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L’ignoto, il buio, la verità: la colonna sonora di ‘Blonde’ firmata Nick Cave e Warren Ellis

Per il film di Andrew Dominik, con protagonista Ana de Armas nei panni di Marilyn Monroe, il duo di compositori firma una delle sue soundtrack più ricche e complesse. Un’analisi del loro mondo cine-musicale

Foto: Netflix

«Nick e Warren sono entrambi uguali e completamente diversi allo stesso tempo. C’è un coraggio nell’affrontare l’ignoto, sia nella vita che in modo creativo, la volontà di mettersi in situazioni in cui sono vulnerabili e la convinzione nella forza di tutto questo». Parole di afferma Andrew Dominik, regista che più di tutti custodisce la forma del processo creativo di Nick Cave e Warren Ellis, narrato sia nei documentari One More Time with Feeling e This Much I Know to Be True che nella lavorazione per la colonna sonora originale dei suoi film come L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford e, ora, Blonde.

La visione sonora di Nick, ampliata dal suo fido collaboratore Warren, si fonde tra divino e spiritualità, come scrive Darcey Steinke su Pioneer Works: «Come ogni fede sincera, la teologia di Nick Cave è sia alimentata dal dubbio sia in continua trasformazione. Le sue composizioni, come i salmi, non sono nichiliste, ma agiscono da contrappeso all’ottimismo della nostra cultura, che nega l’oscurità che tutti noi siamo chiamati ad affrontare. Nella musica di Cave l’oscurità non si trasforma in luce, ma l’oscurità è condivisa come fosse un atto di fiducia con chi ascolta».

Le storie che traducono in immagine sonora corrispondono a una versione in pellicola della parabola che Cave ha vissuto per tutta la sua carriera raccontando, prima e dopo le tragedie che hanno infranto la sua vita personale, delle nostre uguali capacità di crudeltà e amore, e della tremolante possibilità di salvezza in un mondo brutale. Come analizzato da Nick Cave in una recente intervista al New York Times: «Il valore morale dell’arte non si basa su ciò che riguarda l’arte. L’arte che osservo oggi sta semplicemente affermando il moralmente ovvio e non è, a mio avviso, edificante. Spesso a malapena vale la pena guardarla. È la spinta del bene e del male che esiste al suo interno, metafora della nostra stessa vita».

A partire dal Cielo sopra Berlino, in cui, attraverso la performance musicale di From Her to Eternity, si connette all’angelo Damiel, ormai sempre più convinto nel preferire l’esistenza umana a quella angelica, Nick Cave aggiunge al capolavoro di Wenders la sensazione di far sentire gli umani gli angeli e gli angelici gli umani, mostrandosi come una sorta di antiangelo «in gilet nero e camicia rosso sangue», come analizzato nel saggio di Darcey Steinke già citato: «L’intenzione del film, a questo punto, non è quella di alienare, ma la musica funziona come un’espressione stridente del caos terreno, in netto contrasto sia con il distacco angelico che lo ha preceduto sia con la scoperta di una nuova trascendenza nell’amore che ne consegue».

Elemento che ritroviamo anche in The Road, un epico racconto post-apocalittico tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, sulla sopravvivenza di un padre e del suo giovane figlio in viaggio attraverso un’America sterile distrutta da un misterioso cataclisma, guidati unicamente dall’amore reciproco in cui ripongono ogni speranza; o nella figura di Jesse James, rappresentata da Cave ed Ellis come una figura eterea e crepuscolare nella sua solitudine distaccata, pronta ad essere tradita dal membro della sua banda, Robert Ford. La fragilità degli esseri umani descritti musicalmente da Nick Cave e Warren Ellis oscilla sotto il peso delle aspettative del mondo, sotto il peso e la responsabilità della loro stessa umanità o divinità, come nel caso degli angeli di Wim Wenders. «La storia della sofferenza e della rinascita va in scena tante e tante volte nella vita di tutti noi, ma credo che la maniera più splendida di catturarla sia la performance musicale».

Come sottolinea Andrew Dominik, che li ha studiati attentamente durante le riprese di This Much I Know to Be True, «la cosa più affascinante di Nick e Warren è la velocità con cui lavorano, e tuttavia spesso si trovano in uno spazio in cui non possono dire se quello che stanno facendo sia buono o meno. E il modo in cui avanzano attraverso quell’incertezza li porta in uno spazio molto fragile, che amano occupare e che deve essere negoziato con attenzione».

Per Warren Ellis, come ha dichiarato a The Quietus: «Questa è gran parte della lavorazione di tutte le colonne sonore che facciamo. Io e Nick dobbiamo sentire che devono stare in piedi da sole: non sono solo musica incidentale di un film. Molte colonne sonore possono essere molto deludenti se, ascoltandole, ci sono solamente uno o due pezzi che ricordi e che in realtà sono buoni e il resto sembra totalmente scollegato dal film. La nostra musica è fatta in un modo molto diverso, non viene mai strettamente collegata ad alcuni momenti del film, non facciamo 15 secondi di un certo tipo di musica per un certo momento, sono sempre pezzi completamente realizzati. Finiamo con pezzi completati che hanno un inizio, un centro e una fine».

Come spiegato dal giornalista del Guardian Marco Teague, le loro composizioni per il cinema non rappresentano il fragore fortemente caratterizzante dei The Bad Seeds, ma una solennità che attraversa paesaggi aridi e bucolici, costruiti attorno al pianoforte scheletrico di Cave e al tonfo inquieto di un’orchestra che si muove sotto lo strattone dell’arco grezzo e sintetico di Ellis. A questo proposito, colpisce come la figura di Nick Cave sia stata da sempre strettamente collegata al mondo cinematografico e visivo. La sua contemplazione e ricerca artistica si esprime per immagini, come testimoniano i numerosi oggetti raccolti per la sua rassegna personale Stranger Than Kindness, istantanee dei suoi attimi di vita, «sovrastruttura stralunata e incontrollabile che sorregge nel suo farsi la canzone, il copione o lo spartito», e la sua connessione con la Settima Arte si è sviluppata in molteplici vesti sia come sceneggiatore che attore.

L’autore e produttore di Peaky Blinders, Steven Knight, ha detto in un’intervista del 2016 a Variety in merito al grandissimo successo suscitato dall’utilizzo di Red Right Hand nella sigla iniziale della serie che la musica di Nick Cave «è senza pari. I testi evocano il nostro paesaggio industriale. La canzone aggiunge tanta poesia, magia e complessità alla serie. C’è una qualità “fuorilegge” che sembra assolutamente appropriata al contesto».

Un aspetto molto interessante che ha sempre contraddistinto la carriera di Nick Cave è la sua contemplazione per la figura di Elvis. Cave percepisce la nascita di Elvis come un evento messianico; la capanna di Tupelo diventa lo scenario per l’annunciazione del re del rock destinato a sacrificare la sua vita a discapito della sua immagine: «Elvis ha portato via il fardello del mondo da Tupelo finendo nella tristezza, nella solitudine e nell’abbandono». L’immagine sacra di Elvis diventa elemento fondamentale per Nick Cave e Warren Ellis nell’analizzare la figura di Marilyn in Blonde, di cui Andrew Dominik ci consegna un’immagine fortemente introspettiva della donna che si celava dietro il personaggio di Marilyn: «Un incubo su una grande attrice nei panni dell’agnello sacrificale sull’altare della celebrità» (dalla recensione del Guardian).

Esiste un’opinione condivisa che sia Elvis che Marilyn siano così strettamente identificati con la cultura americana che il modo in cui sono rappresentati parla direttamente dell’America stessa e del suo star system: «Per come venivano presentati nei giornali, i presunti avvistamenti di Elvis dicono qualcosa sulla religione americana, il labbro tremante di Elvis prefigura la sensibile mascolinità degli anni ’70 e la visione di Marilyn come simbolo sessuale riflette i limiti posti alle donne americane. Così, Marilyn esiste come icona che rappresenta contemporaneamente la vittima femminile, la dea del sesso, il consumatore, l’oggetto consumato, l’innocenza degli anni ’60, la corruzione di quegli stessi anni, tutto a seconda della propria ideologia». Così scrive Sandy M. Fernandez su The Chronicle of Higher Education. Elvis e Marilyn, nelle sue parole, rimangono le immagini archetipiche maschili e femminili dell’America di metà secolo, il nostro paesaggio psicosessuale collettivo, muse per tre generazioni di attori, cantautori e artisti, veicoli per fornire critiche incisive della cultura ossessionata dalle celebrità che incarnano.

Entrambi sono stati l’oggetto del piacere condiviso, sacrificando ogni parte del loro corpo fisico e mentale. La musica interviene come elemento celestiale per contrastare le due anime di Norma Jean Baker, armonizzandone il registro emotivo. Marilyn è solo un ruolo, e la musica con la sua luce ne contrasta il buio profondo pronto ad invadere per sempre tutto lo spazio circostante. «La musica poteva essere qualcosa di malvagio, di malvagio e bellissimo».

Pearly, composizione che dà inizio alla colonna sonora, racchiude l’oscurità e la purezza insiti nel personaggio di Marilyn, ricordando come matrice sonora l’alternarsi di movimenti presenti nel tema di The World Spin, composto da Angelo Badalamenti ed eseguita da Julee Cruise in Twin Peaks. Non è un caso che queste due composizioni vivano quasi in simbiosi: per David Lynch l’immagine di Marilyn Monroe rappresentava perfettamente l’archetipo da associare alla figura di Laura Palmer, un’anima pura fagocitata e inghiottita dal caos strisciante del male.

«Una star del cinema che diventa immortale» – così Lily Anolik definisce Marilyn su Vanity Fair America – «ma solo morendo mentre è ancora giovane e bella, prima che la sua promessa venga infranta o i nostri sentimenti su di lei possano essere risolti, lasciandoci desiderare di più, di più, di più. È l’angelo di Los Angeles, l’Angelo della Morte, e ci perseguiterà per sempre».

Nottambuli della vita terrena e ultraterrena: sono questi i personaggi che più rappresentano la sfera sonora di Nick Cave e Warren Ellis. «Molto spesso si crea una tensione tra musica e immagini che apre nuove possibilità, e una specie di incertezza potenzialmente incredibile. Basta mettere insieme due cose realizzate separatamente, musica e film, e di colpo può nascere una specie di magia». Parola di Nick Cave.

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