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‘La ballata di un piccolo giocatore’, niente di nuovo sul fronte orientale

Edward Berger (‘Niente di nuovo sul fronte occidentale’, ‘Conclave’) adatta il romanzo di Lawrence Osborne ambientato nei casinò di Macao con eleganza ma senza sorprese. A parte un debordante Colin Farrell

Foto: Netflix

Molti dipendenti dal gioco d’azzardo vi diranno che non è la possibilità di vincere una fortuna che li spinge a chiedere continuamente un’altra carta, a lanciare un altro paio di dadi, a guardare un’altra pallina che gira e gira fino a fermarsi sul rosso o sul nero. È il brivido della perdita che alimenta la loro dipendenza.

E dal momento in cui incontrate Lord Freddy Doyle, è chiaro che quest’uomo è un perdente di livello mondiale. Non lasciatevi ingannare dall’elegante abito di velluto verde, dai guanti di pelle gialla, dalla cravatta di seta o dai baffetti sottili, un tocco di eleganza che ricorda gli idoli del cinema di un tempo. Lo stesso vale per il nome e il titolo nobiliare, nessuno dei quali è realmente suo. Doyle si limita a proiettare l’aura di ricchezza e gusto, due cose che non possiede. Ciò che questo gentiluomo che si fa strada tra i casinò di Macao, con un conto non pagato e un divieto di accesso alla sala da gioco alla volta, ha davvero è un talento per mandare tutto all’aria. Da questo punto di vista, sta per fare il colpo grosso.

Interpretato da Colin Farrell con una disperazione degna di un atleta olimpico, Doyle è l’antieroe della Ballata di un piccolo giocatore, l’adattamento cinematografico di Edward Berger – su Netflix dal 29 ottobre – del romanzo di Lawrence Osborne del 2014. L’attore candidato all’Oscar è tecnicamente il protagonista, anche se non è lui la vera star: quella è Macao stessa, la “Las Vegas dell’Asia” che sembra inventata con lo scopo principale di essere filmata in Technicolor. Guardate le macchina da presa volare attraverso le sue strade illuminate da luci abbaglianti, sopra i suoi grattacieli a specchio e le insegne lampeggianti, e attraverso le sue sale da gioco che sovraccaricano i sensi, piene di tutti i colori che la retina umana è in grado di percepire, e capirete perché questa mecca dei giocatori d’azzardo merita il primo posto. È un cliché definire una città un personaggio, ma il film di Berger rende sicuramente Macao l’antagonista. Questo posto divora i piccoli giocatori che pensano di essere dei grandi scommettitori.

La prima scelta di Doyle è il baccarà, un gioco spietato in cui un mazziere distribuisce due carte a due giocatori. Vince chi ottiene il totale più vicino a nove. In altre parole, un modo perfetto per sperperare in tempo record tutte le vincite accumulate, il che lo rende il passatempo ideale per Doyle. È in una delle poche sale da gioco di Macao dove questo finto aristocratico può ancora ottenere credito che incontra Dao Ming (Fala Chen). Lei è una creditrice freelance, che è un termine elegante per indicare uno strozzino con tassi di interesse stratosferici. Doyle non abbocca all’esca. Più tardi, quando un corpo precipita dalla finestra della sua camera d’albergo, scopre che l’uomo era uno dei suoi clienti. Non ha pagato prima di morire, quindi ora Dao deve riscuotere il debito.

In un momento di gentilezza, o forse semplicemente in un altro dei suoi tanti deliri, Doyle si offre di saldare il debito per lei. Non importa che debba ancora 325mila dollari al suo hotel, che una strana donna (Tilda Swinton, con la sua inestimabile andatura da cicogna) lo stia perseguitando per recuperare i soldi che ha rubato a Londra – è una lunga storia – e che sia persona non grata in quasi tutti i locali della città. L’uomo ha promesso di sistemare tutto, e “un Lord mantiene sempre la parola data”. La mattina dopo, lei se n’è andata. Eppure, dopo una serie di ulteriori spirali discendenti che affonderanno ancora di più questo mascalzone in un buco nero e alcune sciocchezze soprannaturali, la sua fortuna inizia curiosamente a cambiare…

Regista tedesco con un talento per il melodramma e il massimalismo, Berger sa come rendere prestigioso il pulp (Conclave) e far sembrare pulp i film di prestigio (quella produzione inspiegabilmente lodata che è Niente di nuovo sul fronte occidentale). Qui si colloca a metà strada, esaltando la lussuosa ostentazione della location e la vertiginosa sovrastimolazione con altrettanto stravaganti abbellimenti visivi – se c’è la possibilità di un’angolazione obliqua, lui e il direttore della fotografia James Friend la sfrutteranno sicuramente – mentre prepara il terreno affinché Farrell possa pavoneggiarsi, agitarsi e infuriarsi come un toro. Sembra che il regista e la sua star stiano competendo per lo stesso titolo di artista più barocco, anche quando lavorano in tandem; ogni volta che Berger inquadra Farrell in primi piani strettissimi, non si sa bene se si debba essere più impressionati dall’inquadratura claustrofobica del regista o dai crolli emotivi dell’attore con la fronte madida di sudore. Si è tentati di dichiarare un pareggio.

Tilda Swinton in una scena del film. Foto: Netflix

C’è chiaramente un vincitore, però. Farrell sta vivendo una fertile terza ondata della sua carriera da quando Gli spiriti dell’isola e The Penguin ci hanno ricordato di cosa è capace in termini di scelte insolite, sottili cambiamenti di umore e la capacità di trasformare tutto ciò che tocca in oro. (Anche i suoi insuccessi, come la serie Apple TV+ Sugar e il recente A Big Bold Beautiful Journey, sono comunque scelte intriganti.) Data la possibilità di interpretare un provocatore e un gweilo di sua invenzione – un termine riservato ai “fantasmi affamati” non asiatici che la gente del posto gli attribuisce – Farrell ci si dedica completamente. Ha gli occhi arrossati di un uomo che si tuffa a capofitto nell’abisso. Più tardi, quando Doyle entra in possesso di alcune misteriose borse piene di soldi e si dirige verso la terraferma con una bottiglia, una barca e un’ultima possibilità di uscire di scena in un tripudio di autoimmolazione, Farrell riesce a mescolare terrore e adrenalina in ogni espressione silenziosa.

È in quest’ultimo atto che La ballata di un piccolo giocatore punta davvero tutto sul suo protagonista, e anche se questa fiducia non compensa molti dei colpi di scena ridicoli e degli sviluppi esagerati che portano al culmine della trama, resta comunque una scommessa intelligente. Prestate attenzione a ciò che fa Farrell, e il film tutto sommato vi ripagherà. La chiave di tutto, tuttavia, viene consegnata a un altro attore: la leggenda del cinema di Hong Kong Anthony Wong, che fa una breve apparizione. Racconta a Doyle un aneddoto su un giocatore d’azzardo che muore e va in paradiso. Una volta lì, all’uomo vengono assegnati una suite all’ultimo piano, pasti a cinque stelle e nient’altro che assi a ogni tavolo che frequenta. Mi chiedo cosa stia succedendo nell’altro posto, chiede con nonchalance a un altro cliente. Potete immaginare la risposta. L’unica cosa migliore di una grande vincita è una perdita ancora più grande. È una lezione che questo film prende a cuore.

Da Rolling Stone US

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