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‘Orlando, My Political Biography’: lettera a Virginia Woolf, che aveva capito tutto

Lo scrittore trans Paul B. Preciado esordisce alla regia per indagare la “biografia politica” sua e di tutti gli/le Orlando del mondo. Tra i titoli di punta del Filmmaker Festival di Milano

Foto: Fandango

“Christine Jorgensen, la prima donna trans apparsa nei media, era una montatrice di film, prima di perdere il lavoro in seguito alla transizione. Diceva che essere trans significava avere la possibilità di montare diversamente il film della sua vita”. Lo racconta Paul B. Preciado, scrittore, intellettuale, attivista, e trans. Il film è Orlando, My Political Biography, è il suo esordio alla regia, ed è uno dei titoli di punta del Filmmaker Festival di quest’anno, in programma dal 17 al 27 novembre a Milano (nelle sale arriverà il 28 marzo con Fandango).

Quelle frasi su Christine Jorgensen, che arrivano alla fine del film, smontano e rimontano letteralmente tutto. Ribaltano la visione della Storia dei diritti trans come l’avevamo vissuta fino ad oggi. I trans sembravano sempre arrivare da lontano, dice sempre Preciado nel film a proposito di Jorgensen e di Coccinelle, altra figura chiave per comprendere l’evoluzione della cultura trans del ’900; le mostravano mentre scendevano da aerei che le riportavano a casa dopo le operazioni sempre avvenute altrove, in posti esotici, come se tornassero da un altro pianeta, come se su questa Terra non fosse possibile essere quello che erano – e difatti non lo era.

Orlando è quell‘Orlando di “quella stronza di Virginia Woolf” (sempre Preciado), una nessuna centomila facce della stessa natura multiforme o mutaforma, o forse la forma era – è – sempre la stessa, siamo stati noi, nel tempo, a voler etichettare – a voler ancora etichettare – chi era prima e chi è diventato/a dopo, cosa rappresenta, quanti generi ha cambiato. Orlando è sempre Orlando, è la metamorfosi che comincia dalla poesia, passa per l’amore, e poi da una transizione vera e propria, anche se, almeno nel romanzo, immaginifica, come fosse avvenuta dentro un sogno.

E dunque Preciado, a “quella stronza” che aveva capito tutto, scrive una lettera, una lettera personale e collettiva da parte sua e di tutti gli/le Orlando del mondo, tantissimi anche in questo film: “Mi chiamo XY, e recito la parte di Orlando di Virginia Woolf” è il modo in cui si presentano i tanti protagonisti di questa storia, la storia che li accomuna tutti e tutte, allo spettatore.

Un’immagine di ‘Orlando, ma biographie politique’. Foto: Fandango

Quello di Preciado è un Orlando classico, con la gorgiera elisabettiana, ma inserito nel tempo sociale e digitale di oggi. Il tempo che da un lato ha riconosciuto i diritti di Orlando (“ho visto il mondo in cui esisteva solo l’eterosessualità normativa”, dice Emma, uno dei tanti veri/finti Orlando del film, “ma anche quello di oggi in cui possiamo finalmente essere chi siamo”), ma che dall’altro ancora esclude, lascia in pasto alle fobie, disconosce quegli stessi Orlando, come fossero ancora abitanti di un pianeta lontano, non certo il nostro.

“Coccinelle e Martha P. Johnson devono aver costruito i loro corpi e le loro vite come altri hanno costruito cattedrali”, dice un altro Orlando di questa Biographie politique. La vita come opera d’arte, come racconto, come artificio però realissimo, evidente, sostanziale. E infatti, sempre nel finale, ad essere operato non è un corpo, ma il romanzo stesso di Virginia Woolf, profezia e sortilegio, bibbia e spauracchio ancora, per gli ottusi di oggi. Una storia da smontare e rimontare, come fa Preciado, come fa il cinema, come dovrebbe fare la società coi suoi stessi pregiudizi, che “quella stronza” – con la poesia, con l’amore – ci aveva insegnato a levare di torno già un secolo fa.

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