo cambio di carriera. Ma Reiner era interessato a diventare un regista anche quando Arcibaldo era in pieno svolgimento, avendo diretto un film Tv di 30 minuti nel 1974. Avendo stretto amicizia con diversi musicisti di Laurel Canyon negli anni ’60, Reiner conosceva bene lo stile di vita delle rockstar ricche e famose. Quando alla fine degli anni ’70 lavorava con Michael McKean e Christopher Guest a un pilot di una commedia intitolata The TV Show, li osservava improvvisare dialoghi nei panni di una band immaginaria chiamata Spinal Tap. In seguito, i tre iniziarono a scrivere una sceneggiatura basata sulle disavventure del gruppo metal, ma si resero conto che le cose non funzionavano. Reiner e i suoi collaboratori decisero quindi di prendere i soldi e iniziare semplicemente a girare le scene, improvvisando i dialoghi man mano.

Il risultato cambiò la storia del cinema. This Is Spinal Tap (1984) non avrà inventato il mockumentary, ma il debutto alla regia di Reiner fu la prova di cosa si potesse fare con questo formato. Tutto, da The Office a Borat, gli deve molto. Replica l’aspetto e l’atmosfera di un vero documentario rock a tal punto che nemmeno l’assoluta assurdità di ciò che viene mostrato può impedirti di pensare che non stai guardando la realtà; il fatto che Reiner abbia fatto di tutto per rendere le riprese “vintage” dei Tap nel corso delle epoche il più fedeli possibile ai vecchi filmati di Shindig! (un programma musicale andato in onda sulla ABC dal 1964 al 1966, ndt) dimostra il suo impegno nel progetto. E le apparizioni sullo schermo di Reiner nei panni del regista Marty Di Bergi riprendono le interviste di Martin Scorsese nell’Ultimo valzer a tal punto che persino Scorsese, che inizialmente non considerava questa imitazione come la forma più sincera di adulazione, alla fine ha cambiato idea.

Mentre Guest avrebbe poi dedicato la sua carriera di regista alla realizzazione di questo tipo di commedie corali fortemente improvvisate, Reiner ha deciso di seguire una strada più tradizionale. Il suo film successivo, Sacco a pelo a tre piazze (1985), era una commedia per adolescenti con John Cusack che sostituiva le gag volgari con il cuore. Stand by Me – Ricordo di un’estate (1986) ha preso un romanzo di Stephen King e l’ha trasformato in uno dei migliori film di formazione degli anni ’80, e il migliore in assoluto con una scena piena di vomito a tema torta ai mirtilli. La storia fantastica (1987) rimane la sintesi perfetta non solo del romanzo di William Goldman, ma anche dell’equilibrio tra fantasy, romance, action, commedia esilarante e un’incredibile tenerezza. È un film su una favola della buonanotte che ti fa sentire come se fossi rannicchiato sotto le coperte e ti venisse letta dal nonno più divertente del mondo.

Reiner ha poi co-fondato la sua società di produzione, la Castle Rock Entertainment, e l’ha inaugurata con quella che potrebbe essere la più grande commedia romantica moderna, o almeno la più influente: Harry, ti presento Sally… (1989). Tutti ricordano naturalmente Meg Ryan che finge realisticamente un orgasmo nel bel mezzo del Katz’s Delicatessen, un momento straordinario che probabilmente ha reso la vita un inferno ai dipendenti della gastronomia nei decenni successivi. Ma guardate come Reiner prepara la battuta finale e la sincronizza per ottenere il massimo effetto: il fatto che sia la madre di Reiner a dirla la rende ancora più esilarante. È facile liquidare questo tipo di intrattenimento accattivante come frivolo, ma Reiner sapeva che intrattenere il pubblico era un’arte in sé, e l’alchimia tra Billy Crystal e Meg Ryan non è nata dal nulla. I migliori film di Reiner sono tutti incentrati su quel lampo catturato in una bottiglia quando gli attori, le interazioni, le sceneggiature e i momenti cinematografici con la M maiuscola si fondono insieme. La maggior parte dei registi è fortunata se il proprio film ne ottiene uno, quando invece film come Harry, ti presento Sally… ne hanno quasi una dozzina. E Reiner si è assicurato che tutti fossero portati sullo schermo.

When Harry Met Sally

Lo stesso vale per Misery non deve morire (1990), ancora oggi uno dei migliori adattamenti cinematografici di Stephen King e una riflessione sul fanatismo tossico che adesso sembra stranamente premonitrice, e Codice d’onore (1992), un dramma giudiziario di grande successo che ha dato a Tom Cruise la possibilità di spingere Jack Nicholson a dare il meglio di sé sul banco dei testimoni. Entrambi questi film hanno messo in mostra ciò che Reiner sapeva fare meglio, ovvero capire quando trattenere gli attori, quando sfruttare al massimo un dialogo per ottenere il massimo effetto e come mettere in risalto il punto in cui le cose esplodono. Se dopo di ciò il suo curriculum ha iniziato a sembrare un po’ discontinuo, è stato in parte perché il tipo di film che Reiner amava realizzare non era in sintonia con i blockbuster su cui Hollywood puntava maggiormente, e in parte perché tornava un po’ troppo spesso ad alcuni generi collaudati, come la commedia romantica e il dramma sociopolitico impegnato. Reiner era la figura più vicina a Frank Capra che il tardo XX secolo avesse, e il meglio del suo lavoro riflette il senso di giustizia e l’amore per l’umanità di quel nome della Vecchia Hollywood.

«Scrivi sempre le stesse cose», ammise Reiner al New York Times nel 1989, dopo che un giornalista gli fece notare che Harry, ti presento Sally… e Sacco a pelo a tre piazze avevano un Dna simile. «Dipingi sempre le stesse cose, componi sempre le stesse cose». Eppure, quando si guarda alla sua opera nel suo insieme, si ha la sensazione che sapesse mescolare molte cose diverse. Reiner è stato una presenza costante negli ultimi trent’anni, sia come opinionista di riferimento quando i talk politici avevano bisogno di un punto di vista di sinistra, sia attraverso ruoli secondari e cameo in film e serie come The Wolf of Wall Street e The Bear. Eppure, quando Marty Di Bergi appare sullo schermo in Spinal Tap II – La fine è solo l’inizio, il sequel a lungo atteso che Reiner e i suoi collaboratori hanno prodotto lo scorso autunno, sembra che un amico perduto da tanti anni sia entrato all’improvviso nella stanza. È tragico non poterlo rivedere mai più.

Da Rolling Stone US

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