Le canzoni della Disney hanno ancora il potere e la magia di una volta? (Spoiler: no) | Rolling Stone Italia
Impara a fischiettar

Le canzoni della Disney hanno ancora il potere e la magia di una volta? (Spoiler: no)

Dopo anni di live action che avevano dimenticato (o “umanizzato” troppo) la componente musical, ‘La sirenetta’ sembra andare in un’altra direzione. Storia delle “original songs” dello Studio, dagli albori al futuro che speriamo

Le canzoni della Disney hanno ancora il potere e la magia di una volta? (Spoiler: no)

Melissa McCarthy è Ursula nel live action della ‘Sirenetta’

Foto: Disney

“C’era una volta” è da sempre stato la chiave per entrare nel fantastico mondo della Disney, accompagnata dal suo memorabile jingle capace di legare per sempre a un unico ricordo sonoro milioni di persone nel corso della propria infanzia. Ma la Disney per come l’abbiamo sempre conosciuta c’è ancora? E soprattutto la sua musica e le sue canzoni hanno ancora la capacità di trasportare gli spettatori di ogni età verso mondi sconosciuti ed infiniti?

Il connubio tra la forma canzone e la conseguente nascita di innumerevoli successi della Disney risale sin dalle prime forme animate ideate da Walt Disney. Come analizzato dalla docente in sound design Laura Lazarescu-Thois, rispetto a molti altri creatori contemporanei che seguirono il suo esempio e utilizzarono il suono nelle loro animazioni la Disney non aggiunse semplicemente la musica a un film finito, ma costruì intere sequenze attorno ad essa, adattando i movimenti dei personaggi al suono così come la loro caratterizzazione nel percorso di crescita, e delineando anche la prima forma di sonorizzazione animata denominata successivamente mickey mousing, resa iconica dalle prime composizioni sonore dedicate alle Silly Symphonies (brevi cortometraggi animati con lo scopo di perfezionare l’arte dell’animazione) nel 1929.

Se le Silly Symphonies furono il banco di prova per sperimentare e conferire alla musica e alla sonorizzazione di tutti gli elementi in scena un ruolo centrare nelle successive forme narrative, in Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio animato del 1937, diventò l’elemento cruciale perfettamente connesso alla storia rappresentata. Frank Churchill, già compositore di lunga data nella fucina di talenti che stava costruendo Walt Disney nei suoi Studios, aveva precedentemente scritto la musica per le animazioni della serie Silly Symphonies, ma per questo progetto la Disney gli chiese di trasformare i dialoghi in melodie in modo naturale. La musica doveva essere introdotta usando metodi sottili e teatrali, prendendo spunto dalla conformazione sonora di alcune favole sinfoniche come Pierino e il lupo di Sergej Prokof’ev, che si sviluppavano proprio seguendo lo schema del narratore seguito coerentemente dall’accompagnamento orchestrale.

Come disse Walt Disney: «Dovremmo stabilire un nuovo modello, un nuovo modo di usare la musica, inserirla nella storia in modo che qualcuno non si limiti a cantare». Come fa notare David Tietyen, autore del libro Il mondo musicale di Walt Disney, tre dei brani scritti da Frank Churchill insieme al paroliere Larry Morey, inoltre, divennero persino successi radiofonici: Whistle While You Work (in italiano Impara a fischiettar), Heigh-Ho (Ehi-Ho) e Someday My Prince Will Come (Il mio amore un dì verrà). Elemento che non sarà del tutto analogo da lì a pochi anni.

«Fin dalla sua prima sequenza, la Disney ha voluto familiarizzare il pubblico attraverso un nuovo modo di introdurre la musica nell’animazione», spiega Lazarescu-Thois. «Biancaneve è circondata da colombe al pozzo. Parla con loro, ma le sue parole sono pronunciate al ritmo della melodia. Questo passaggio dalla parola al canto è così naturale che lo spettatore non se ne accorge. Il principe, che la sente cantare, rimane affascinato dalla sua bellezza e dalla sua voce e si unisce a lei nel canto. Walt Disney ha avuto il genio di dotare i suoi personaggi di personalità, facendoli sentire e reagire agli eventi, facendo passare il pubblico dalle semplici risate all’empatia con i personaggi sullo schermo. La visione di Disney era quella di fondere questi due poli apparentemente opposti gettando anche le basi di quello che sarebbe stato il segno distintivo stilistico del suo studio, aggiungere il suono sincronizzato alle sue animazioni».

Come mostrato perfettamente in Saving Mr. Banks, il film con Tom Hanks ed Emma Thompson incentrato sulla realizzazione di Mary Poppins nel 1961, i Walt Disney Animation Studios erano il fulcro nascente di un nuovo modo di concepire il mondo dell’animazione, in cui i più grandi parolieri e compositori dell’epoca crearono un’identità unica per il modo di scrivere musica per immagine. Per Walt Disney non poteva esistere una sequenza animata senza un accompagnamento adeguato.

Come raccontato dal compositore Ross Carr, in quegli anni, capitanati inizialmente da Frank Churcill, si formarono alcune delle menti più brillanti della composizione contemporanea come Leigh Harline (Biancaneve e i sette nani, Pinocchio), Paul Smith (Biancaneve e i sette nani, Pinocchio, Cenerentola), Oliver Wallace (Dumbo, Cenerentola, Alice nel paese delle meraviglie, Le avventure di Peter Pan, Lilli e il vagabondo) George Burns (La bella addormentata nel bosco, La carica dei 101, La spada nella roccia, Il libro della giungla, Gli Aristogatti, Robin Hood) e i fratelli Sherman (Mary Poppins, Gli Aristogatti), che portarono alla Disney ben 14 candidature (9 per la miglior colonna sonora, 5 per la miglior canzone originale) e 5 Oscar (3 per la miglior colonna sonora originale, 2 per la miglior canzone originale).

I brani musicali rappresentarono l’introduzione all’azione e aiutarono a sviluppare le personalità in progressione dei personaggi, portando avanti la storia, aggiungendo significato e profondità. Sia Biancaneve che il principe, ad esempio, hanno i propri temi musicali. Le relazioni immagine-suono e dialogo-musica nella sequenza Impara a fischiettar è senza precedenti nell’animazione: il dialogo si intreccia nei frammenti musicali con incredibile naturalezza; gli animali si uniscono all’azione e ciascuno si associa a uno strumento musicale che lo rappresenta (la tartaruga, il cervo, gli uccelli, ecc.) che crea un accordo perfetto tra immagine (animale) e musica (lo strumento musicale a volte si distingue come un assolo).

«Ogni battuta musicale era illustrata con un quadratino che indicava il tempo. In questo modo, si poteva sapere esattamente quanti fotogrammi erano stati assegnati a ciascuna azione, nonché la sua velocità rispetto alla musica. La registrazione era infatti basata su pura matematica: Walt Disney sapeva quanto velocemente voleva l’azione, mentre Jackson faceva un uso efficiente del metronomo per ottenere una sincronizzazione accurata del suono con l’immagine». Quindi lo scopo di una canzone non era quello di frapporsi alla storia, ma di elevarla. Il suo potere narrativo si basava sia nel guidare la trama nei suoi molteplici aspetti, così come nell’accompagnare i suoi personaggi nella loro formazione. La canzone vendeva artisticamente e letteralmente il film.

Ed è ciò che compresero pienamente il drammaturgo e paroliere Howard Ashman e il suo fido compositore Alan Menken quando iniziarono a lavorare per la Disney forse nel periodo più buio, tra gli anni ’70 e ’80. Al loro arrivo, i Walt Disney Animation Studios, dopo la morte di Walt Disney nel 1966, vertevano in una situazione di totale incertezza, il dipartimento di animazione era praticamente in bancarotta e stava per essere eliminato per sempre.

La loro esperienza a Broadway, con il grandissimo successo della Piccola bottega degli orrori, gli fece comprendere che il futuro e l’ultimo grande posto dove poter realizzare dei grandissimi musical era proprio il mondo dell’animazione: lì avrebbero potuto raccontare unicamente attraverso le canzoni tutti i turbamenti e le ambizioni dei protagonisti. Ashman vedeva il mondo dell’animazione come una scelta naturale per i musical, contribuì a far rivivere la divisione di animazione dello studio e insegnò come poter plasmare la storia di un personaggio unicamente attraverso le canzoni. Ashman e Menken furono i testimoni diretti di quella che era stata sin dall’inizio l’eredità musicale concepita dallo stesso Walt Disney e da Frank Churchill, sancendo così un nuovo rinascimento per la Disney sino al 1999.

Alcune delle canzoni più iconiche composte dal duo mettevano in luce anche un fine educativo rispetto alle nuove generazioni verso cui vertevano le composizioni. Il tema Part of Your World (Parte del tuo mondo) della Sirenetta, ad esempio, metteva in luce ciò che Ariel voleva realmente dalla sua vita, un tentativo di emanciparsi da un mondo che non riconosceva più come il suo, elemento che ritroveremo perennemente nei classici di Ashman e Menken sino alla morte del primo nel 1991, e che proseguirà unicamente con Menken fino al 1999 con Il gobbo di Notre Dame, Mulan e Hercules. Molti dei personaggi da loro ideati ci dicono molto di più di come sono e cosa vogliono attraverso le canzoni che sotto qualunque altro aspetto narrativo. E quindi viene spontaneo chiedersi: oggi dove è tutto questo? La Disney esiste ancora attraverso le sue canzoni?

Nonostante i grandissimi successi sia musicali che narrativi di Frozen ed Encanto, soprattutto grazie alla scrittura di alcune canzoni diventate già classiche per la generazione odierna come Let It Go (All’alba sorgerò, primo brano Disney a raggiungere il primo posto della classifica di Billboard dal 1995, Oscar per la migliore canzone originale nel 2014) e We Don’t Talk About Bruno (Non si nomina Bruno, prima canzone originale Disney al primo posto nella classifica britannica, candidatura per la migliore canzone originale nel 2022), sembra proprio che il problema risieda nella trasformazione in live action di tutti quei film che hanno fondato l’immaginario musicale del mondo Disney, inscindibili dalle proprie canzoni e dal contestuale successo.

Nell’analisi di Sideways, prendendo ad esame alcuni dei live action usciti negli ultimi anni come La bella e la bestia, Aladdin e Il re leone, si mette in luce come l’aspetto musicale sia prettamente un’imitazione e non un’innovazione rispetto a quando precedentemente realizzato. La musica, pur mantenendo la sua originalità compositiva, non riesce ad eguagliare i risultati raggiunti, e la messa in scena è a dir poco macchiettistica. La voce di Emma Watson era profondamente artificiale nella Bella e la bestia, così come l’interpretazione di Will Smith nei “panni” del Genio della lampada nel tentativo di emulare la comicità insita nelle canzoni studiate ad hoc per Robbie Williams.

Le canzoni dovevano avere uno scopo specifico, dovevano legarsi all’opera nel suo insieme per una ragione molto specifica; queste esibizioni erano le rappresentazioni emotive rispetto a quanto i personaggi desideravano e volevano nella propria vita, e sorprende come nei live action non sia stato portato avanti questo fine attraverso le esibizioni o tagliando di netto la parte musicale, come nel caso del Libro della giungla e Mulan.

Contrariamente a quanto avviene nei live action incentrati sui villain (da Maleficent a Crudelia) e nelle nuove storie animate, il fine narrativo e musicale sembra essere messo da parte attraverso un tentativo di riprendere certe tematiche unicamente come rappresentazione di un porto sicuro per un ritorno economico. Ma perché non ragionare in senso costruttivo attraverso questi remake per una nuova stagione musicale della Disney?

Come visto nell’ultima trasposizione live action della Sirenetta, in cui sono stati coinvolti sia un’artista come Halle Bailey, perfetta nel ruolo di Ariel e già dentro il mondo musicale, e un compositore come Lin-Manuel Miranda, nuova linfa del musical contemporaneo e già autore delle canzoni di Encanto, il risultato è stato completamente opposto ai precedenti progetti. Il pubblico ha saputo ritrovarsi nuovamente nel primo classico di Ashman e Menken.

Quindi perché non ripartire dai grandissimi autori di musiche e canzoni? Perché non affidare loro la supervisione musicale anche dei remake in live action? Il lavoro dei coniugi Lopez, autori delle canzoni di Frozen, così come quello di Miranda, soprattutto nell’aver avuto il coraggio di portare nuove ed iconiche sonorità nel mondo Disney, potrebbe essere il segno di una nuova rinascita per i musical animati non solo da un punto di vista musicale ma principalmente narrativo.

Come diceva David Tietyen, le canzoni devono evocare affettuosi ricordi d’infanzia, quei ricordi creati dalle magiche fantasie della Disney: «Quella musica era allegra, portava un messaggio di speranza. I film della Disney non erano film per bambini, ma hanno toccato il bambino che c’è in ognuno di noi».

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