Justin Timberlake, i 40 anni del Frank Sinatra della nostra epoca | Rolling Stone Italia
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Justin Timberlake, i 40 anni del Frank Sinatra della nostra epoca

Tutto o niente. Il fu *NSYNC fa poco, ma benissimo. Album (e svolte) perfetti, almeno un capolavoro (di David Fincher) al cinema, e un film (‘Palmer’) che si è regalato per il compleanno. In cui dimostra che, forse, ha appena iniziato

Justin Timberlake, i 40 anni del Frank Sinatra della nostra epoca

Justin Timberlake a Cannes

Foto: Loic Venance/AFP via Getty Images

Quando lo scelse per interpretare Sean Parker, il fondatore di Napster, nel film The Social Network, David Fincher disse: «Avevo bisogno di un personaggio alla Frank Sinatra, qualcuno in grado di entrare in una stanza e attirare immediatamente l’attenzione. Non è un tipo di cosa che si possa fingere: devi esserci nato, così». Justin Timberlake, che compie 40 anni il 31 gennaio, lo è. Cantante, attore, produttore, seduttore di donne bellissime e famose, dalla fidanzata storica Cameron Diaz alla moglie attuale e madre dei suoi due figli Jessica Biel. Come al solito, ha ragione quel genio di Fincher: Justin è il Frank Sinatra della nostra epoca.

Per questo compleanno si è regalato un film, Palmer (dal 29 gennaio su Apple TV+), nel quale interpreta un personaggio senza addosso nemmeno un grammo di glamour: vediamo Justin pulire i cessi. È un film molto prevedibile, con meccanismo a orologeria allo scopo di far piangere gli spettatori. Racconta la storia di un uomo appena uscito dal carcere che torna al paesello a vivere con la nonna. Finirà a fare il bidello di una scuola, si dovrà occupare di un bambino cicciotto e gender fluid (anche i film da piangere, oggigiorno, devono tenere conto dei grandi temi dell’inclusione, signora mia) e troverà l’amore. Ovvio. Il film è tutto costruito sulla sua interpretazione, è un classico star vehicle, come si diceva una volta, per dimostrare quanto può essere bravo e versatile un attore.

Justin Timberlake in una scena di ‘Palmer’. Foto: Apple TV+

Justin se la cava. In verità, se la cava sempre. Lo dice la sua filmografia, fatta di scelte molto cool in generale, ma ancora di più per uno che nasce come cantante di una boy band (gli *NSYNC) con vestiti orribili e pettinature anche peggio. Oltre a Fincher, Justin ha avuto come registi Andrew Niccol (In Time, 2011), i fratelli Coen (A proposito di Davis, 2013) e persino Woody Allen (La ruota delle meraviglie, 2017). Ha fatto qualche commedia facile come Amici di letto e Bad Teacher, ma non credo ne farà ancora molte. Con questo film ci sta dicendo che vuole andare oltre.

Justin ha preso la sua carriera molto sul serio. Altro che «I got sunshine in my pockets» e via ballando. Ha certamente dubbi e pensieri strategici, lo si capisce da come calibra le uscite in musica e al cinema. Non ha mai abusato della sua popolarità per fare sempre le stesse cose, ma non ha sbandierato le pretese intellettuali. Per esempio, l’ultimo album, del 2018, Man of the Woods, è una svolta country-soul molto astuta, la svolta di chi sa che non si può essere idolo teen per la vita ma che non può nemmeno, improvvisamente, diventare il suo omonimo Justin (Vernon) e mettersi a fare roba indie. E, al cinema, sa che i bravi registi non bastano: bisogna arrivare anche ai grandi ruoli, piano piano. È un perfezionista, si capisce. La pensa, appunto, come Frank Sinatra: All or Nothing at All, tutto o niente.

Justin Timberlake con Jesse Eisenberg in ‘The Social Network’ di David Fincher. Foto: Merrick Morton/©Columbia Pictures/Courtesy Everett Collection

Timberlake ha un’innata vocazione per la ribalta, una disinvoltura rara, una camminata da ballerino. In Palmer è come se si fosse messo dei pesi sotto le gambe: l’andatura è diventata sofferente, pesante. Recita soprattutto con il corpo, per il resto è totalmente sottotono come se non volesse rischiare l’overacting perché non si sente (ancora) abbastanza bravo.

Ha iniziato presto, a 11 anni, partecipando a un talent show, Star Search, lo stesso a cui partecipò Beyoncé. Come Beyoncé, non vinse la gara; e come Ryan Gosling, finì in un programma televisivo per bambini canterini e petulanti, The Mickey Mouse Club, che si produceva a Orlando, in Florida. Con loro c’erano anche Britney Spears e Christina Aguilera. Dopo due anni, il programma viene cancellato. Justin, figlio unico di divorziati, convince la madre Lynn a trasferirsi a Los Angeles, dove i vampiri di Hollywood sono sempre in cerca di sangue fresco. Nel frattempo, però, arriva una telefonata: lo vogliono per una boy band. «Eravamo bambini piccoli alle prese con giocattoli molto grandi. Ci dicevamo: dài, andiamo a Bali stasera; e un’ora dopo eravamo su un aereo per Bali. Non poteva durare, ovvio», ha raccontato il saggio e misurato Justin.
In effetti, per molti è stato così. Ma per lui è appena iniziata.