Lo spartito di Lydia Tár | Rolling Stone Italia
Ma che musica, maestra

Lo spartito di Lydia Tár

‘TÁR’ di Todd Field, con una Cate Blanchett da (terzo) Oscar, usa il sonoro come “personaggio” cardine della storia. Da Mahler al ruolo della compositrice Hildur Guðnadóttir, un’analisi approfondita di questo lavoro incredibile

Lo spartito di Lydia Tár

Cate Blanchett in ‘TÁR’ di Todd Field

Foto: Universal Pictures

Immaginiamo di aprire uno spartito per la prima volta non conoscendone né la strutturazione né la struttura compositiva: l’armatura in chiave ci indicherà in che tonalità siamo; le battute e le conseguenti pause il tempo di quello che ci verrà mostrato; il continuo rispondersi tra enigma e risposta la strutturazione tonale e, infine, un tema sonoro che possa risolversi o rimanere sospeso senza rivelare la sua conclusione.

In TÁR ogni elemento è musica: il ritmo, lo spazio, la conformazione dei personaggi distribuita quasi come la strutturazione di un’orchestra. Aprendo questo spartito per la prima volta, notiamo come Lydia Tár sia l’archetipo perfetto di chi ha costruito attraverso l’arte un’immagine perfetta di sé, un corpo che emana musica al solo flettersi delle mani. Come diceva Leonard Bernstein: “Quel movimento può dirci molto di più sul modo in cui ci sentiamo di quanto possano fare un milione di parole”. Il tempo è la parte essenziale dell’interpretazione: sei sia carnefice che vittima, nella conduzione di un’opera.

Già solo assistendo alla prima sequenza del film abbiamo abbastanza elementi per conoscere la vita artistica della protagonista, le onorificenze ricevute, il suo ruolo come prima e unica donna direttrice della Filarmonica di Berlino e la sua attività filantropica per garantire ad ogni collega la possibilità di formarsi come direttrice in alcune delle più grandi orchestre del mondo. Ma c’è un tema sonoro che non si risolve, resta lì, imperfetto e sospeso. Chi è Lydia Tár?

La storia si legge attraverso l’enunciazione dello spartito in una serie costante di domande e risposte. Tár cerca di non scindere l’artista dalla sua arte per difendere se stessa? Il fine puramente artistico può giustificarne i mezzi con cui lo si ottiene? L’immaginario legato al mondo della musica classica diventa l’espediente per Todd Field per raccontare il perenne disequilibro tra la perfezione artistica e la non perfezione umana. Il raggiungimento della perfezione unicamente come potere artistico a discapito di quello umano.

Molti dei compositori che hanno segnato per sempre la storia della musica classica hanno seguito il loro percorso artistico in maniera perfetta ed illuminante, ma lo stesso non si può dire per la loro sfera privata. Tár non si cura di questo, il suo obiettivo è quello di stabilirsi nell’olimpo dei più grandi, così come accaduto per il suo mentore Leonard Bernstein. Raggiungere come donna i suoi padri fondatori prendendone onori ed oneri.

Cate Blanchett nel ruolo di Lydia Tár mentre dirige la Filarmonica di Berlino. Foto: Universal Pictures

Come spiegato da Cate Blanchett al Washington Post, Lydia Tár diventa l’artefice della sua stessa rovina: «La vediamo in un momento in cui sta arrivando alla fine di un movimento creativo della sua vita, quindi si sta concentrando sull’eredità che lascerà. E penso che come artista, quando inizi a pensare alla tua eredità, è lì che sta la tua fine. Ma, parallelamente a ciò, penso che parte del potere di un direttore d’orchestra, e della sua autorità di dominare l’enorme strumento umano che è un’orchestra, sia la sua personalità. Quindi devi bilanciarlo».

La costante attenzione verso una divinazione attraverso l’arte, tuttavia, l’ha portata sin qui. Sebbene Field implichi che l’ascesa della carriera di Tár abbia notevoli scheletri nell’armadio, non mette mai in discussione le sue capacità di direzione. La sua capacità di manipolare il tempo, le emozioni, l’attenzione e il suono la rende formidabile sia dietro le quinte che dietro il leggio. I coetanei invidiosi bramano non solo il suo status, ma anche le sue intuizioni creative. Forse la cosa più importante è che una filosofia artistica coerente è alla base del suo lavoro, così come della sua eventuale caduta.

Secondo questa filosofia, per Spencer Kornhaber, giornalista di The Atlantic, dirigere è un atto di empatia. Tár usa il termine ebraico kavvanah, coniato dal suo maestro Bernstein, riferendosi alla divinazione del significato sacro per spiegare, ad esempio, perché la comprensione della Quinta sinfonia di Gustav Mahler richieda la comprensione del suo “matrimonio molto complesso”. Essere fedeli a un’opera, sostiene, significa entrare nelle intenzioni, nella biografia e persino nell’anima del suo creatore. Lydia Tár vuole leggere la sua ultima parte di vita artistica attraverso quella di Mahler, registrando dal vivo la sua Quinta sinfonia così come accaduto per pochissimi eletti e completandone il ciclo con un’unica orchestra con cui aveva già registrato le precedenti nove.

In una lezione per giovani e aspiranti direttori d’orchestra alla Juilliard, Tár, scontrandosi con un allievo restio a suonare Bach per la sua misoginia, analizza come il ruolo di un artista nel mondo non possa essere ridotto al suo Paese di nascita, religione o orientamento sessuale. “Su quali criteri sarà valutata la tua maestria come direttore d’orchestra, se questi sono quelli su cui ti basi?”. Mentre la sequenza viene scandita da uno spartito unicamente ritmico derivato dal battere nervosamente delle gambe dell’allievo sul pavimento, con un battito perpetuo senza logica, la direttrice spiega come lo spartito debba rivelare molto più di quanto ascoltiamo, cosa si sta effettivamente componendo, il ritmo che cadenza la storia dietro la scrittura di una sinfonia. Scavare all’interno della personalità di un compositore deve essere puramente artistico e non etico. La musica che scrive rappresenta chi è nelle sue molteplici forme, non la sua vita. È sempre la domanda insita nella composizione che coinvolge lo spettatore, non la risposta.

“Devi stare davanti al pubblico e a Dio annientando te stesso. La nostra unica casa è il podio. C’è etica nella conduzione orchestrale? La conduzione non è democratica. Devi sublimare te stesso, il tuo ego, e sì, la tua identità”. Il battito cardiaco di Tár diventa lo spirito sonoro che accompagna il film, nella sua strutturazione pentagrammatica. Il direttore deve essere un metronomo umano capace di riequilibrare attraverso la musica il battito vitale di ogni singolo essere umano. Nella conformazione sonora ed acustica della narrazione, diventa così fondamentale inquadrare gli aspetti intrinseci di ogni singolo personaggio lavorando sul proprio e personale aspetto ritmico dato dal cuore. È Lydia Tár a governare il tempo e lo spazio del film attraverso le sue mani, dirigendo lo spartito che sta cercando di interpretare.

Tár | Lecture Scene | Separating the Art from the Artist

Per Todd Field è stato chiaro fin da subito che l’aspetto musicale doveva essere il centro ritmico del film, la chiave di volta nella narrazione, e in questo è stato fondamentale in primis la scelta della compositrice premio Oscar Hildur Guðnadóttir, capace di inquadrare fin da subito che ogni caratteristica della storia andava scandita da un ritmo singolare per ogni membro dell’orchestra. Ogni personaggio ha un tempo. Lydia Tár cammina a 120 battiti al minuto così come la giovane violoncellista russa Olga Metkina, interpretata da Sophie Kauer, cammina a 60 battiti al minuto. Le persone senza anima musicale per Lydia Tár sono come dei robot, non hanno battito. Non c’è gloria per un robot.

Questa scelta acustica, basata anche su un ricerca scientifica che dimostra come Beethoven soffrendo di aritmia cardiaca abbia inserito il ritmo dei suoi primi battiti ventricolari nella sonata Les adieux facendoli diventare dei motivi ritmici distintivi della sua musica, rappresenta l’elemento cruciale per Guðnadóttir per spiegare come «fosse così interessante analizzare il funzionamento interno di com’è fare musica come musicista, come sei influenzato dal tempo, dal tuo tempo interiore, dalla tua conversazione interiore, che stai avendo con te stesso durante il processo, come la musica si insinua sotto la tua pelle. Questa è una parte così interessante del processo compositivo da non essere quasi paragonabile al prodotto finito».

«Ci sono molte cose che provi durante il film che non percepisci davvero, sia a livello visivo che uditivo, ma hanno ugualmente un effetto su di te, la stessa cosa avviene in musica», continua la compositrice. «Puoi spiegare cosa sta succedendo nel registro di frequenza delle note che stai ascoltando, puoi comprenderne l’intensità del tono, ma non puoi spiegare completamente cosa succeda a livello interiore quando ascolti una determinata composizione. Il suono, la musica, il rumore convivono unilateralmente all’interno del film. E si spera che a livello cosciente tu non ne sia consapevole».

«Quando lavori con un’artista come Hildur», spiega Field a Composer, «non si limita ad ascoltare il tuo punteggio temporaneo. Volevamo capire in anticipo come utilizzare tutta la musica che avevamo a disposizione tra quella composta ed edita, quindi ho incontrato Hildur prima ancora di impostare il lavoro con la mia troupe. Nella nostra prima conversazione mi ha chiesto cosa stessi ascoltando mentre scrivevo la sceneggiatura. Era Mahler? Era il Concerto di Elgar? Stavo ascoltando Henryk Górecki. Mi ha chiesto “Quale opera di Górecki?”, e io l’ho suonata per lei. E lei allora mi ha detto: “Adoro quel pezzo. Sono 120 battiti al minuto”. E io ho detto che lo si sarebbe potuto intitolare “la marcia di Tảr”. Quello sarebbe stato il suo ritmo interno. Quindi lo abbiamo esaminato e abbiamo mappato il tempo di tutti gli altri personaggi. Poi Hildur ha portato l’orchestra contemporanea di Londra a Berlino, e hanno registrato la musica semplicemente per la riproduzione sul set per gli attori, il che significa che non sarebbe mai stata ascoltata come colonna sonora, ma come la musica interiore di Lydia Tár».

«C’è molta musica diegetica in TÁR», continua il regista. «Ogni singola cosa che vedi, che sia Cate che suona Bach al piano o mentre dirige Sophie Kauer che suona con il violoncello, è in tempo reale. Quello che vedi è quello che stai ascoltando. Non c’è testo alternativo. Non c’è riproduzione. È tutto reale. Se hai dei personaggi che fanno musica, come potresti osservarli al meglio per cercare di sottolinearne le loro vite?». Field ha preso indicazioni dal direttore d’orchestra e autore John Mauceri e ha lavorato a lungo con la Filarmonica di Dresda, e Blanchett ha tenuto dei corsi accelerati con la direttrice Natalie Murray Beale. La sua performance suggerisce che non solo ha assorbito le lezioni su ciò che avviene sul podio, ma anche il peso della storia che grava sulla sua testimonianza musicale come direttrice, ed è li che risiede la melodia sospesa di cui parlavamo all’inizio.

Perché scegliere proprio la Quinta sinfonia di Mahler? Secondo il giornalista del Guardian Phil Hebblethwaite, risiede proprio in quella decisione il vero colpo di scena del film: «In TÁR si discute molto sulle diverse lunghezze con cui i direttori suonano il famoso quarto movimento della sinfonia, l’Adagietto. È un’opera aperta, pronta per un’interpretazione individuale e perfettamente adatta a un film che non fornisce risposte facili. Mahler ha incontrato e sposato sua moglie Alma, anche lei compositrice, mentre scriveva la sua Quinta sinfonia. L’Adagietto è la sua lettera d’amore, ma non è sempre stato percepito così. Nel 1968, Bernstein diresse l’Adagietto al funerale di Robert F. Kennedy, eseguendolo come “una messa funebre”, come dice Tár. Dopo il funerale del cognato, Jackie Kennedy scrisse a Bernstein: “Quando il tuo Mahler ha iniziato a riempire la cattedrale oggi, ho pensato che fosse la musica più bella mai sentita”. Tale è il potere della Quinta di Mahler, un pezzo che rinasce ogni volta che nuovi ascoltatori lo incontrano». Cosa che ammette anche Lydia Tảr durante l’intervista con il New Yorker.

TÁR - "You Cannot Start Without Me" Official Clip - Now In Select Theaters, Everywhere October 28

Lo stesso elemento lo si ritrova anche nella scelta di accompagnare alla Quinta di Mahler il Concerto per violoncello di Elgar. «Elgar iniziò a scrivere il suo Concerto per violoncello all’indomani della Prima guerra mondiale», spiega Hebblethwaite. «La carneficina della guerra lo aveva colpito profondamente e la sua amata moglie Alice era malata. Era solo, depresso, e non avrebbe continuato a scrivere un altro importante lavoro orchestrale. Più tardi, preparando un catalogo della sua musica, accanto al Concerto scrisse Finis RIP, anche se visse altri 15 anni e pubblicò molti altri pezzi più piccoli. Il concerto autunnale è considerato un lamento per la guerra, ma forse Elgar stava scrivendo un requiem per la propria morte. In questo senso, non potrebbe adattarsi più perfettamente all’arco narrativo di Field per Lydia Tár mentre inconsapevolmente orchestra la propria scomparsa».

TÁR sembra seguire la discesa della sua protagonista dal potere supremo alla quasi irrilevanza, con la sua carriera e la sua vita privata distrutte da una serie di accuse di cattiva condotta. Allora perché mettere la Quinta di Mahler al centro di questo psicodramma? Field ha detto al Los Angeles Times che «il primo movimento della Quinta riguarda la morte, e Lydia sta attraversando una sorta di morte artistica, una morte personale e una potenziale rinascita. È quasi come se la morte la stesse perseguitando, come se stesse arrivando proprio per lei. Mahler era un revisionista ossessivo, È un brano musicale che è ancora in lavorazione, quindi è adatto a questo film in quanto l’artista sta ancora cercando di riprodurre la sua opera più personale attraverso il suo unico spartito emotivo». A tal proposito, durante il suo allontanamento dalla Filarmonica di Berlino il clarinettista Knut sembra mettere quasi fine alla sua carriera segnando sullo spartito il simbolo che indica la fine di una parte sul pentagramma.

Con un percorso così accurato dal punto di vista sonoro e musicale, sorprende come un film di questa caratura, con un comparto sonoro che detta letteralmente il ritmo e la narrazione del film, sia stato completamente snobbato dall’Academy nei premi artisti e tecnici che riguardano il sonoro. Scavare nell’animo umano attraverso un sound design introspettivo mostra realmente la funzione musicale del personaggio all’interno della storia più di qualunque altro effetto sonoro. TÁR è un film sulla musica e per la musica, ed è ora che anche l’Academy si accorga che il sound design non è solo “rumore” in uno spazio interattivo. TÁR ci fa fare esperienza del mondo proprio attraverso il suono.

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