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‘Kajillionaire’, tutti pazzi (di nuovo) per Miranda July

La regista indie-cult torna all Festa del cinema di Roma con una commedia sgangherata e commovente con protagoniste Evan Rachel Wood e Gina Rodriguez. E torna ad essere un ‘caso’

Foto: Focus Features

Prima di parlare di Kajillionaire – sì, il titolo è decisamente impronunciabile – sappiate una cosa: Miranda July se ne frega. Se ne frega dei riferimenti colti, del linguaggio criptico del cinema indie e di quella elitarietà di visione che dovrebbe trasudare in ogni inquadratura. Lei parla a me e a te: alla nostra fragilità, al comune senso di smarrimento esistenziale, andando dritta al punto. E per questo ci piace. Diamine, se ci piace.

Per chi si stesse chiedendo «Miranda chi?», riepiloghiamo velocemente. Peraltro la sua carriera non è certo infinita: anche qui, July se ne frega del curriculum e si limita a realizzare pochi film ben dosati dilettandosi, tra un set e l’altro, a fare tutt’altro, come scrivere, dipingere… Ma dicevamo. Miranda debutta nel 2005 con la commedia Me and You and Everyone We Know. Ne è l’autrice, la regista e l’interprete, che non è poco per un esordio. Ma, anziché strafare, la nostra conquista tutti: il Festival di Cannes la consacra a nuova regina dei film indie. Torna dietro la macchina da presa nel 2011 con The Future: l’opera piace meno, ma comunque piace. Quanto al suo stile, vi basti sapere che tempo fa July dichiarò: «Non sono una cinefila: nei miei film non faccio citazioni, sono più interessata al ritmo e ai sentimenti». Solo per questo, dovrebbero farle un monumento. Ora, a 15 anni di distanza dal suo esordio, il 19 novembre torna nelle sale con la dark comedy Kajillionaire (sottotitolo italiano: La truffa è di famiglia) e, a dispetto del criptico titolo, la storia è travolgente.

Be’, travolgente dopo una quarantina di minuti. All’inizio la storia sembra quasi inciampare nelle beghe dei tre furfantelli protagonisti: padre, madre e figlia che tirano a campare a colpi di imbrogli poco geniali, eludendo come possono il proprietario di casa e lottando, ogni giorno, con un’onda di schiuma rosa che allaga il loro appartamento. L’andamento narrativo è un po’ interrotto, come i rapporti dei tre protagonisti, i cui nomi sono Robert (il padre), Theresa (la madre) e Old Dolio: hanno chiamata la figlia così nel tentativo, finito male, di ottenere i soldi dal testamento di un senzatetto.

Poi, di colpo, il film ingrana la marcia. Nella storia fa infatti irruzione tale Melania, una giovane portoricana che stringe amicizia con i genitori di Old e che si entusiasma all’idea di poterli aiutare nel loro giro di affari. L’idea la intriga probabilmente per noia: Melania è agiata, vive lontano da casa in un appartamento tutto suo e la madre la sommerge di regali nel tentativo di sopperire alla propria distratta assenza. L’ingresso di Melania impatta inevitabilmente sull’equilibrio, già precario, della famiglia. Ma non come pensate voi. Non rivoluziona la trama, bensì mette ordine: nei cuori, nei personaggi, nelle svolte narrative. Melania accende infatti un faro sulla fragilità della giovane Old Dolio: la fa risplendere, spingendola a danzare in una stanza, a tentare la “scalata al seno”, a fare pancake (vedrete il film e capirete). Vi commuoverete almeno davanti a un paio di scene, garantito. La ragione è semplice: la paura di Old ad affezionarsi alla vita è anche la nostra stessa inconfessabile paura. Quello che dunque rischiava di essere un racconto claustrofobico e autoreferenziale esplode in un immaginario collettivo corale: non servono altri coprimari, questi quattro scapestrati tirano dentro la storia tutti noi spettatori.

Richard Jenkins, Debra Winger e Evan Rachel Wood in ‘Kajillionaire’. Foto: Focus Features

Tutto questo, bisogna ammetterlo, non sarebbe riuscito così bene senza Evan Rachel Wood, qui in stato di grazia. L’ex umanoide di Westworld dà statura e peso specifico a Old, incarnando la sua/nostra tensione. Lavora di sottrazione, si incurva, freme come una foglia al vento. È così credibile nella sua fragilità che sembra fatta di cristallo, pronta a frantumarsi in mille pezzi al primo contatto di umanità. Risulta in parte anche Gina Rodriguez ma, a differenza della prima, l’ex star di Jane the Virgin concede un po’ troppo alle smorfiette facciali. «Non vediamo mai eroine che assomigliano o parlano come Old», ha spiegato Evan Rachel Wood al Los Angeles Times. «Per me è un ottimo segno, e una cosa molto rara in questo periodo. Sono felice che ci siano ancora persone decise a fare un film come questo». Anche noi, cara Rachel, anche noi…

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