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‘Primavera’, un altro film italiano a Natale è possibile

Non solo Checco Zalone. L’esordio nel lungometraggio del regista d’opera Damiano Michieletto è una storia di musica e ribellione. Con un grande cast guidato da Tecla Insolia e Michele Riondino. La recensione

Foto: Kimberley Ross

«Qui si parla solo di soldi», dice l’orfanella veneziana che vede passare genti e danari, mentre impara a suonare il violino pensando che ci possa essere altro, forse una via di fuga, chissà. Più avanti, ancora: «È sempre una questione di soldi». Le relazioni, lo stare al mondo, essere mogli, preti, musici, nobili, verdurai – liberi: mai.

I soldi comprano, vendono, regolano il tessuto politico e sociale, in un mondo dove altrimenti ci si sbarazza di tutto in fretta, le giovani figlie tenute insieme solo da un ex voto strappato a metà valgono quanto i micetti chiusi dentro un sacco di iuta e gettati nel canale. Alla fine, basta mettersi un po’ di belletto sulle guance, fare un sorriso, e sperare di andare in sposa a qualcuno – di ricco, si capisce.

Primavera – esordio nel cinema di finzione del gran talento del teatro e della lirica Damiano Michieletto, prodotto da Indigo Film e in uscita il 25 dicembre con Warner Bros. – non è solo l’adattamento di Stabat Mater, con cui Tiziano Scarpa ha vinto lo Strega. Non è nemmeno il biopic di Vivaldi, o un racconto di empowerment, come si dice oggi.

È una storia (sceneggiata da Ludovica Rampoldi) certo di donne, e di musiciste rimaste nell’ombra, e di soldi, appunto. Ma è soprattutto il ritratto di come le strutture sociali, politiche, culturali s’infilano nella storia e nelle storie, creando sistemi immutabili: gli orfani saranno sempre orfani, i ricchi resteranno ricchi, e la musica – se dev’esserci – rimarrà giusto un buon accompagnamento, a messa o in una sala da concerto. E invece…

Michele Riondino alias Antonio Vivaldi in una scena del film. Foto: Kimberley Ross

Ma è anche una storia di ragazze, e di un maestro, e di un’epoca in cui s’illuminava tutto, in tutti i sensi, e però si restava al buio. Cecilia (Tecla Insolia) trova nel prete Antonio Vivaldi (Michele Riondino) il tramite per sé stessa e, si spera, la propria libertà. Ma anche lui cerca qualcosa. La voce che faccia suonare il suo genio bistrattato.

Certo, è inevitabile il confronto con Gloria! di Margherita Vicario, altra opera prima punk, personalissima, meritatamente fortunata (la Berlinale, tre David, il giro del mondo). Il tempismo è a favore di quest’ultima, ma le direttrici sono diverse. Se quello era un riuscitissimo feelgood movie che attraverso le ragazze di ieri parlava alle ragazze (e non solo) di oggi, Primavera è un film con il passo quieto, perché lontano, della Storia, che mette al centro il potere e la gerarchia, le regole dei tanti prima che le scelte dei singoli (delle singole, soprattutto), i bisogni più che i sogni.

E che parla una lingua che non è propriamente quella del Michieletto del teatro (se non l’avete visto lì, vi basti il suo Rigoletto diventato film-opera), ma piuttosto – e si crede sia una mossa voluta – quella del cinema classico, elegante ma non polveroso, rigoroso ma caldo. Vedi qua e là tracce di Amadeus, ma anche del Mondo nuovo di Scola per come infila sprazzi di baruffe chiozzotte, e persino una certa grammatica horror in stile A Venezia… un dicembre rosso shocking – i micetti affogati, appunto, ma anche i pertugi oscuri dell’istituto, e un polso sadicamente slogato, e quei volti patrizi mascherati e smostrati.

Damiano Michieletto sul set con Tecla Insolia. Foto: Kimberley Ross

Alla prima, notevole prova da regista per il cinema, è naturale che Michieletto porti la lezione del teatro, e si affidi a un cast che è una compagnia, un coro. Tecla Insolia è, a 21 anni (!), già una dei most valuable player del nostro cinema, rabbiosa e fragile, staresti a guardarla sempre. Michele Riondino va con questo suo Vivaldi da tutt’altre parti, rispetto a dove ci porta di solito, e lo fa come non ti aspetti. E poi Andrea Pennacchi sempre principesco anche sotto parrucca e cerone, Fabrizia Sacchi impeccabile nella sua istitutrice tesa più di quelle corde di violino, Valentina Bellè a cui bastano sempre due tocchi per pennellare ritratti memorabili (cfr. anche Il maestro di Andrea Di Stefano), e Stefano Accorsi che entra, esce, ma per motivi che non vi dirò si fa ricordare eccome.

E poi le musiche di Fabio Massimo Capogrosso, tra i nuovi nomi più interessanti della nostra musica per il cinema (Esterno notte di Bellocchio, Le déluge di Jodice, Breve storia d’amore di Rampoldi), che spezza e sguazza dentro Vivaldi, e la fotografia di Daria D’Antonio, il montaggio di Walter Fasano, le scene di Gaspare De Pascali, i costumi di Maria Rita Barbera – tra i migliori su piazza, insomma.

Primavera è la controprogrammazione natalizia a Checco Zalone? Sì, ma no. Perché, come nella natura del suo autore, ha una vocazione popolare, oggi si direbbe: larga. È un film che cerca, e merita, il pubblico, e non è detto che, tra un Cammino di Santiago e un battaglia su Pandora, non possa trovarlo.

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