Oscar 2024: top e flop della serata | Rolling Stone Italia
Kenergy all over the Academy

Oscar 2024: top e flop della serata

Ryan Gosling che piazza uno dei numeri musicali più fighi nella storia dell'Academy, la gag di John Cena nudo, il border collie Messi in prima fila, ma pure gli snub di 'Barbie' e Scorsese (vergogna)

Oscar 2024: top e flop della serata

Ryan Gosling sul red carpet dei 96esimi Oscar

Foto: Jeff Kravitz/FilmMagic

TOP:

Kimmel is in da house

 

 
 
 
 
 
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Va subito, per direttissima, allo snub più clamoroso dell’anno Jimmy Kimmel: Barbie. Nella gag di apertura sta alla fermata del bus con Margot Robbie che gli dice che “è bello” (semicit.). E poi: “Era più probabile che mia moglie comprasse un pacchetto di Marlboro rosse a mia figlia che una Barbie. Ora questa bambola è un’icona femminista, grazie a Greta Gerwig”. Approvazione dalla platea: “Ora applaudite, ma siete voi che non l’avete nominata, eh”. Ecco, bravo. Di nuovo su Robbie e poi su Gosling: “Ma tanto voi avete già vinto alla lotteria genetica, Ryan sei davvero fighissimo, andiamo in campeggio io e te e non lo diciamo alle nostre mogli”. Inevitabilmente tocca all’altra metà del Barbenheimer: “Nolan non ha il cellulare, non manda mail, non ha internet. È un bel modo per dire ‘la mia dipendenza dal porno non avrà la meglio sul mio lavoro’”. Ride anche l’algido Christopher, quindi mission accomplished. Una delle ultime è sullo sciopero: “Tolta di mezzo la IA, gli attori possono tornare a essere sostituiti da altri attori più belli e più giovani”. E chiama sul palco le maestranze. Per noi più che sufficiente: l’anno scorso era più sottotono, a questo giro non è stato groundbreaking, ma ha (e s’è) divertito. La chicca alla fine, quando si è messo a leggere i mean tweet che la gente ha scritto su di lui durante la serata, compreso quello di Trump. E risponde: “Ma non è ora di andare a letto lì in carcere?”. Sbam.

FLOP:

Se questa è inclusione…

 

 
 
 
 
 
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L’idea, riciclata da qualche anno fa, non è neppure malaccio: chiamare a premiare i migliori attori e attrici colleghi illustri che quella statuetta l’hanno già messa a tenere aperta la porta di casa (cit. Gwyneth Paltrow): Jamie Lee Curtis per Jodie Foster. E fino a qui tutto bene. Poi Rita Moreno introduce America Ferrera cantando “Americaaaaa”, latina per latina. E pure qui ci sta. Il problema è quando la pratica diventa la norma, vedi le due interpreti nere che “sponsorizzano” le due interpreti nere nominate. Lupita Nyong’o che presenta Da’Vine Joy Randolph, black for black. Non una ma due volte: c’è pure Regina King che tira la volata a Danielle Brooks. Al limite l’asian, Ke Huy Quan, può introdurre l’attore nero, Sterling K. Brown. Poi aggiustano il tiro: Brendan Fraser lancia Jeffrey Wright, ma ormai è troppo tardi. Anche perché i belli si spendono per i belli: vedi Matthew McConaughey e Bradley Cooper. Se questa è inclusione…

TOP:

Presto che è tardi

La durata media dei film candidati come “best picture” quest’anno è di 138 minuti (e parliamo di media: i picchi sono Killers of the Flower Moon, 206’, e Oppenheimer, 180’). Forse anche per questo i produttori dello show quest’anno hanno promesso: saremo brevi. E, udite udite: erano seri. I premi a ’sto giro si consegnano in fretta, come quelli della lotteria di Natale del bar sotto casa. Forse pure troppo in fretta, in barba all’emozione: si veda la tripletta miglior trucco-e-parrucco/miglior scenografia/migliori costumi, annunciata da Michael Keaton e Catherine O’Hara, con le statuette consegnate una via l’altra, praticamente senza soluzione di continuità. Ma va bene così. E noi di qua dall’Atlantico quest’anno abbiamo anche avuto la fortuna che la cerimonia è iniziata un’ora prima (cioè a mezzanotte nostra). Nella categoria “durata”, gli Oscar migliori di sempre.

FLOP:

Barbie, da mito a zero

 

 
 
 
 
 
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Era già stato massacrato alle candidature: fuori Greta Gerwig dalla cinquina della miglior regia e Margot Robbie da quella della miglior attrice. La cerimonia rincara la dose: persino tutti gli Oscar “estetici” – costumi, scenografia e trucco e parrucco – sono andati a Povere creature!, e la statuetta per la sceneggiatura non originale invece ad American Fiction. E così tutti i modi che l’Academy aveva per rimediare al pasticciaccio brutto delle nomination sono andati. Nel presentare il riconoscimento per gli stunt, Emily Blunt e Ryan Gosling cercano di smorzare la tensione, cazzeggiando sul fenomeno Barbenheimer: “Non che ci fosse molta rivalità ai premi”, dice lei. “Oppenheimer è stato trascinato tutta l’estate dallo strascico di Barbie“, replica lui. Game-set-match.

TOP:

John Cena Unveiled

 

 
 
 
 
 
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Chi se lo ricorda l’uomo nudo che corse sul palco durante la cerimonia nel 1974? “Riuscite a immaginare se qualcosa del genere succedesse anche stasera?”, attacca Kimmel. Entering John Cena, o meglio, vediamo solo la sua faccia. “È un’idea di cattivo gusto, non lo voglio più fare”, si lamenta l’ex wrestler. “Guarda che il corpo di un uomo non è uno scherzo”, dice a Kimmel, che replica: “Il mio sì. Allora vieni a dare il premio, dài”. Cena si trascina al centro del palco, con gli attributi coperti dalla busta e un paio di Birkenstock (!) ai piedi: “I costumi (pausa e risate) sono la cosa più importante che esista. Ehm, io però penso di non poter aprire la busta”. Tra le migliori gag degli ultimi anni, citofonare Margot Robbie per credere.

FLOP:

Wes Anderson is missing

 

 
 
 
 
 
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La meravigliosa storia di Henry Sugar, il magnifico corto di Wes Anderson basato su Roald Dahl, ha vinto l’Oscar nella sua categoria. E il regista, giustamente, non si è presentato a ritirarlo. “Congratulazioni a Wes per il suo Oscar. Lui è a casa a costruire un diorama fatto di velluto a coste”, sottolinea pure Kimmel. Non è – direte voi – un comportamento tipico del texano più elegante di sempre: magari sta finendo la pre-produzione del suo nuovo film, o forse ha il Covid, era davvero impossibilitato, aveva il certificato, che ne sappiamo. Di certo la statuetta suona un po’ come un contentino a uno degli Autori più Autori del cinema contemporaneo, nominato per sette Oscar (otto con questo) e per il quale l’Academy deve avere un’idiosincrasia (un po’ come per Nolan prima di Oppenheimer). Al prossimo film, Wes: prima o poi ce la faranno.

TOP:

Messi, Very Important Pup

 

 
 
 
 
 
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C’era un cane in prima fila al Dolby Theatre, ma non parliamo di un attore. L’ospite peloso che ammicca, guarda in camera e addirittura applaude (!) è Messi, il border collie bianco e nero dagli occhi azzurrissimi di sette anni protagonista di Anatomia di una caduta. Più inquadrato di Bradley Cooper, più applaudito di Billie Eilish, più memabile di John Travolta: la star indiscussa della serata. Con tanto di delizioso papillon. Kimmel gli chiede pure di fare pipì sulla stella di Matt Damon (feud!) sulla Walk of Fame. Altro che il jack russell di The Artist.

FLOP:

In Memoriam o concerto dei Bocellis?

 

 
 
 
 
 
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Va bene cercare di muovere, dal punto di vista dello spettacolo, uno dei momenti più inamovibili della serata degli Oscar: il rullo “In Memoriam” dedicato ai nomi del cinema che ci hanno lasciato nell’ultimo anno. Lo si è fatto nelle varie edizioni, specie ultimamente, coinvolgendo diversi artisti per dare più calore a quell’omaggio (vedi Lenny Kravitz nel 2023). Ma quest’anno hanno voluto strafare: quartetto d’archi, ballerini e non uno, ma due Bocelli. Andrea e il figlio Matteo cantano Con te partirò (con detour nella versione inglese), amatissima dagli americani. Ma il rischio è che il troppo spettacolo tolga spazio al consueto raccoglimento di fronte alle immagini che scorrono sullo schermo. E da cui spesso si stacca proprio per riprendere Bocelli Senior e Junior. Ehm…

TOP:

La politica che fa bene al cinema

 

 
 
 
 
 
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“Ci sono persone che stanno compiendo un’occupazione devastante per moltissime persone innocenti. Le vittime del 7 ottobre e quelle degli attacchi a Gaza sono vittime della disumanizzazione”, prima c’è Jonathan Glazer a dire la sua sul conflitto israelo-palestinese. E, nel discorso per la vittoria della Zona d’interesse come miglior film internazionale, non c’è l’ombra di una forzatura, è tutto naturalissimo, semplice e diretto; europeo, per così dire. Lo stesso vale per Cillian Murphy, l’uomo che inventò l’atomica per Nolan: “Vorrei dedicare questo riconoscimento a chi porta la pace, ovunque nel mondo”. E vale una volta di più per le parole di Mstyslav Chernov, premiato per il miglior documentario 20 Days in Mariupol (devastante): “Questo è il primo Oscar per la storia del’Ucraina e ne sono onorato, ma potrei essere il primo regista a dire: vorrei non aver mai fatto questo film, se potessi darei questa statuetta in cambio di una non invasione del nostro territorio da parte della Russia. Vorrei chiedere ai russi di rilasciare gli ostaggi”. Guardate il suo film, perché dice tutto. Anche quello che non si riesce a dire. Nella notte in cui vince il film sull’inventore della bomba, tutti parlano di pace. Perché, ancora Chernov, “il cinema forma la memoria e la memoria fa la Storia”.

FLOP:

No surprises

 

 
 
 
 
 
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Tranne forse una: Emma Stone che – con vestito rotto sulla schiena “per colpa di I’m Just Ken” (si è alzata a ballarla e cantarla come tutti) – vince il suo secondo Oscar per il ritratto di Bella Baxter in Povere creature! di Yorgos Lanthimos. Sia chiaro: era l’attrice che quest’anno lo meritava più di tutte, ed è anche una favourite (pardon) dell’Academy (e anche di molti pronostici, compreso il nostro). Ma per ragioni, diciamo così, politiche sembrava che quest’anno sarebbe toccato alla pur bravissima Lily Gladstone di Killers of the Flower Moon. Ecco, nella serata che, come da previsione, ha visto trionfare Oppenheimer di Christopher Nolan (e tutti i vincitori attesi, soprattutto fra gli attori), il vero assente dal palmarès finale è stato l’ultimo capolavoro di Martin Scorsese, rimasto vergognosamente a bocca asciutta. Nemmeno la veterana Thelma Schoonmaker, che col suo montaggio rende un film di quasi quattro ore un’opera dal ritmo incandescente, è stata premiata. Per non parlare del compianto Robbie Robertson: un Oscar postumo alla colonna sonora sarebbe stato un tributo anche al cinema di Marty.

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Uno dei migliori numeri musicali nella storia dell’Academy? Probabilmente sì. Tra Diamonds Are a Girl’s Best Friend e un dopolavoro tra amici, Ryan Gosling si prende la scena, canta da Dio e fa cantare tutti (Greta e Margot in testa, of course). Ci sono il superproducer Mark Ronson, i Ken del film (da Kingsley Ben-Adir a Simu Liu), Slash, Wolfgang van Halen e un’atmosfera generale che – citando Ambra Angiolini in diretta su Rai 1 – pare “Fiorello, che fa ’sta cosa tutte le mattine”. Vincerà tra le canzoni Billie Eilish, anche lei protagonista di un momento musicale impeccabile ma più classico (come Robert Downey Jr. ha vinto come supporting battendo lo stesso Gosling). Ma questa sera è (anche) di Ken/Ryan, a ricordare a tutti il fenomeno che Barbie è stato.

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