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‘La chimera’ è l’essenza del cinema liberissimo e romantico di Alice Rohrwacher

Il nuovo film dell'autrice, presentato in concorso a Cannes e starring Josh O'Connor (nei panni di un Orfeo moderno, malinconico e stropicciato), è la storia di un amore perduto sullo sfondo della Tuscia anni '80 dei tombaroli

Josh O’Connor in ‘La chimera’ di Alice Rohrwacher. Foto: Simona Pampallona

C’è qualcosa nel cinema di Alice Rohrwacher (già, perché è ora di parlare di “cinema di Alice Rohrwacher”, come hanno giustamente capito a MUBI, dedicandole una retrospettiva) che mi riporta spesso ai dipinti di Jean François Millet, il pittore-contadino in cui la realtà sociale si fonde con una visione quasi mistica e romantica della natura. E penso alla storia dell’arte perché non c’è, nel cinema, niente di simile all’opera di Rohrwacher, che poi è un po’ la circostanza che definisce un Autore (in questo caso un’Autrice), no? L’essere unico, subito riconoscibile nei linguaggi, nei temi, nello sguardo: quello di Alice, sì, davvero open to meraviglia.

Josh O’Connor e Alice Rohrwacher sul set di ‘La chimera’. Foto: Simona Pampaollona/01 Distribution

I suoi film (da Corpo celeste a Le meraviglie, da Lazzaro felice al corto nominato all’Oscar Le pupille) sono kolossal “delle piccole cose”, che però proprio nella sua dimensione filmica, nei suoi tempi dilatati, nel suo respiro cinematografico infinito diventano grandi, grandissime, metafisiche. Nei manufatti millenari (storia dell’arte, again) che i tombaroli della Chimera (prodotto da tempesta con Rai Cinema, presentato in concorso a Cannes e prossimamente nelle sale) si dannano per scovare, e che possono valere qualche centinaio di euro o anche milioni, c’è una cosa che l’uomo cerca da sempre: il legame tra l’aldiqua e l’aldilà. In mezzo c’è la terra (Millet, di nuovo), tramite millenario, la natura che è sempre custode di qualcosa: di un passato (e delle sue vestigia), ovviamente, di un presente (volgarmente: il denaro per i ladri di corredi etruschi in pugno a loschi trafficanti del mercato delle antichità, menzione speciale per la villain Alba Rohrwacher) e di un futuro.

Carol Duarte e Josh O’Connor in ‘La chimera’. Foto: 01 Distribution

O almeno questo spera Arthur, un giovane studioso di archeologia inglese che ha il dono di sentire quando la terra è vuota sotto di sé, tradotto: potenzialmente piena di meraviglie di un tempo che fu. E mette il suo talento al servizio di una gang pittoresca e sguaiata di tombaroli (bellissima la sfilata in paese sul trattore: andiamo a trafugare), con un obiettivo però ben diverso da loro: ogni volta che dice ai suoi compari dove scavare, “Artù”, così lo chiama il capobanda Pirro (un ottimo Vincenzo Nemolato), cerca il suo amore perduto, come un moderno Orfeo malinconico e stropicciato. La sua Euridice si chiama Beniamina. Non la trova, ma continua a sperare di farlo. E anche la madre di lei, Flora (Isabella Rossellini, splendida), un’aristocratica decaduta che condivide con lui l’elaborazione mancata del lutto.

‘La chimera’ di Alice Rohrwacher. Foto: tempesta/01 Distribution

God save, ora e per sempre, Josh O’Connor, golden boy del cinema e della serialità british (dopo la clamorosa interpretazione del giovane Carlo in The Crown 3) che, nell’abito sgualcito di lino chiaro di Arthur, pare un match made in heaven con la sensibilità di Rohrwacher, un incontro di anime predestinate. Con la barba lunga, la sigaretta sempre in mano e un italiano deliziosamente strascicato, trova la poesia elegiaca e sfuggente del suo personaggio che, di tanto in tanto, si apre in un sorriso sghembo, quasi malizioso, soprattutto davanti a Itala (Carol Duarte), la cameriera-wannabe-allieva di canto di Flora. Arthur vive in un limbo tra le lamiere del capanno in cui dorme e le meraviglie di un’Italia antica, sommersa e preziosa (la Tuscia, anzi Tuskia, per dirla con Paola Cortellesi e Call My Agent – Italia), dipinta splendidamente con quella che ormai è la palette della regista, tra cielo, mare e terra. Dove a qualcuno per essere felice bastano due cocci e a qualcun altro non basta un’esistenza intera. Un limbo però che è meravigliosamente libero, paradossalmente vibrante di vita e insieme romantico vecchia maniera. Proprio come il cinema di Alice Rohrwacher.

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