Quando Errol Morris studiava filosofia presso l’Università della California di Berkeley è andato in “pellegrinaggio” al carcere California Medical Facility di Vacaville. Il futuro documentarista premio Oscar era interessato alle istanze d’infermità mentale nei casi di omicidio ed era andato lì per intervistare il serial killer Ed Kemper. Ma mentre si trovava al CMF, gli si è presentata un’altra opportunità inaspettata.
«Dopo la visita, la guardia mi ha chiesto: “Ti interesserebbe incontrare Charles Manson?”», Morris ha ricordato in un’intervista recente. «Ho risposto: “Certo! Certo che sì”».
Da quel faccia a faccia non ha ricavato molto, racconta: «Manson voleva lamentarsi con me della sua mancanza di libertà di masturbarsi», scherza. Però era la metà degli anni Settanta e Manson era pur sempre un personaggio. Nel 1971, lo Svengali dagli occhi folli era stato condannato per gli omicidi Tate-LaBianca compiuti due anni prima dai membri della sua cosiddetta Family. Nel 1974, il procuratore Vincent Bugliosi ha pubblicato il suo best seller Helter Skelter, in cui esponeva i fatti (focalizzandosi sull’apparente volontà di Manson di scatenare una guerra razziale apocalittica) che avevano portato a quella condanna. «Tutti conoscevano il caso», dice Morris. «È uno dei più famosi della storia americana, se non di quella mondiale. E molte persone, me compreso, avevano letto più di un libro sull’argomento». A questo proposito cita Helter Skelter e La famiglia di Ed Sanders; ed è stato proprio il primo dei due volumi a fornire la narrazione degli omicidi di Manson per anni comunemente accettata, incentrata su LSD, lavaggi del cervello, hippy fuori controllo, conflitti razziali e Beatles.
Alcuni decenni dopo, un nuovo libro avrebbe reso più complessa questa narrazione. Chaos: Charles Manson, the CIA and the Secret History of the Sixties, scritto da Tom O’Neill con il giornalista Dan Piepenbring e pubblicato nel 2019, ha demolito il lavoro di Bugliosi, sostenendo che il procuratore avrebbe occultato delle prove, costretto i testimoni a mentire e dichiarato falsità che potrebbero aver fornito una copertura ad altre forze oscure che ruotavano intorno a Manson, prima fra tutte la Central Intelligence Agency e il suo programma top secret di controllo delle menti MKULTRA. Il reportage di O’Neill suggeriva che gli omicidi di Manson non fossero il prodotto di un’idea deviata dell’amore libero, ma una specie di conseguenza degli esperimenti della CIA con l’LSD e il lavaggio del cervello. L’insabbiamento potrebbe aver favorito la riuscita di operazioni di spionaggio interno come il CHAOS della CIA e il COINTELPRO dell’FBI, che prendevano di mira e screditavano i movimenti radicali, hippy, Black Panthers o attivisti pacifisti che fossero.
Ed è proprio sul volume di O’Neill che si basa il nuovo documentario di Morris, Chaos: The Manson Murders, arrivato ieri su Netflix. Il libro è avvincente, molto denso, pieno di intrecci da seguire e luoghi oscuri da esplorare. Sarebbe stato facile trasformarlo in una serie in più episodi, ma Morris, invece, ne ha distillato l’essenza e le tematiche più significative in un documentario di 90 minuti che mette in luce i potenziali legami tra Manson e la CIA, utilizzando la miriade di domande senza risposta del caso come punto di partenza per «riflettere sulle indagini e sulla verità».
Nel film ci sono interviste approfondite a O’Neill e al co-procuratore di Bugliosi, Stephen Kay, oltre a conversazioni telefoniche con Bobby Beausoleil, un componente della Famiglia che sta scontando una condanna all’ergastolo per un assassinio commesso settimane prima degli omicidi Tate-LaBianca. Sono inclusi anche una serie di filmati d’archivio e interviste con Manson stesso e altri membri della Famiglia, come Susan Atkins e Leslie Van Houten. O’Neill, che ha trascorso vent’anni a scrivere maniacalmente Chaos, ha ammesso che le sue scoperte più interessanti portano solo a conclusioni speculative. Cosa dobbiamo pensare del fatto che l’agente di sorveglianza assegnato a Manson abbia sempre chiuso un occhio, nonostante le violazioni reiterate della libertà condizionata? E che dire delle visite frequenti di Manson, con i membri della Famiglia, alla clinica gratuita di Haight-Ashbury dove i pazienti ricevevano cure mediche, ma erano anche trattati come cavie per la ricerca? A parere di O’Neill, Jolly West, un agente della CIA esperto in tecniche di lavaggio del cervello, usava la clinica per reclutare soggetti da utilizzare in studi sull’LSD nei giovani. Chaos ipotizza che Manson e la Famiglia, dopo aver frequentato la clinica, siano diventati ciò che il governo americano ha cercato a lungo di ricreare nei suoi esperimenti: dei Manchurian Candidate [il riferimento è all’omonimo romanzo del 1959 e ai due film che ne sono stati tratti, ndt], assassini programmati e capaci di uccidere senza pietà.
O’Neill, però, riconosce anche che il suo reportage sconfina nell’ambito di una verità che resta sfuggente. Per esempio, non riesce ancora a collegare direttamente West e Manson. Queste ambiguità portano Morris a descrivere Chaos come «un’incursione strana e surreale in una terra di nessuno dell’investigazione». Per il suo nuovo film, il regista ha preso atto di tutte le ambiguità e ha cercato di «analizzare varie spiegazioni sul perché Manson abbia commesso questi omicidi».
Morris si è avvicinato a O’Neill e alla sua indagine quando questi stava ancora tentando disperatamente di finire il suo libro: dice di essere stato chiamato per aiutare il giornalista a districarsi in quel «labirinto». Ha passato tre giorni a intervistare O’Neill nel suo appartamento straboccante di materiale su Manson («Faldoni, scatole, nastri»), ma alla fine il diretto interessato ha preferito non procedere con il film. Ha però continuato il lavoro sul libro, finendolo insieme a Piepenbring, e, dopo il successo di vendite, ha ricontattato Morris per chiedergli se volesse terminare la pellicola.
Morris non vedeva l’ora. «Probabilmente ho letto [Chaos, nda] più volte di quante sono disposto ad ammettere», dice. E aggiunge: «Leggere il libro di Tom, conoscere Tom e intervistarlo è stata già un’esperienza in sé. È una cosa strana da dire, ma è vera: il libro di Tom mi ha fatto riflettere sulle indagini e sulla verità».
Morris sa bene cosa significa arrivare a essere ossessionato da una vicenda sconcertante o infilarsi nei cunicoli della CIA. Ha fatto entrambe le cose nella miniserie Wormwood (2017) sulla misteriosa morte dello scienziato Frank Olson, legata all’MKULTRA. E il suo libro del 2012, A Wilderness of Error, ha approfondito il caso dell’ex chirurgo dei Berretti Verdi Jeffrey MacDonald, condannato per l’omicidio della moglie incinta e delle due figlie. Pur ritenendo di aver dimostrato che i reati ascritti a MacDonald sono stati frutto di «una violazione di quello che consideriamo un giusto processo», Morris ammette di non essere riuscito a dimostrare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Il regista è attratto da quella «strana zona grigia fatta di intuizioni, supposizioni e strane credenze», ma rimane fedele alla ricerca della verità, anche se sa che raramente è possibile svelarla del tutto (grazie a «una vera e propria ossessione, tanto impegno e fortuna», dice, ci è andato vicino nel 1988 con La sottile linea blu, che ha contribuito a scagionare il condannato per omicidio Randall Dale Adams).
Nel caso di Manson, la vicenda è ricca di (per parafrasare un altro personaggio approfondito da Morris: Donald Rumsfeld) cose note, cose notoriamente sconosciute e cose sconosciute ignote. «Su questo omicidio sorgeranno tantissime domande che non troveranno mai risposta», dice Morris. «O meglio: non ho risposte e non so quando queste risposte arriveranno. Ma mai dire mai».
Quello che Morris sente di poter affermare in via definitiva è che Chaos smonta la teoria di Helter Skelter. «Trovo inverosimile la versione di Bugliosi», dice. «Credo che i Beatles, Helter Skelter e il sogno di una guerra razziale siano il motivo dietro a questa storia? Penso proprio che sia improbabile».
Più inverosimile di una versione in cui c’entrano l’MKULTRA e gli esperimenti della CIA?
«Direi di sì», risponde Morris con un sorriso. «Queste cose c’erano? Sì. C’entravano anche con Manson? Forse».
In mancanza di risposte concrete, Morris si è concentrato su altre persone e altri elementi di questo mistero, come la musica di Manson. Il film è in parte sonorizzato usando alcuni suoi demo e include un’intervista a Gregg Jakobson, il talent scout e amico intimo di Dennis Wilson dei Beach Boys che notoriamente finì nell’orbita di Manson (Wilson ha scatenato l’ira di Manson quando ha rifatto la sua canzone Cease to Exist trasformandola in Never Learn Not to Love dei Beach Boys, senza accreditare l’autore).
«Mi piace la musica di Manson!», esclama Morris. «Datemi pure del pazzo, ma penso che abbia qualcosa di davvero intrigante e molte altre persone erano interessate alla sua musica».
Morris si schiera contro quella che definisce «l’idea diffusa secondo cui Manson era totalmente privo di talento» e suggerisce che le sue canzoni, invece, rivelano «la disperazione dell’uomo». Abbraccia anche la teoria secondo cui il rifiuto di Manson da parte del produttore discografico Terry Melcher abbia avuto un ruolo negli omicidi Tate-LaBianca. Si sa che Melcher aveva vissuto nella casa al 10050 di Cielo Drive prima che Roman Polanski e Sharon Tate la occupassero. L’idea di una vendetta (come quella del controllo mentale MKULTRA e dell’LSD) sembra meno inverosimile rispetto allo “Helter Skelter” [la guerra apocalittica profetizzata da Manson, ndt].
«Conosciamo tutti la teoria secondo cui dovremmo sempre optare per la spiegazione più semplice, ma forse, in questo caso, non c’è una spiegazione semplice», dice Morris. «Forse c’è solo una spiegazione stupida. Una spiegazione legata alla confusione, a interessi che si incrociano, a persone che non sanno ciò che stanno facendo e hanno motivazioni contrastanti e confuse per fare qualsiasi cosa».
Morris ha scovato questo filo conduttore anche nella storia di Bobby Beausoleil, il membro della Famiglia che sta scontando l’ergastolo per l’uccisione di Gary Hinman del luglio 1969, poche settimane prima degli omicidi Tate-LaBianca. Come Beausoleil ricorda nel documentario, stava litigando con Hinman per un affare di droga andato male quando Manson ha fatto irruzione nella stanza, ha sfregiato Hinman e poi l’ha lasciato solo a occuparsi di quel casino. Beausoleil, temendo che Hinman potesse fare la spia se l’avesse portato al pronto soccorso, dice di aver chiamato Manson chiedendogli di risolvere il problema. Manson avrebbe detto a Beausoleil che «sapeva benissimo cosa fare», per poi riattaccare il telefono.
«Ho chiesto più volte a Bobby: “Quindi tu uccidi Hinman, prendi la sua auto e ci metti dentro l’arma del delitto, così se ti arrestano hanno subito l’auto, l’arma del delitto e te? Ma chi farebbe mai una cosa del genere?”. L’unica spiegazione che ho, e l’ho detto tante volte a Bobby, è che è tutto incredibilmente stupido. Ma non così stupido da non essere davvero accaduto».

Bobby Beausoleil. Foto: Netflix
Morris dice che O’Neill «sorvola» su molto di quello che Beausoleil dice, ma il regista l’ha trovato «del tutto convincente»: non perché abbia creduto a tutto ciò che Beausoleil gli ha detto, ma perché, a più di 50 anni di distanza, stava ancora «cercando disperatamente di fare pace con quello che aveva fatto e che gli era successo».
E aggiunge: «In tutto ciò che Bobby mi ha detto si percepisce che anche lui sta cercando di comprendere, se vogliamo, la stupidità di tutta la faccenda. A volte io stesso mi guardo indietro e penso: “Mio Dio, che stupidaggine. Come hai potuto farla?”. E il fatto che Bobby sia ancora alle prese con tutto questo lo trovo infinitamente interessante e toccante».
Morris concede a Beausoleil persino la penultima parola in Chaos (Manson, ovviamente, ha l’ultima), mentre medita succintamente sulla passione che la gente ha per la fantasia, la speculazione e la cospirazione, quando la realtà spesso è molto più banale. Persino stupida.
Morris si chiede: «È possibile che alcune cose siano solo il risultato della confusione e dell’ignoranza, piuttosto che una sorta di grande cospirazione che viene messa in atto e orchestrata da una persona o da un gruppo di pochi che lavorano in combutta?». Poi, allargando il discorso al caos che sta travolgendo il mondo attuale, aggiunge: «Quando si scriverà la storia della nostra epoca e ci si chiederà perché la nostra democrazia è andata in frantumi, credo che si capirà (e forse questo fa trapelare le mie idee politiche) che ora stiamo assistendo a macchinazioni di grandissimi incompetenti che annaspano nella realtà del mondo».