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Oscar 2023: top e flop della serata

Dalla statuetta alla scream queen Jamie Lee Curtis (che ringrazia mammà, come la metà dei premiati) alle esibizioni di Rihanna e Gaga. Cerimonia più flash di sempre, e prima delle cinque tutti a nanna: alla grande
Jamie Lee Curtis con l'Oscar

Foto: Dania Maxwell/Los Angeles Times/Getty Images

FLOP:

Un Kimmel (troppo) da protocollo

Intendiamoci: Kimmel è Kimmel. Ma le mani in tasca stanno lì a dirci non tanto che non sa dove mettere i banshees e l’Inisherin (battuta sua, non ci saremmo mai permessi altrimenti), ma che stasera è, incredibile ma vero, un po’ impacciato. L’unica battuta che tutti aspettavamo – quella sullo schiaffo di Will Smith, ça va sans dire – arriva troppo tardi, e pronunciata in modo quasi imbarazzato: «Se qualcuno stasera commetterà un atto di violenza, gli verrà data una statuetta come miglior attore». Il resto è puro protocollo: gli ebrei a Hollywood (con siparietto starring Steven Spielberg e Seth Rogen), gli sceneggiatori di Hollywood che non hanno più idee (altra gag con Spielberg, “che ha dovuto scrivere un film su… Spielberg”, con riferimento all’autobiografico The Fabelmans), i divi di Hollywood che snobbano la cerimonia (leggi: Tom Cruise) e altre freddure for Hollywood people only. Va bene, ma è un po’ pochino. L’unico momento davvero buono è quando, alla fine, i ballerini indiani di RRR entrano in scena. Per spingerlo fuori.

TOP:

Ciao mamma guarda come mi diverto

«Mia madre ha 84 anni ed è a casa che mi sta guardando in tv: “Mamma, ho appena vinto un Oscar!”». Tutti in piedi sul divano per Ke Huy Quan, aka il ragazzino vietnamita di Indiana Jones e il tempo maledetto e dei Goonies che stava per mollare tutto e invece, quarant’anni dopo, rules: «Il mio viaggio è cominciato su un barcone. Dicono che queste storie sono da film, non è vero: questo è il sogno americano». Per chi ancora ci crede. Ma Everything Everywhere All at Once raddoppia e sbanca con i supporting (poi arriverà il resto): i plug anali tirano la volata a Jamie Lee Curtis. È praticamente un Oscar alla carriera perché da screen queen e icona dell’horror è sempre stata un po’ ostracizzata dai premi. Dolby Theatre in piedi, ma lei li redarguisce subito: «Fermi, che ho solo 45 secondi e avrei promesso che sarei stata brava». E pure Jamie, da meravigliosa nepo baby di un’altra epoca, pensa ai genitori (Janet Leigh e Tony Curtis): «Erano stati nominati in categorie diverse: be’ ragazzi, ho appena vinto un Oscar!». Passano un paio d’ore e tocca ai Daniels, che dedicano la statuetta per la miglior regia a mammà: «Ci hai creduto anche quando facevo dei film terribili o da bambino mi vestivo da drag», ricorda Scheinert. Per la serie “meglio tardi che mai”, il premio forse più dolce arriva per ultimo ed è quello di Michelle Yeoh: «È per tutte le mamme del mondo, perché sono le vere supereroine, senza di loro nessuno di noi sarebbe qui stasera. La mia ci sta guardando dalla Malesia, ti porto a casa l’Oscar!».

FLOP:

Bisogna saper perdere, però cheppalle

Per il secondo anno consecutivo, niente da fare per l’Italia. E fa incazzare, perché Le pupille, il corto di Alice Rohrwacher “spinto” da Alfonso Cuarón, è uno strepitoso kolossal in miniatura con delle piccole protagoniste meravigliose e delle Attrici maiuscole (Alba Rohrwacher e Valeria Bruni Tedeschi) e, soprattutto, una dedica alle ragazze cattive che poi cattive non lo sono mai. E invece, nonostante le ottime probabilità della regista, vince la dramedy An Irish Goodbye. Primo lancio di popcorn contro la tv in segno di protesta. Il secondo arriva pochi minuti dopo per il mancato Oscar ad Aldo Signoretti, nel team make-up and hairstyling di Elvis, alla quarta nomination. Questa volta la spunta la squadra di The Whale. Che ci sta eh, però la regia inquadra anche Austin Butler e, ecco, il lavoro di Signoretti & C. è chiaramente superlativo. Bisogna saper perdere, sì. Però cheppalle.

TOP:

Tanto pe' canta'

Quest’anno gli Oscar se la cantano e se la suonano come non mai. Queen Riri “si scomoda” per omaggiare Chadwick Boseman con un’esibizione annunciata (a differenza di qualcun’altra: vedi più avanti) e attesissima di Lift Me Up (da Black Panther: Wakanda Forever). E per l’occasione solenne abbandona anche il suo solito proverbiale scazzo, sostenuta da un’orchestrona black. Stacco sul proud (te credo) A$AP Rocky che brinda in platea.

“Mi esibisco, non mi esibisco”, “mi si nota di più se ci sono o se non ci sono”. Alla fine la dedica a Tony Scott cancella ogni tira e molla: Gaga si concede, ma struccata e con addosso una t-shirt nera; fa un’intro strappacuore (“tutti abbiamo bisogno di eroi e possiamo essere gli eroi di noi stessi, anche se siamo spezzati”) e canta Hold My Hand (from Top Gun: Maverick) in una versione unplugged un po’ improbabile. Pazzissima, e ci piace così. La quota weird è courtesy of David Byrne, Son Lux e Stephanie Hsu con This Is a Life (da Everything Everywhere All at Once) e le hot dog fingers di Michelle Yeoh; la pratica ballatona old school è invece sbrigata da Diane Warren feat. Sofia Carson con Applause (dal femminile e corale Tell It Like a Woman). E poi arrivano i ballerini di RRR per Naatu Naatu, che infiamma il Dolby: Sette spose per sette fratelli à la Bollywood. Che riesce nel colpaccio e strappa l’Oscar praticamente di mano alle due popstar più popstar su piazza. Entering meme con broncio di Rihanna.

FLOP:

Elvis & C. snubbed

Sia chiaro: Brendan Fraser si merita questo Oscar al 100% (ma, come dice la nostra recensione, si sarebbe meritato anche un film migliore di The Whale). Diciamolo forte e chiaro, però: questo era l’anno di Austin Butler e del suo Elvis, senza se e senza ma. Il film di Baz Luhrmann, nonostante le otto candidature, resta a bocca asciutta, e così il suo protagonista. Una cosa dispiace più di tutte: con Austin Butler, a star is born. E nella serata in cui si premia un film a vocazione indie che vuole riscrivere la regole del mainstream hollywoodiano come Everything Everywhere All at Once, spiace vedere che si va invece sul sicuro in quanto a performance (quantomeno quella maschile). Ma si sa che l’Academy gongola quando a star is reborn. E questo è proprio il caso del pur bravissimo Brendan. Pure The Fabelmans, TÁR e Gli spiriti dell’isola tornano a casa a mani vuote per effetto dello tsunami Everything Everywhere All at Once. Anche se la marcia trionfale era ampiamente prevista.

TOP:

Sposerò Hugh Grant

Prima, durante il red carpet, l’intervista per molti cringe, per tutti viralissima, per noi in grado di demistificare qualsiasi inutile prendersi sul serio da tappeto rosso: Hugh Grant, interpellato dalla modella-turned-conduttrice Ashley Graham, alla domanda “di chi è lo smoking che indossi?” risponde “mio”, à la Nino Frassica; e a quella successiva – cioè: “ti sei divertito a interpretare Glass Onion?” – replica con un secco (e sacrosanto) “sto in scena solo per tre secondi”, come a dire “ma il film l’hai visto?”. Poi, affiancato sul palco del Dolby Theatre dalla meravigliosa collega di Quattro matrimoni e un funerale Andie Macdowell, dichiara che lei è ancora bellissima “perché per vent’anni ha usato tutti i giorni una buona crema idratante, mentre io sembro uno scroto”. Dall’Inghilterra con furore. Per sbeffeggiare, con piglio e cipiglio deliziosamente europei, l’ipocrisia e l’ingenuità born in the USA. Grazie di esistere, bro.

Bonus, TOP:

Fast & (not) Furious

Il paradosso, o l’ironia della sorte, o quel che volete: nell’epoca in cui i film sono tutti e solo extralarge (basti guardare i minutaggi dei titoli candidati quest’anno), gli Oscar hanno capito che devono restringersi. A dispetto dei suoi 95 anni di vita e della liturgia cerimoniale pomposa e interminabile che gli Academy Award hanno sempre messo in scena, questa edizione pare la più svelta da molti anni a questa parte. Si parte all’una ora italiana, e già è un’ottima notizia. Le clip delle pellicole o delle performance nominate sono brevissime (brava Academy, finalmente hai capito che chi segue ’a nuttata dall’inizio alla fine è un nerd che quei film li conosce benissimo) e, in generale, si evitano tutti i possibili tempi morti. Alle 4:40 tutti a nanna. Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. Anzi, nuovissimo.

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