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Avrebbero compiuto 90 anni oggi. Entrambi. Insieme. Due attori che più diversi forse non avrebbero potuto essere, ma tutti e due innovatori, liberi, <em>unapologetic</em>. Rappresentanti di un cinema che stava cambiando, che si stava reinventando. Il nostro, Gian Maria Volonté, nato nel western cult <em>by</em> Sergio Leone e diventato poi icona politica come nessun altro collega. Il “gemello” francese, Jean-Paul Belmondo, complice con Godard della rivoluzione Nouvelle Vague e poi pure lui rimasto “sui generi(s)”, nel solco noir-poliziesco che aveva visitato fin dall’inizio. Li abbiamo messi a confronto. E abbiamo raccolto i loro ruoli cult. Morale: due divi nati lo stesso giorno nella nostra epoca potrebbero fare un cinema così grande? Spoiler: no. <br /> <br /> Foto: Rino Petrosino/Mondadori via Getty Images; Pierre Vauthey/Sygma/Sygma via Getty Images
In principio, dopo il teatro e qualche piccola partecipazione a peplum e film di guerra minori, fu lo spaghetti western. Ma con quello che poi sarebbe diventato il <em>king</em> assoluto del genere: Sergio Leone. In <em>Per un pugno di dollari</em> (1964), Volonté accetta inizialmente di farsi chiamare con il nome d’arte di John Wells (!) e diventa il mitico Ramón Rojo, protagonista del leggendario duello contro Joe/Clint Eastwood. Un anno dopo, è la volta di <em>Per qualche dollaro in più</em>, dove incarna “El Indio”. Il nostro sembra un perfetto attore “di genere”. E poi invece…
Anche la carriera di <em>le magnifique</em> parte dal teatro, con Molière e Rostand. Ma subito dopo due titoli già importantissimi – <em>A doppia mandata</em> (1959) di Claude Chabrol e <em>La ciociara</em> (1960) del nostro Vittorio De Sica – , la consacrazione arriva con Godard, che sceglie Belmondo come volto della sua rivoluzione nel manifesto della Nouvelle Vague. Michel Poiccard è un antieroe moderno, un piccolo criminale che vuole una vita spericolata e corteggia (un’altrettanto meravigliosa) Jean Seberg su e giù per gli Champs-Élysées, ma è l’interpretazione di Jean-Paul che incendia il film. Cappello in testa, sigaretta e broncio d’ordinanza, Belmondo trova quell’attitude ironica e anticonformista che lo proietta nella Storia del cinema.
Dopo titoli chiave come <em>L’armata Brancaleone</em> di Monicelli (1966), <em>A ciascuno il suo</em> di Petri (1967), <em>Banditi a Milano</em> di Lizzani (1967) e <em>Sotto il segno dello Scorpione</em> dei Taviani (1969), è proprio Elio Petri a offrirgli il ruolo che svolta la sua carriera. Il poliziotto corrotto (di più: assassino) detto “il Dottore” è la maschera che tiene insieme il cinema di genere degli inizi e quello politico che caratterizzerà la fase cruciale della maturità. Grand Prix a Cannes e Oscar come miglior film straniero: è ufficialmente nata una stella (anche internazionale).
Proprio grazie al successo di <em>Fino all’ultimo respiro</em>, Sautet pensa a Belmondo per questo polar melvilliano, che considerava a tutti gli effetti la sua opera prima. A fianco di un grande Lino Ventura nei panni di un gangster condannato a morte che cerca di sfuggire alla polizia (e a una giovanissima e ottima Sandra Milo), Jean-Paul interpreta ancora una volta la parte del delinquente che però – in fondo – è un “bravo ragazzo”: con il personaggio di Eric Stark, l’attore tira fuori tutta la sua vena drammatica, tra inquietudine e malinconia. E conquista definitivamente la critica, prima della svolta pop.
Altro giro, altro cult firmato Elio Petri. Da “padrone” a “operaio”, Volonté si trasforma in un altro (anti)eroe del suo tempo: è lo stakanovista della fabbrica che decide di ribellarsi al sistema capitalista, ma che finisce per restarne inevitabilmente schiacciato. Nello stesso anno di <em>Sacco e Vanzetti</em> di Montaldo, Volonté diventa il simbolo dell’ingiustizia, nell’Italia che reagisce al ’68 e si prepara ad affrontare gli Anni di piombo. Ancora Grand Prix a Cannes: il nostro è sempre più paradigma del cinema italiano <em>engagé</em> anni ’70.
Belmondo lavora ancora con il maestro delle Nouvelle Vague per <em>La donna è donna</em> (1961). Poi ci saranno un paio di Melville (in realtà tre: <em>Léon Morin, prete</em>, <em>Lo spione</em> e <em>Lo sciacallo</em>, tratto da Simenon), il cappa e spada <em>Cartouche</em> di Philippe de Broca, che lo dirige ancora nell’<em>Uomo di Rio</em>, ma pure la strana coppia con Jean Gabin in <em>Quando torna l’inverno</em> per mano di Verneuil, con il quale gira anche <em>100.000 dollari al sole</em>). Alla fine Jean-Paul torna di nuovo alla corte dell’amato Godard per <em>Il bandito delle 11</em>, sequel ideologico di <em>Fino all’ultimo respiro</em> e caleidoscopio anarchico ed altissimo di citazioni cinematografiche, pittoriche e letterarie, di cui Belmondo (affiancato da Anna Karina) è espressione totale. Un vortice pop-art che esplode anche sul volto di Belbel.
Un anno più tardi – e prima di altri titoli uno in fila all’altro che non possiamo non citare: <em>Sbatti il mostro in prima pagina</em> di Bellocchio, <em>Lucky Luciano</em> di Rosi, <em>Giordano Bruno</em> di Montaldo, <em>Todo Modo</em> di Petri, <em>Cristo si è fermato a Eboli</em> ancora di Rosi – è proprio il maestro del cinema politico nostrano a dargli un altro dei ruoli della vita: quello di Enrico Mattei, presidente dell’ENI morto in circostanze sospette (un attentato? sì) nel 1962. <em>Cinéma vérité</em> tra cronaca e denuncia poco capito all’epoca, e poi fortunatamente rivalutato: giustizia è stata, letteralmente, fatta.
Hollywood corteggia Belmondo, che però preferisce il cinema francese ed europeo, con registi come Louis Malle, Claude Lelouch e François Truffaut, per il quale recita in <em>La mia droga si chiama Julie</em> (1969). Quando gira <em>Borsalino</em> di Jacques Deray è già uno dei divi più popolari in patria. Tra commedia brillante e gangster movie, questa scalata di due piccoli malavitosi che hanno grandi ambizioni nella Marsiglia degli anni ’30 ebbe un successo clamoroso al botteghino. La faccia da schiaffi e l’appeal scanzonato di Belbel fanno il paio con il volto cesellato e l’aura da angelo maledetto di Alain Delon. Ma come porta il Borsalino stropicciato Belmondo nessuno mai.
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