Rolling Stone Italia

Le scene più cult dei primi anni 2000

Cosa insegna il nuovo secolo? A combattere con il ‘Gladiatore’ e a sfoggiare la magnum di ‘Zoolander’; a baciarsi come in ‘Spider-Man’ e a dichiararsi come in ‘Love Actually’. Ma anche che l’amore è senza etichette come in ‘Brokeback Mountain’, e che il ceruleo è il colore del ‘Diavolo veste Prada’

Foto: Dreamworks LLC & Universal Pictures

“Mi chiamo Massimo Decimo Meridio” del Gladiatore

2000

Dicono che gli uomini pensino molto spesso all’Impero Romano, ma la domanda da porsi non è perché lo facciano, ma invece come sia possibile non farlo. Perché da quando Ridley Scott ha stretto un patto con il compositore Hans Zimmer per ammaliarci e (ri)portarci nel mondo del Gladiatore, noialtri nel 2000 ci siamo trovati tanto a brindare al nuovo secolo, quanto a desiderare di tornare al 108 AC. Per la precisione, al momento in cui il gladiatore Ispanico (Russell Crowe) si trova al centro del Colosseo e, invitato a farsi riconoscere, si toglie l’elmo e attacca con quel “Mi chiamo Massimo Decimo Meridio” (ecc.) che ghiaccia all’istante l’Imperatore Commodo (Joaquin Phoenix); e ci fa volare nell’iperuranio. Che dire: cinque Oscar – miglior film, sonoro, costumi, effetti speciali e attore protagonista (Crowe) – e il resto è leggenda. Come quella che narra che, in alcune famiglie, l’invito a mangiare la lasagna della domenica ancora oggi sia spesso accompagnato da quel: “Al mio segnale… scatenate l’inferno!”.

La “magnum” di Zoolander

2001

Cosa succede se si mettono sullo stesso set Ben Stiller, Owen Wilson e Will Ferrell? Semplice: ne esce fuori un film come Zoolander, che nel 2001 è “la” parodia del mondo della moda (e dei modelli senza cervello). Ma anche ciò che dà il via ai tentativi di fare una cosa difficilissima: riprodurre la “magnum”. Ovvero, la nuova espressione che il modello Derek Zoolander (Stiller) sfoggia alla fine del film, quando il malese sta per essere colpito dalla stella ninja lanciata dal malvagio Jacobim Mugatu (Will Ferrell) e c’è bisogno di qualcosa di (davvero molto) potente che possa evitare l’inevitabile. Insomma: la magnum è quasi magia. Anche se mai come quella del cappello parlante di Harry Potter e la pietra filosofale, che quell’anno decide le sorti del maghetto (“Grifondoro!”) in una delle scene più cult di sempre. Ma quando si parla di certe saghe, bisognerebbe aprire un intero capitolo al riguardo.

Il bacio all’ingiù di Spider-Man

2002

Il 2002 è l’anno in cui ci troviamo divisi: da una parte, quelli che nella Samara che esce dal televisore di The Ring ci vedono uno dei personaggi (e delle scene) più spaventosi di sempre; dall’altra, quelli che nello Spider-Man di Sam Raimi, e nel Peter Parker di Tobey Maguire, ci trovano la massima rappresentazione del ragazzo qualunque (e un po’ imbranato) che, dopo quel morso di ragno, tutto può. Togliere gli occhiali da vista e ammirarsi gli addominali, certo; lanciare ragnatele e scalare palazzi, è ovvio; ma, soprattutto, baciare Mary Jane Watson (Kirsten Dunst), la ragazza che ama da tempo. E fa niente se piove e lui è Peter Parker, sì, ma nelle vesti di uno Spider-Man a testa in giù (dettagli): il bacio c’è, signore e signori. Anche se non è quella scena di per sé a valere due candidature agli Oscar – per i migliori effetti speciali e il miglior sonoro – o gli 825 milioni di dollari (circa) di incasso al botteghino mondiale. Ripeto: il bacio c’è. Ed è oggi una pietra miliare della pop culture.

La dichiarazione d’amore di Love Actually

2003

È il 2003, e noi pensiamo ancora che il bacio sottosopra tra Spider-Man e Mary Jane di un anno prima sia ineguagliabile. Sì, ma solo perché non è ancora arrivato novembre, quando la rom-com Love Actually – L’amore davvero, esce al cinema a confermarci fin da subito che ci sarà da fare un bel po’ di spazio nel nostro immaginario zuccherino e romantico (ora anche decisamente british). Vuoi perché ci sono nomi del calibro di Hugh Grant, Colin Firth, Emma Thompson, Liam Neeson & Co.; vuoi perché è tutto luci e canzoncine di Natale; vuoi perché c’è la dichiarazione d’amore, così bella e così inconcludente (bacetto di contentino a parte), di Mark (Andrew Lincoln) a Juliet (Keira Knightley). Fatto sta che dopo quel film e, più di tutto, dopo quella scena, finiamo l’anno così: a credere nella forza potentissima (à la “magnum”) di un “per me sei perfetta” scritto col pennarello nero su un cartello bianco. Ma anche all’urgenza di chiamare il nostro migliore amico per tutte le verifiche del caso. Anche se già ci vediamo a dire il nome della nostra Juliet prima di correre allo scontro, proprio come quell’anno (al cinema) fa Aragorn per Frodo nel Signore degli anelli – Il ritorno del re.

Jingle Bell Rock di Mean Girls

2004

Breve storia triste: è il Natale del 2004, hanno suonato al citofono, e invece di aprire la porta e trovarci davanti un tizio che ci fa una dolce dichiarazione d’amore (vedi sopra) c’è il postino che ci consegna l’invito alla recita di Natale del liceo. Che supplizio. Per fortuna però la scaletta non prevede alcun balletto sulle note di Jingle Bell Rock, ché da quando abbiamo assistito a quello delle “Barbie” sul palco della scuola di Mean Girls – la teen comedy diretta da Mark Waters e scritta da Tina Fey – un po’ temiamo di vedere nostra figlia sedicenne come Cady Heron (Lindsay Lohan) muoversi sexy in un’altrettanto sexy mise natalizia con le Regina George (Rachel McAdams), Karen Smith (Amanda Seyfried) e Gretchen Wieners (Lacey Chabert) di turno. Una scena indimenticabile, che oggi ci fa ancora divertire, ma che nella vita vera farebbe solo piangere. Tanto che il risveglio il giorno dopo nella stanza bianca e asettica di Saw – L’enigmista per un genitore sarebbe meno horror di ricevere il filmino della performance della figlia così (s)vestita, e ripresa tanto bene, con la telecamera buona che aveva portato quella mamma là.

La tenda dei Segreti di Brokeback Mountain

2005

Prendete il 2005 e quel (pesante) velo di bigottismo che ancora cade sulle produzioni hollywoodiane e sugli spettatori. E poi prendete la sensibilità artistica del regista Ang Lee, i (non a caso) già affermatissimi Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, e una sceneggiatura che trae spunto dal romanzo di Annie Proulx, vincitore nel 1998 del National Magazine Award. Ora aggiungeteci i premi, come (per dirne alcuni) il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia, i quattro Golden Globe e i tre Oscar (miglior regia, miglior sceneggiatura non originale e miglior colonna sonora); e poi i punteggi altissimi da parte del pubblico e della critica su praticamente ogni sito di recensioni cinematografiche. Prendete tutte queste cose, quindi, mettetele insieme, e capirete perché I segreti di Brokeback Mountain è un film che va al di là delle definizioni e delle etichette (non solo sessuali). E perché la scena della tenda dove si consuma l’amore tra i cowboy Ennis Del Mar (Ledger) e Jack Twist (Gyllenhaal) ancora oggi non possiamo dimenticarcela.

Il ceruleo del Diavolo veste Prada

2006

Come cavolo abbiamo fatto? Sul serio, come abbiamo fatto i mesi scorsi a non saper dire così su due piedi quale fosse la differenza tra blu Estoril e blu China? E pensare che nel 2006 Miranda Priestly (Meryl Streep) aveva fatto talmente ’na capa tanta ad Andrea “Andy” Sachs (Anne Hathaway) sulla questione del ceruleo, che pure noi pensavamo di aver imparato la lezione. Invece no: tocca prendere di nuovo appunti mentre si (ri)guarda la scena del Diavolo veste Prada, con la celeberrima cintura di un colore che non è solo blu, e neppure turchese, e neppure lapis; ma, effettivamente, ceruleo. E volete non dar ragione a una che, (anche) per quella faccenda, ha vinto un Golden Globe (miglior attrice in un film commedia o musical)? Ma dato che quell’anno esce pure 300, il film di Zack Snyder tratto dalla graphic novel di Frank Miller, se volete rendere la lezione più divertente potete sempre sbizzarrirvi a riadattare la famosa scena del pozzo. Magari immaginando Miranda invece di re Leonida (Gerard Butler) a urlare “Questo è ceruleo!” alla povera Andy, prima di farla volare giù. O viceversa.

La gamba mitragliatrice di Grindhouse – Planet Terror

2007

Siete tra quelli che amano lo splatter che impazza (soprattutto) nei film degli anni ’80? Bene, allora nel 2007 con Grindhouse – Planet Terror siete in una botte di ferro. Diretto da Robert Rodriguez e con la partecipazione di Quentin Tarantino (che gira A prova di morte, il secondo segmento di Grindhouse), il film è ricco di tante cose: creature antropofaghe, effetti speciali, omaggi al cinema d’exploitation degli anni ’70, e ovviamente sangue, sesso, violenza. Tanto che, se si può condensare tutto in una sola scena, non può che essere quella in cui la ballerina Cherry Darling (Rose McGowan) spara a tutti gli infetti (leggi: le creature antropofaghe) con la sua gamba mitragliatrice. Roba forte. Anche se c’è da chiedersi se, violenza per violenza, quell’anno non sia forse peggio quella dello psicopatico Anton Chigurh (Javier Bardem) che in Non è un paese per vecchi, regia dei fratelli Coen, ci fa tremare le gambe ogni volta che tira fuori una moneta e chiede: “Testa o croce?”.

La chiamata di Io vi troverò

2008

Parlare degli anni 2000 vuol dire iniziare a fare i conti con un tipo d’arte molto particolare, di matrice popolare, di massimo intrattenimento (perlopiù umoristico) e di condivisione web. Avete capito di cosa sto parlando? Ma certo, dei meme; quelli che diventano potenzialmente infiniti quando trovano il giusto soggetto e la giusta citazione da modificare a piacimento. Ne sa qualcosa Liam Neeson, che da quando ha interpretato l’ex agente della CIA Bryan Mills nel film Io vi troverò si è visto suo malgrado protagonista di un’infinità di meme, appunto. Il motivo? L’iconicità (scusate) della scena in cui papà Bryan, al telefono con la figlia Kim proprio mentre è in corso il rapimento della ragazza, riesce a lasciare ai criminali uno dei messaggi più spaccaculi nella storia del cinema: “Possiedo delle capacità molto particolari che fanno di me un incubo per gente come voi” (e noi urliamo). Perché è chiaro che Bryan Mills è il supereroe di cui abbiamo bisogno, e che quell’anno avrebbe potuto sostituire Batman nella lotta all’iconicissimo Joker di Heath Ledger nel Cavaliere oscuro. D’altronde si sta parlando pur sempre di Liam Neeson, che nella Trilogia di Nolan è il mentore e l’allenatore di Bruce Wayne: il maestro Ra’s al Ghul.

La storia d’amore di Up

2009

Tre opzioni per concludere il decennio, come tre sono i bicchieri di scotch ordinati dal tenente Archie Hicox (Michael Fassbender) nella celebre e tarantiniana taverna di Bastardi senza gloria. Primo: darsi alla pazza gioia e svegliarsi senza ricordare niente, come succede in Una notte da leoni. Secondo: ordinare quei sopracitati tre bicchieri di scotch, ma facendo attenzione ad alzare le dita giuste (come i tedeschi, s’intende). Tre: lasciarci trasportare dalla storia d’amore di Carl e Ellie in Up. Per quanto ci riguarda, vada per l’ultima. Perché se il cinema è (anche) il racconto della vita, è giusto che ad avere la meglio sia una scena in cui la vita la si celebra. Anche se declinata a due. Anche se a raccontarci esperienze reali non ci sono persone vere ma cartoon. La crescita, l’amore, il dolore, la perdita, l’esserci per sé e per gli altri: se fosse un gioco in scatola, ci troveremmo sopra scritto “da 0 a 99 anni”. E invece è un film che ha vinto due premi Oscar (miglior film d’animazione e migliore colonna sonora), certo; ma che nell’arco di poco meno di cinque minuti è riuscito nella cosa più difficile: parlare a tutti, indistintamente. Nella finzione, sì: ma per davvero.

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